Napoli. Pascale, sospeso primario: dirottava pazienti in clinica

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Napoli. Pascale, sospeso primario: dirottava pazienti in clinica. Un comportamento «indegno» per chi è chiamato a rappresentare la sanità pubblica, tipico di chi – invece di tutelare gli interessi del paziente e dello Stato – è interessato solo a salvaguardare «il proprio portafoglio». È questo il quadro che spinge il gip Anna Imparato a firmare la misura interdittiva per 12 mesi a carico di Raffaele Tortoriello, primario al Pascale. È accusato di concussione, per aver indotto alcune pazienti (una delle quali deceduta) a lasciare l’ospedale Pascale per accettare interventi presso una struttura privata (la clinica Posillipo, estranea all’inchiesta), nella quale non avrebbe potuto operare.
Chiaro lo schema ipotizzato dalla Procura di Napoli, a proposito del metodo che sarebbe stato usato da Tortoriello: o l’attesa di due mesi al Pascale o un intervento a stretto giro in clinica, in cambio di soldi versati nelle mani del primario appena uscito dalla sala operatoria. Ed è così che in questa storia finiscono quattro casi, quattro donne, costrette a versare dalle sei alle settemila euro, per un intervento di asportazione di carcinoma alle mammelle. Inchiesta condotta dal pm Henry John Woodcock e dal procuratore aggiunto Giuseppe Lucantonio, al termine delle verifiche condotte dal commissario di polizia Arenella e dai carabinieri del Nas. Una vicenda amara, che nasce dall’esposto del compagno di una donna operata nel 2014 e deceduta nel 2018, a causa dell’insorgenza della malattia. Doverosa una premessa: a settembre Tortoriello era stato già colpito da una misura interdittiva per dodici mesi, con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di due pazienti oncologiche, che sarebbero state abusate durante le visite post operatorie; anche in questa occasione – difeso dai penalisti Antonio Abet e Ugo Raia – il primario si dice convinto di poter dimostrare la correttezza della propria condotta.
IL CALVARIO Ma torniamo alla storia delle liste d’attesa e degli interventi. In questa seconda inchiesta a carico di Tortoriello, è indagato anche il medico Rocco Cerra, classe 1962, che avrebbe effettuato alcuni interventi chirurgici in clinica Villa Posillipo, per il quale è stata rigettata la misura cautelare dal momento che – in linea teorica – avrebbe potuto ignorare lo stato di soggezione vissuto dalle quattro pazienti. Storia di quattro donne: Anna, Felicia, Elvira, Elena, a cui viene prospettata una condizione capestro. O accettare il trasferimento in clinica o attendere mesi. Senza deroghe a un protocollo che sarebbe stato sbandierato – a mo’di fisarmonica – dal primario, sempre seguendo la logica del proprio «portafoglio»: alle più anziane veniva detto che avrebbero dovuto attendere gli under 40; alle più giovani, che la malattia si sarebbe diffusa in modo più rapido. E tutto ciò – scrive il gip – senza mai fare cenno alla possibilità – riconosciuta dal Pascale – di accelerare i tempi per i casi di maggiore gravità. E non è tutto. Nella prima vicenda esaminata, quella della donna deceduta nel 2018, Tortoriello si sarebbe presentato dai parenti uscendo dalla sala operatoria, con il camice e la mascherina abbassata.
Si sarebbe fatto consegnare 4mila euro, anche se poi – dopo il decesso -, dalla cartella clinica sarebbe spuntato il nome di Cerra come l’autore dell’intervento. Agli atti anche le rassicurazioni di un anatomapatologo dopo l’intervento in clinica Posillipo, risultate poi poco aderenti alla realtà (vista l’insorgenza della malattia) e la testimonianza di un medico del Pascale (sempre reparto senologia) che ha avuto in cura una paziente di Tortoriello, riuscendo a farla operare presso una struttura pubblica e a non farle accettare l’accordo privato presso una clinica.
INQUINAMENTO PROBATORIO Agli atti dell’inchiesta anche il tentativo di inquinare le indagini, provando a condizionare la testimonianza di una donna ascoltata dagli inquirenti.
Scrive il gip a proposito di Tortoriello: «Di fronte a una paziente informata di un così brutto male, lungi dal tranquillizzarla sulle strade da percorrere nella struttura pubblica, spingeva soprattutto le persone meno abbienti» ad accettare l’intervento a pagamento. Tutto ciò anche «a costo di indurre le parti offese a fare prestiti pur di operarsi, per saldare un onorario riscosso in violazione di legge», da parte di un medico che ora dovrà difendersi dall’accusa di essere un «indegno rappresentante della sanità italiana».

Fonte Il Mattino

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