Amalfi, beatificazione di mons. Marini: il ricordo delle lettere pastorali raccolte in un libro

Nel giugno di quest’anno è stata avviata la causa di beatificazione di monsignor Ercolano Marini (1866 – 1950), arcivescovo di Amalfi dal 1915 al 1945. Il trentennio di attività pastorale svolta da Ercolano Marini ad Amalfi è stato compreso, con ogni evidenza, tra eventi epocali che hanno segnato profondamente il secolo passato: l’apocalisse di due guerre mondiali, le dittature e gli odi razziali, le lotte di classe e l’emancipazione del proletariato. Monsignor Marini raccolse le sue lettere pastorali in un volume che ebbe l’ imprimatur ecclesiastico nel 1923, ma che nel clima politico italiano del tempo non ebbe larga diffusione e non fu mai ristampato nei decenni successivi. Riportiamo quanto scrive Alessio De Dominicis per il quotidiano La Città di Salerno.

Si tratta del libro che abbiamo adesso davanti, dal titolo quasi giornalistico “Nel corso degli avvenimenti. 1915-1922: lettere pastorali”, stampato a Milano, presso la Tipografia e libreria pontificia e arcivescovile di Romolo Ghirlanda. Questa raccolta di scritti non poteva non toccare, oltre alla materia liturgica e quella teologica, i temi importanti di natura laicale che caratterizzarono il suo primo settennio da metropolita amalfitano: la Grande Guerra, le battaglie per i salari, i diritti civili e le libertà politiche e sindacali, i prodromi della dittatura fascista. Dopo il decennio in cui aveva retto, dal 1905 al 1915, il vescovado di Norcia, monsignor Marini approdò all’antichissima sede amalfitana, in piena guerra e nella Prefazione al volume di cui trattiamo, datata 1 novembre 1922, egli fa professione di modestia nell’attribuire alla sua scrittura ben poco merito letterario (pag. V). In realtà, insieme alle funzioni proprie del ministero episcopale, egli conosceva ed esercitava da esperto l’arte dell’eloquenza e della retorica, intese come disciplina della parola e della scrittura. Prova ne siano i capitoli dedicati proprio a quegli avvenimenti della vita civile italiana del primo ventennio del Novecento.

Ne forniamo qui i titoli dei capitoli e qualche estratto dalle lettere pastorali, da pagina 95 a pag. 209:

5° “Considerando dall’alto la guerra” (lettera pastorale edita nel gennaio 1918);

6° “Dopo la vittoria” (lettera pastorale edita nel gennaio 1919);

7° “Nell’ansia popolare di rinnovamento” (lettera pastorale edita nel gennaio 1920).

La prima lettera tra queste citate, sul principio del quarto anno di guerra, a poco più di due mesi dalla disfatta di Caporetto e mentre l’orrenda carneficina proseguiva con i nuovi candidati al macello, le giovani leve del 1899, fu scritta anche in polemica con chi imputava alla Chiesa di Roma la responsabilità di aver assecondato la scelta del conflitto. Ercolano Marini, dichiarando che la guerra è un flagello, così scrive: «Noi non ci lasciamo così presto commuovere dai facili idilli del giornalismo, né dall’eloquenza piazzaiola dei comizi: sotto ben altra luce noi consideriamo gli eventi. La parola divina, irradiandoli, ce li fa apparire in modo molto differente da quello con cui ce li mostrano la politica e i partiti» (pag. 96); passando alle cause del flagello, «prodotto dall’errore, intensificato dall’odio, prolungato dall’orgoglio», e in contrasto aperto con la cultura laica interventista, così come con «la malia dei filosofi materialisti, dei liberi romanzieri e dei poeti procacemente immorali», ed è questo un chiaro riferimento alle teorie marinettiane della guerra definita «sola igiene del mondo», prosegue attribuendo alle teorie positiviste contro la fede religiosa una buona parte delle responsabilità del conflitto europeo: «La Kultur incatenava le nazioni, e veniva lentamente addensando, sui limpidi cieli nostri, nubi sempre più fosche, ora scioltesi nel più fatale e disastroso turbine» (pag. 101). È una chiara presa di distanza dalle dottrine filosofiche del nuovo secolo che avevano la pretesa di «creare una civiltà nuova, con nuove basi, con nuovi propositi, con nuovi orizzonti, alla quale è mancato tutto, perché è mancato Dio» (pag. 102). Anche il tempo successivo alla vittoria è visto dal metropolita di Amalfi senza fanatismi celebrativi, mentre con spirito costruttivo esorta alle opere di religione «senza affettazione e frastuono… che deprimono il culto, il quale ama la tranquillità, la sincerità, il raccoglimento». Tra le opere di giustizia sociale auspicate dopo la vittoria (e da lui concretamente favorite) vi è poi la difesa – in quel tempo infame e tragico quasi quanto la guerra – per i soggetti più deboli tra i deboli: gli orfani di guerra e le donne. Nel paragrafo a tutela della dignità della donna (pag. 143) vi è un esempio che da solo dice molto sulla capacità di avanzare i tempi da parte dell’arcivescovo, quando denuncia le tante ingiurie inferte al corpo e allo spirito di tante povere donne contadine, lungo le erte scale della Costa d’Amalfi. Il brano merita di essere riportato per intero: «Pare che una condanna pesi ancora sulle donne dei nostri villaggi. Curve sotto inverosimili pesi, esse discendono alla valle per innumere multiformi scale sconnesse, per sentieri rocciosi, levigati dai quotidiani sudori di doglia», e facendo riferimento a una notissima cartolina illustrata: «Nei vostri album ho veduto una figura che ritrae donne portanti sul collo lunghi barili… e sotto la scritta “Costumi di Amalfi”. O cari, per il comune decoro, strappate quella pagina, che ci condanna e ci infama, mostrando ai più lontani ammiratori delle nostre naturali bellezze quanto ancora siamo indietro nelle vie luminose della civiltà» (pag. 146). Contro la demagogia della politica e dei costumi, questo è stato Ercolano Marini, campione di fede e di carità, che tra i numerosi meriti acquisiti durante il suo lungo ministero pastorale annoverò anche quello di aver fondato ad Amalfi, nel 1919, un orfanotrofio maschile con annessa una scuola di formazione professionale per ebanisti e meccanici. Monsignor Marini morì a Roma, nell’Istituto della Fraternità Sacerdotale, dove si era riti- rato, il 16 novembre del 1950. Tre giorni dopo la salma fu trasportata ad Amalfi. La sua tomba è nella Cattedrale e il nome suo ha ancora la capacità di evocare, nel ricordo degli anziani abitanti della Costa che lo hanno conosciuto, una chiara e perdurante convinzione circa la santità del suo operare, testimonianze vive che rappresentano uno tra i requisiti essenziali nell’attuale legislazione ecclesiastica per introdurre una causa di beatificazione. Per chi voglia conoscere la vita e la fede di Ercolano Marini, oltre al volume che abbiamo commentato, suggeriamo il libro di don Andrea Colavolpe “Quasi aquila nell’Infinito. Ercolano Marini, l’Uomo, il Pastore, il Teologo” (De Luca Editore, Salerno, 2000) e il volume curato da don Luigi Colavolpe “Una via alla Santità”, edito nel 2019, sempre dagli amalfitani De Luca, fedeli sostenitori della causa di beatificazione.

di ALESSIO DE DOMINICIS, La Città di Salerno

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