Addio ad Enzo Mari, il maestro del design internazionale

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Addio ad Enzo Mari, il maestro del design internazionale. Solo pochi giorni fa alla Triennale di Milano si era inaugurato quello che doveva essere l’omaggio a uno dei più importanti e innovativi designer del Novecento: Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli. Enzo Mari, protagonista di questa mostra (che resterà aperta fino al 18 aprile, catalogo Electa) è morto il 19 ottobre a Milano a 88 anni all’Ospedale San Raffaele dove era da tempo ricoverato. Un percorso creativo e intellettuale scandito da oltre 1.500 oggetti e da cinque Compassi d’Oro, di cui l’ultimo (alla carriera) nel 2011. Una vita, quella di uno dei maestri che hanno contribuito all’ascesa del Made in Italy, raccontata, con ironia e intelligenza, nel suo ultimo libro, pubblicato nel 2011 da Mondadori e dal titolo che già definisce lo spirito e la filosofia di Mari 25 modi per piantare un chiodo.

Formatosi all’Accademia di Brera, era nato a Cerano, in provincia di Novara, il 27 aprile 1932, ma ha sempre vissuto a Milano (dove è stato a lungo docente al Politecnico). Un legame profondo, quello di Mari con Milano, testimoniato dal presidente della Triennale Stefano Boeri nel suo messaggio di commiato pubblicato su Facebook: «Ciao Enzo. Te ne vai da Gigante». Proprio a Milano Mari aveva tra l’altro scelto di donare tutto il suo archivio: disegni tecnici, modellini, prototipi, lucidi, disegni, prove di stampa, manifesti, opere d’arte, fotografie, libri e cataloghi (dal 1952 al 2015) destinati a essere riordinati, conservati e Messi a disposizione del pubblico al Casva, il Centro di Alti Studi sulle Arti Visive.

Celebre per il suo carattere duro (per non dire difficile), Mari fin dagli anni Cinquanta ha partecipato ai movimenti di avanguardia, ma ha sempre rifiutato il cliché dell’intellettuale astratto e lontano dal pubblico, puntando invece su una filosofia del design come attività volta a trasformare la società: «Io so solo che appena una cosa deve venire prodotta, essere venduta, è merce». Con il suo rigore, con l’eleganza formale dei suoi oggetti, con il suo impegno politico-sociale Enzo Mari è stato, per il mondo del design, un punto di riferimento imprescindibile, come aveva certificato a suo tempo un altro maestro del design italiano, Alessandro Mendini: «Mari non è un designer, se non ci fossero i suoi oggetti mi importerebbe poco. Mari invece è la coscienza di tutti noi, è la coscienza dei designers, questo importa».

Una coscienza, quella di Mari, che sapeva (e voleva) anche essere scomoda: quando il 9 aprile del 1973 la Galleria Milano si inaugura con una sua personale dal titolo Falce e martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe, lo scalpore è grande soprattutto perché quella mostra (appena riproposta dalla stessa galleria milanese fino al 16 gennaio) rappresentava un modo per leggere il cambiamento epocale che aveva riguardato non solo la società, ma anche il tessuto culturale e lo spirito più profondo della città di Milano. Dopo un animato dibattito, la stessa sera dell’inaugurazione viene, tra l’altro proiettato, il film Comitati politici – Testimonianze sulle lotte operaie in Italia nella primavera del ’71, realizzato da Mari con il Gruppo di Lavoro, composto da alcuni studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.

Mari ha ri-disegnato il nostro panorama domestico (e non solo) con oggetti diventati con il tempo vere e proprie icone: il vassoio Putrella (Danese); le sedie Soft Soft (Driade) e Delfina (Rexite), il cestino gettacarte In attesa e il calendario a parete Formosa (Danese); la sedia Tonietta (Zanotta); le pentole Copernico e le posate Piuma (Zani&Zani); lo spremilimoni Squeezer (Alessi), il portaombrelli Eretteo e l’appendiabiti Togo (Magis).

Amico e collega del grande Bruno Munari, a cui si ispirò per i suoi 16 animali, celebre puzzle a incastro progettato nel 1956 e messo in vendita da Danese nel 1957, Mari concepiva il design come funzione sociale, come un impegno politico, che (grazie proprio al raffinato minimalismo dei suoi progetti) era riuscito a imporre anche nei salotti della ricca borghesia milanese. Un impegno che oggi sembra davvero mancare a molti designer contemporanei.

Fonte Corriere della Sera

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