Sant’Agnello. Breve storia del monumento ai caduti. Il libro di Franco Gargiulo video

Il mio ultimo lavoro parla del monumento ai caduti in guerra la sua storia e la storia dei tanti giovani che immolaromo la vita la libertà del nostro paese. Di alcuni caduti sono riuscito a trovare anche il luogo di sepoltura ancora sconosciuto parlo inoltre delle viti e della mm Giovannina affondata dai tedeschi nel 1943 e molte altre notizie..

Generico ottobre 2020

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Franco Gargiulo è nato a Sant’Agnello (Napoli) nel 1958. È sposato e ha due figli. Dopo aver conseguito il Diploma di Capitano di Lungo Corso, ha navigato su navi petroliere. Dal 1983 lavora presso il Comando di Polizia Municipale di Sant’Agnello e, attualmente, ricopre il ruolo di Luogotenente. Appassionato di storia locale e narrativa in genere, dal 1991 ha pubblicato numerose opere tra cui: “La conquista di Gerusalemme” (trascrizione in prosa della Gerusalemme Liberata), “Il mistero della casa affacciata sul mare” (romanzo), “Il profumo del mare sulla pelle” (romanzo), “Salvatore Sentimento, il figlio del prete” (romanzo), “Quando sulle strade della Penisola Sorrentina correva il tram”, “Le chiese e le cappelle nel territorio di Sant’Agnello in Penisola Sorrentina”, “Storia del Comune di Sant’Agnello dal 1866 al 2016”, “Il segreto del manoscritto di Gesù di Nazareth” (romanzo storico), “Una Stella spuntò su Betlemme” (romanzo) e “Storia della Città di Sorrento e della sua splendida penisola dalla Preistoria all’Unità d’Italia”. È Membro dell’Associazione Studi Storici Sorrentini.

DA TRECCANI      NICOLINI, Giovanni.  Nacque a Palermo il 14 aprile 1872 da Giuseppe, decoratore di una certa fama.

Ricevette i primi rudimenti dallo zio Filippo, intagliatore e autore di numerosi crocifissi e Madonne in legno. Intorno al 1890 si iscrisse ai corsi del Museo artistico industriale di Palermo sotto la direzione di Vincenzo Ragusa, che nel 1892 lo volle con sé a Roma come collaboratore in una mostra didattica bandita dal Ministero per l’Industria e il commercio per premiare i migliori saggi degli allievi delle scuole del Regno.

Al termine della mostra, malgrado le ristrettezze economiche, decise di non rientrare a Palermo ma di rimanere nella capitale. Fu accolto nello studio di Giulio Monteverde, ottenendo grazie all’interessamento di questo una pensione annua che lo sollevò almeno in parte dai problemi finanziari. Presto però si allontanò dalla bottega del maestro per iniziare un percorso autonomo, culminato nella realizzazione della Piccola vedetta lombarda,ispirata al libro Cuore di Edmondo de Amicis. La scultura fu accolta con entusiasmo alla Promotrice di Palermo del 1893, suscitando stupore per la maturità dimostrata da Nicolini nel conciliare la resa estremamente naturale del corpo con una forte accentuazione patetica, e fu premiata con una medaglia d’oro; tradotta in bronzo, fu acquistata dal ministro della Pubblica Istruzione e oggi si trova nel giardino inglese di Palermo.

Alle grandi composizioni alternava opere di dimensioni più ridotte, quali Margaritella, esposta a Torino nel 1894 e acquistata da Umberto I che la insignì della medaglia d’oro, il Ritratto del pittore Sciuti (acquistato dal Comune di Palermo)  e il Menestrello. Dopo aver dato prova di notevoli capacità introspettive nel campo del ritratto, con i busti di Giacomo Leopardi, del Colonnello Giuseppe Galliano (1898; Roma, via Lepanto),

del Duca di Verdura (collezione privata), si dedicò a un soggetto verista a sfondo sociale, sull’esempio illustre di Vincenzo Vela: i Figli della zolfara (Latina , Civica Galleria d’arte moderna); l’opera si basa sull’efficace contrasto tra due tipologie di minatori: l’uno, dalla fronte ampia e dallo sguardo accigliato, esprime la coscienza della propria condizione e il disprezzo per chi lo sottopone a tale schiavitù, l’altro, abbrutito dal lavoro, ha una espressione vuota, indice dell’inconsapevole passività di fronte alle fatiche e alle sofferenze che è costretto a subire.

