Salerno, la denuncia di una figlia: “Mio padre è grave ma l’hanno lasciato a casa”

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Salerno. «Non si può decidere chi deve vivere o morire». È lo sfogo di Lucia D’Elia. La sua esistenza e quella della sua famiglia negli ultimi giorni è stata travolta dal Covid. E la giovane di Pontecagnano Faiano, facendo forza sulle poche energie che gli erano rimaste, si è messa al pc e ha scritto una lunghissima lettera per raccontare una vicenda che rischia di avere conseguenze irreparabili: il padre di Lucia D’Elia, infatti, è ricoverato in gravi condizioni nei moduli della terapia intensiva dell’ospedale “Ruggi” di Salerno. In Rianimazione c’è giunto poche ore fa. In quel letto, però, il 58enne libero professionista, uomo che per stessa definizione della figlia «aveva bisogno delle catene per essere fermato», con buona probabilità doveva finirci con grande anticipo visto che le sue condizioni di salute erano già gravi da tempo. Una settimana. «Adesso è grave ma è stabile. Per noi è già un successo perché siamo certi che supererà anche questa battaglia», racconta la donna che, adesso, chiede soltanto verità. Lucia D’Elia vuole sapere perché il padre non è stato ricoverato subito in ospedale viste le sue condizioni e la probabilissima infezione da Covid in atto.

La lunga lettera racconta la vicenda nel dettaglio. Tutto è iniziato il 19 ottobre: l’uomo, dopo tre giorni di febbre, ha iniziato ad accusare problemi respiratori. I familiari, naturalmente preoccupati, hanno allertato il 118: nella loro abitazione sono giunti i sanitari che hanno misurato tutti i parametri al 58enne. Il medico «ha categoricamente escluso che fosse Covid, dicendoci che anche dalla voce era palese che si trattasse di tracheite. Hanno fatto firmare un foglio per rifiutare il ricovero che loro hanno caldamente sconsigliato. Ci hanno detto che “se non ha il Covid, lo prende in ospedale”», racconta Lucia D’Elia.

Due giorni dopo le condizioni dell’uomo peggiorano: «Pensavamo che ci volesse del tempo per consentire ai farmaci di fare effetto», spiega poi la giovane che giovedì scorso si è recata in farmacia per acquistare un saturimetro. Al rientro a casa, la situazione è sembrata ancora più seria: il valore della saturazione dell’ossigeno non superava i 92 e, soprattutto, all’uomo – diabetico e iperteso – viene trovata una glicemia molto alta, ben 340. I familiari del 58enne, dunque, decidono di attivare nuovamente il 118: anche questa volta gli operatori giunti presso l’abitazione di Pontecagnano «ci hanno detto che mio padre non aveva bisogno del pronto soccorso e che era preferibile seguire le cure a casa con l’ossigeno. Anche questa volta ci hanno detto che se fosse andato in ospedale si sarebbe contagiato», rivela la giovane.

Si seguono questi consigli, a casa viene recapitata una bombola per procedere con l’ossigenoterapia. Ma i risultati non si vedono: con il passare delle ore, infatti, il 58enne è sempre più sofferente. In serata, dunque, viene sollecitato un’altra volta l’intervento dell’ambulanza. «Non gli hanno misurato nulla. Ma la dottoressa ci ha detto: “è contagiato. Più coronavirus di così, deve tenerlo scritto in faccia?”». Inizia, dunque, la ricerca di un posto in ospedale per l’uomo: «Ci dicono che l’avrebbero dovuto portare al pronto soccorso del Ruggi con tempi d’attesa variabili fra le 3 e le 7 ore. Ci hanno detto poi che mio padre avrebbe potuto ricevere l’ossigeno soltanto per 40 minuti. A questo punto, abbiamo preferito non procedere con il ricovero: papà era allo stremo».

La svolta arriva soltanto venerdì: nel pomeriggio giunge una dottoressa dell’Usca sollecitata dal medico di base per effettuare un tampone. «Vedendo le condizioni di papà ha immediatamente compreso la gravità della situazione: pensava avesse delle gravi patologie pregresse, quando le ho spiegato che stava bene è rimasta atterrita». Il 58enne, dunque, viene trasferito in ospedale: sottoposto a tampone, arriva la conferma che è positivo al Covid. Le sue condizioni sono serie tanto da decidere il ricovero in terapia intensiva nei moduli del Ruggi: il 58enne di Pontecagnano Faiano ha una grave polmonite interstiziale. Nel frattempo vengono effettuati i tamponi sui familiari di Lucia D’Elia: solo lei è negativa, anche il fratello e la madre hanno contratto il Covid. «Al momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dall’Asl su come dobbiamo muoverci, sul nostro isolamento», racconta con tanta amarezza. «Ci siamo rintanati in casa da giorni solo per coscienza civica». Ma la loro situazione, adesso, diventa marginale. Perché resta il grande punto interrogativo sul motivo per cui non si è deciso di procedere con il ricovero. «Hanno deciso di vedere mio padre morire», racconta con amarezza la giovane di Pontecagnano Faiano. «Stiamo vivendo una situazione terribile. Appena sarà risolto tutto, chiederò in ogni modo la verità e giustizia per quanto ci è accaduto. Capiamo la gravità di quant  sta accadendo ma nessuno si può permettere di decidere se un uomo deve vivere o morire».

Fonte: La Città di Salerno

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