Arsenale di Amalfi il salotto urbano disegnato da Maiorino

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Le allegorie mitologiche e medievali in dialogo con il contemporaneo, che caratterizzano l’opera di William Kentridge, non sono l’unico simbolo scelto per battezzare la riapertura degli Arsenali di Amalfi, celebri per aver ospitato, nel 1968, la rassegna Arte Povera più Azioni Povere, curata da Celant. Il rinascimento amalfitano passa infatti anche per un intervento, realizzato dall’architetto cavese Emilio Maiorino, grazie al quale finalmente lo spazio che anticamente ospitavano sagene e galee può essere visto da tutti e quattro i lati. Il nuovo salotto amalfitano è una corte aperta, realizzata su un invaso più basso di circa 80 centimetri rispetto alla strada, pensato come luogo di sosta e di relax, ma anche come progetto teso a recuperare il patrimonio storico e identitario dell’antica repubblica marinara. «L’intervento, partito un anno fa per volontà del sindaco Daniele Milano, è stato ultimato recentemente dopo lo stop imposto dal lockdown chiarisce Maiorino L’ispirazione prende spunto dalla conformazione urbanistica di un luogo contrassegnato da slarghi propri delle città di impronta medievale e l’obiettivo era quello di ricreare una di queste zone in uno degli spazi più suggestivi e ricchi di cultura».

I TEMI I temi e i simboli della Costiera sono stati analizzati e sviluppati per coniugare contemporaneità, accoglienza, nuove visualità e memorie emblematiche della città, come la bussola e la Croce di Malta, i terrazzamenti, i limoneti, le pergole. Le esigenze funzionali, si legge nel progetto redatto da Maiorino, erano quelle di liberare lo spazio e rendere immediatamente visibile gli Arsenali e di creare una struttura all’aperto dove accogliere eventi collegati alla nuova stagione artistica. «Il principio ispiratore continua l’architetto è quello del cerchio euclideo, intorno al quale sono state realizzate diverse sedute, dalle panche a vari gradoni su due lati a quelle di nuova concezione urbana, fino alle chaise longue per sedute informali e alle panche singole continue. Uno spazio conurbato, che potrebbe dirsi un luogo o una camera urbana. Ho preferito definirla una corte di accoglienza domestica, come sono tutti i luoghi di Amalfi». Le lastre di pietra lavica, lavorate a bocciarda grossa e a scalpello, si illuminano dell’ago smaltato in giallo che rimanda all’antico giglio angioino-napoletano. La copertura è bioclimatica e riprende le antiche tecniche della coltivazione dei limoni: la struttura in acciaio, raffigurante la Croce di Malta, è resa unica da una maglia di pali di ontano montati a canestro come una ceramica dipinta a mano. Qui, «gli elementi in legno ed acciaio, si fondano per contribuire a creare un ambiente confortevolmente gradevole anche in piena calura estiva». L’idea progettuale dell’architetto era infatti quella «di assorbire le tecniche tradizionali e riproporle in chiave contemporanea», operazione già realizzata nel complesso monumentale di San Giovanni a Cava de’ Tirreni, «dove si è operato il restauro con materiali tradizionali e autoctoni e con tali tecniche si è realizzato l’intero pergolato che circoscrive il chiostro». In quel caso il recupero delle antiche tecniche tradizionali è stato riconosciuto dall’Istituto internazionale delle Tecniche tradizionali (Itki). La durabilità dei materiali, che è stata una delle scelte messe in campo per il salotto amalfitano, ha invece caratterizzato un altro intervento precedentemente realizzato da Maiorino a Salerno, la cosiddetta Tonda del trincerone ferroviario, ancora integra dal 1986. Pensata per i residenti, ma soprattutto per i turisti, la corte amalfitana è poi dotata di un impianto di vaporizzazione ad acqua per rendere più tollerabili le temperature durante la stagione estiva.

Fonte Il Mattino, Barbara Cangiano

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