Nel 1900 Nicolini, che frequentava la Scuola libera del nudo, vinse il pensionato romano con il bassorilievo Le Marie al sepolcro, in cui, secondo la critica, seppe fondere il tono mistico, appropriato alla composizione, con il realismo delle forme. Questo evento segnò un punto di svolta nella sua carriera, e da quel momento un susseguirsi di premi e onorificenze gli permise di ottenere importanti commissioni pubbliche. Tra i monumenti celebrativi, spiccano quello dedicato a Francesco Crispi,

inaugurato nel 1901 (Palermo, chiesa di S. Domenico), in cui, raffigurando ai lati del cippo la Sicilia e il michelangiolesco Genio della Rivoluzione, mirò a conciliare la struttura architettonica con la decorazione plastica, e quello all’economista Francesco Ferrara (ibidem), che rispecchia ancora i canoni dell’iconografia ottocentesca nella personificazione dell’Economia politica, posta accanto alla figura austera dello scienziato, nell’atto di reggere la penna e il timone.

Durante gli anni del pensionato applicò le ricerche formali al tema del nudo, in opere fortemente espressive di sentimenti o passioni, spesso giocate sul contrasto tra corpi femminili e maschili reciprocamente avvinti: il Piacere nel quale soprattutto la figura femminile dalle chiome fluttuanti e dalle forme avvolgenti rivelava una forte impronta liberty; il Vinto, ispirato alla scultura di Rodin, di cui Nicolini si dichiarava fervente ammiratore; il Risveglio (Roma, Istituto Superiore di Sanità), fino alla Meditazione, modellata a conclusione del quadriennio di studi, divenuta di proprietà dello Stato. Nel 1906 all’Esposizione di belle arti di Milano presentò il gruppo bronzeo Falciati (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), ancora incentrato sul tema del lavoro, interpretato in chiave di denuncia sociale e di commossa partecipazione verso i vinti, in questo caso incarnati dalla figura del falciatore, crollato sotto i colpi della fatica e del solleone sul grano che ha appena tagliato.

Del 1905 circa è il Busto di Ofelia (Düsseldorf, Galleria d’arte moderna), in cui il tema shakesperiano è affrontato con sensibilità moderna, espressa dal volto caratterizzato «dal profondo degli occhi smarriti e dalle labbra tremanti di singhiozzi inconsolati» (Scarpa, 1927, p. 48). L’anno successivo eseguì il bronzo dal titolo Chimera del Polo, «quale sfinge su gelida roccia» (ibid.).

Nel 1906 partecipò al concorso milanese per il Monumento a Giuseppe Verdi, ma non vinse, malgrado il suo bozzetto fosse considerato il più originale (ibid., p. 58), perché si staccava dal cliché tradizionale della statuaria monumentale con la figura del personaggio in rendigote, per evocare piuttosto la sintesi plastica del genio: al centro della composizione,  infatti, un’erma gigante sovrastava l’allegoria vera e propria, incentrata sul mito di Orfeo, intento a suonare con la lira la melodia prodotta dalle sette note, avendo accanto un leone ammansito.

Nel 1907, risultato tra i vincitori nel concorso nazionale per le sculture del Monumento a Vittorio Emanuele di Giuseppe Sacconi, realizzò una delle statue delle regioni italiane poste sul coronamento, la Calabria, possente cariatide, perfettamente consona, per la purezza delle linee e delle forme, allo stile classico del monumento. Anche nel successivo Monumento a Carlo Porta    rimase fedele a un linguaggio aulico, basato sull’evocazione della personalità del poeta tramite una rappresentazione allegorica. Tuttavia seppe rinnovare il lessico tradizionale di ascendenza neoclassica, abolendo i consueti attributi delle personificazioni per approdare a una simbologia scarna e sintetica. Nel 1911 realizzò il gruppo marmoreo Trionfo politico per il ponte Vittorio Emanuele II sul Tevere.

