Napoli, contagi da record. E il Ministero ipotizza il lockdown

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Campania: si arriva a 2.761 casi. Ed è il nuovo record di contagi da quando è iniziata la pandemia. Non solo, come riporta Il Mattino, perché la percentuale di letti di intensiva occupati da malati di Covid-19 supera per la prima volta in regione la soglia d’allarme del 30 per cento nonostante siano stati bloccati gli interventi di routine negli ospedali pubblici e privati. Ma a scatenare panico è anche la sortita di Walter Ricciardi, il consulente del ministero della Salute, che afferma come «a Milano e Napoli, servirebbe il lockdown perché ci si può contagiare anche andando al bar». Lì, in Lombardia, insorgono Fontana e Sala, in Campania solo de Magistris. Mentre per ore inizia a girare la voce che da palazzo santa Lucia stia per partire il provvedimento di zona rossa per Napoli. Non è vero alla fine ma nella lunghissima riunione dell’unità di crisi se ne è discusso.

Ben sette regioni sono da «codice rosso», perché «palesano un aumento dei ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive molto sostenuto se confrontato con quello della fase acuta registrata ad aprile». In testa la Campania «con ricoveri più che raddoppiati rispetto ad aprile (+2,4 volte)». È il dato allarmante dell’osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane coordinato da Walter Ricciardi, ordinario alla Cattolica ma soprattutto consulente del ministro della Salute.

Dato già negativo a cui si aggiunge lo scenario per due città italiane che illustra proprio il professor Ricciardi: «A Milano e Napoli uno può prendere il Covid entrando al bar, al ristorante, sull’autobus. Stare a contatto stretto con un positivo è facilissimo perché il virus circola tantissimo. In queste aree il lockdown è necessario, in altre aree del Paese no». E aggiunge: «Se sei a Milano è un luogo dove te lo puoi prendere anche al cinema. In altre città la situazione non è la stessa. A Milano e Napoli è impensabile qualsiasi attività che prevede l’avvicinarsi di persone negli spazi chiusi». Ci troviamo, infatti, aggiunge, in presenza «di migliaia di soggetti asintomatici che tornano a casa, dove non si indossa la mascherina, ci si bacia e ci si abbraccia».

Parole come pietre in una regione come la Campania dove ieri, tra l’altro, si è deciso di non riaprire nemmeno le scuole elementari nonostante De Luca la scorsa settimana avesse paventato un ritorno in classe almeno per la primaria.

Eppure lo scenario illustrato da Ricciardi non è affatto una novità. Proprio sabato il governatore De Luca ha illustrato in conferenza Stato regioni come il picco dei contagi sia a Napoli e la sua provincia. «C’è un problema territoriale nell’emergenza Covid, il 60 per cento dei contagi è nell’area metropolitana di Napoli. Abbiamo vietato la mobilità tra le province ma dovremmo fare zona rossa tutta l’area metropolitana di Napoli», spiegò ai colleghi e ai ministri Boccia e Speranza il governatore. Idea, quella di una zona rossa napoletana, balenata la settimana scorsa a Santa Lucia ma, si resero conto i tecnici della Regione, impossibile da attuare. Perché una cosa è un paese di 30-40mila abitanti con pochi accessi e, quindi, controllabili da militari e forze dell’ordine, un’altra cosa è una città da un milione di abitanti e, peggio, la sua provincia. Ma proprio da questa impossibilità la settimana scorsa è scattata l’ordinanza per vietare lo spostamento da una provincia all’altra della Campania. Insomma, prima dell’allarme di Ricciardi, il caso Napoli era già noto.

Sarà anche per questo motivo che da palazzo Santa Lucia non scattano reazioni verso il consulente del ministero della Sanità. Zero perché il quadro era già tristemente noto. A irritarsi è invece il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ma più che altro per l’irritualità della comunicazione: «Qua le parole sono piombo: chi ha gli elementi per fare una comunicazione ufficiale lo facesse innanzitutto nei luoghi istituzionali, poi li comunichiamo a mezzo stampa come doveroso per ragioni di trasparenza. Altrimenti – attacca il sindaco di Napoli – creiamo solamente allarmismo e preoccupazione e alla fine non facciamo niente di buono».

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