Amalfi, il giornalista Sigismondo Nastri ed il suo ricordo di San Giuseppe Moscati

Oggi a Napoli si celebra San Giuseppe Moscati ed il giornalista amalfitano Sigismondo Nastri ha voluto ricordarlo con un post sulla sua pagina Facebook: «Una volta, a Napoli, su una ricetta consegnata ad un ammalato, affetto da una grave infermità, all’elenco dei farmaci da assumere, il professore Giuseppe Moscati fece seguire una postilla: “Tornando in Amalfi, fermatevi a Valle di Pompei, confessatevi e comunicatevi. Questa è la prima medicina”.

E ancora: quando il suo amico Antonio Nastri (fratello di mio nonno), che esercitava la professione medica ad Amalfi, gli pose domande sulla possibilità, per un laico, di raggiungere la perfezione evangelica, in data 8 marzo 1925, rispose che, in ogni condizione sociale, si può fare del bene.

“[…] Il medico – gli scrisse in una lettera – si trova poi in una posizione di privilegio, perché si trova tanto spesso al cospetto di anime che, malgrado i loro passati errori, stanno lì lì per capitolare, e far ritorno ai principi ereditati dagli avi, stanno lì ansiose di trovare un conforto, assillate dal dolore. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi errori, e infiammarli di nuovo! Ma è indubitato che la vera perfezione non può trovarsi, se non estraniandosi dalle cose del mondo, servendo Iddio con un continuo amore, e servendo le anime dei propri fratelli, con la preghiera, con l’esempio, per un grande scopo, per l’ ‘unico scopo’ che è la loro salvezza eterna. […]”.

Alla morte, avvenuta il 12 aprile 1927, le testimonianze rese dal Nastri contribuirono a creare le premesse per l’avvio del processo di beatificazione.

Curando i corpi, insomma, il Moscati era capace di giungere fino alle anime, ottenendo già con la parola – notò l’arcivescovo Mons. Ercolano Marini, suo primo biografo – “mirabili effetti”. Ecco, ad esempio, cosa aveva scritto, il 29 aprile 1922, a Consolina Santero, signorina di buona famiglia, che attraversava un periodo di depressione per il risultato insoddisfacente di un esame: “Mi è capitato di leggere, trovandomi a casa del mio amico l’avvocato Riviello, una vostra lettera, allora pervenuta alla sorella Ginevra… Perché mi è stata pôrta a leggere quella sconsolatissima lettera? Perché sono un medico, e mi è lecito penetrare nei segreti di ogni anima. Io non comprendo tanto vostro sconforto! Somigliate per altro moltissimo ai nostri studenti alla vigilia degli esami: durante l’anno, ilari, spensierati, poco amici del tavolino di studio; in prossimità della fine dell’anno tutti mogi mogi, pessimisti; imprecano contro la vita e le fatiche e i dolori!… Via, siate superiore, e tirate innanzi, ché la vita è gioconda! E – a questa massima epicurea – aggiungo un’altra sommamente cristiana. E’ necessario vivere, per compiere il bene ad ogni istante. E per compiere il bene, è assolutamente doveroso resistere a tutte le tentazioni di riposo, di sfibramento. Vincete voi stessa. Mangiate bene e iper-nutritevi; la notte dedicatela a dormire e non a pensare a mille cose angosciose… E Iddio vi ridonerà la serenità, e alla vostra famiglia la gioia di sapervi bene”.

La lettera, in fotocopia (in calce all’articolo) – è ipotizzabile che l’originale sia all’Archivio Moscati a Napoli -, fu trovata a Salerno nell’abitazione della Santero (parente di mia moglie) quando lei morì, in veneranda età, anni fa. Ritengo che si tratti di un documento straordinario e di scottante attualità, in un’epoca caratterizzata da crisi esistenziali, specialmente a livello giovanile. Altro che sedute di psicoterapia, così di moda!».

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