Accanto a tali imprese monumentali si dedicò a opere di ispirazione mitologico-pastorale, in sintonia con il gusto estetizzante di D’Annunzio, come la serie di Satiri, Ninfe e Baccanti raffigurati in pose contorte e lascive (EbbroProvandoVecchio fauno) o la Fontana Gaia, collocata nel 1929 nel giardino del Lago di villa Borghese a Roma. A questa tendenza appartiene anche il bronzo Pomona, esposto nel 1924 alla Biennale di Venezia (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti).

In contatto con i personaggi più illustri del secolo, annoverò tra i suoi amici oltre a D’Annunzio e Rodin, anche Ugo Ojetti, Luigi Pirandello, Beppe Ciardi, Ivan Mestrovich e Antonio Mancini, del quale eseguì un busto in bronzo (1920) rimasto di proprietà dell’artista, mentre il ritratto che Mancini fece a Nicolini fu da questi donato all’Accademia di S. Luca a Roma.

Il periodo di attività più fecondo coincise con la produzione di opere per l’America Latina, a partire dal Monumento a Joaquim Nabuco, eretto a Pernambuco per celebrare l’apostolo delle liberazione degli schiavi in Brasile.

Per l’Avana, a Cuba, gli furono commissionate la statua equestre del generale Alessandro Rodríguez (1924)

e i monumenti a José Miguel Gómez (1925)

e a Carlos Aguierre (1926).

Di ritorno in Europa, alternò la vocazione per un’ arte eroica, celebrativa dei personaggi illustri del suo tempo, a opere di ispirazione più intimista e personale, come I miei figli. Roberto, Marcello, Giovanni (Palermo, Galleria d’arte moderna), e Mia figlia Anna (Roma, Galleria d’arte moderna). Dopo il Bruto, esposto alla Biennale di Venezia del 1922, eseguì la statua in bronzo Vedetta goliardica, emblema della gioventù fascista, che fu presentata alla II Quadriennale di Roma e acquistata dallo Stato per essere poi collocata nel 1935 nella Città universitaria.

Gli ultimi due decenni lo videro molto impegnato nell’arte religiosa: realizzò, fra l’altro, la Via crucis per la chiesa di S. Croce in Gerusalemme a Roma (1933), il gruppo colossale di S. Eufrasia Pellettier (1940)

per la basilica di S. Pietro in Vaticano e, nell’anno santo 1950, la Pietà, esposta alla Mostra internazionale di arte sacra e acquistata dal ministero della Pubblica Istruzione. Tra le ultime opere vi fu il bassorilievo in bronzo raffigurante la Scienza, realizzato nel 1950 e collocato nell’anti-aula magna dell’Istituto superiore di sanità di Roma.

Fu anche discreto pittore, dedito, nei momenti di pausa dall’attività di scultore e nel corso dei suoi viaggi all’estero, alla pittura di paesaggio.

Sposato dal 1900 con Marceline Colignon, nata ad Anversa, ebbe sei figli: Marcello, Roberto, nato nel 1907 e divenuto un celebre architetto, Giovanni Jr, che seguì le orme paterne dedicandosi alla scultura, infine Ortensia, Anna e Dora.

Morì a Roma nel 1956.

Fonti e Bibl.: D. Natoli, G. N. scultore, Roma 1909; P. Scarpa, G. N., Roma 1927; G. Brigante Colonna, Il giubileo artistico dello scultore G. N. Conferenza tenuta … alla Reale Insigne Accademia di S. Luca, Roma 1942; A. Riccoboni, Roma nell’arte. La scultura dell’Evo Moderno dal Quattrocento ad oggi, Roma 1942, pp. 501-503; F. Sapori, Scultura italiana moderna, Roma 1949; M. Borghi, Una vita per l’arte. Storia e poesia nelle opere di G. N., Roma 1955; M. Nannipieri, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, III, Scultura, a cura di B. Patera, Palermo 1994, pp. 240-242; A. Panzetta, in Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento: da Antonio Canova ad Arturo Martini, II, Torino 2003, pp. 651 s.

 

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