Ugo Marano e l’utopia della ceramica. Dalla Fontana Felice a piazza “contare fino a 7”: ecco cosa resta dell’artista esperienziale
Ugo Marano e l’utopia della ceramica. Dalla Fontana Felice a piazza “contare fino a 7”: ecco cosa resta dell’artista esperienziale.
«L’arte è gesto fondante » e ancora, «Poesia, arte e filosofia non sono censurabili». Sono solo due dei pensieri fondanti dell’opera di Ugo Marano. Ceramista, scultore, libero pensatore, utopista, performer , artista a tutto tondo, Ugo Marano è stato un esponente eclettico dell’arte non solo salernitana, avendo esposto anche alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia e al Carrousel du Louvre a Parigi. A Salerno e in provincia lui, originario di Capriglia di Pellezzano, ha realizzato diverse opere “urbane”, messe a disposizione della collettività, molte delle quali però segnate dal vandalismo e dall’incuria. La Fontana Felice, nel centro di Salerno, posizionata nella piazzetta antistante la Chiesa di San Pietro in Camerellis, è forse la più nota. Una grande vasca ricoperta di mattonelle in ceramica blu, nella quale fragili becchi di vasetti comunicanti stillavano acqua in un gioco fatto anche di suoni. «La realizzazione della Fontana Felice è durata un bel po’», ricorda Antonio De Martino, uno dei fratelli titolari delle Fornaci De Martino di Ogliara, sulle colline salernitane, con cui Marano ha collaborato per tanti anni. «Già mio padre gli portava dell’argilla speciale a Capriglia per le sue opere», ricorda De Martino, per il quale, la realizzazione della Fontana, così come l’interazione con Ugo Marano, negli anni, è stata «un’esperienza particolare, qualcosa di unico, di fantastico. Ugo dava le sue pillole di saggezza e misticismo. Si rimaneva incantati al solo vederlo e ascoltarlo. Quello che lui ha fatto è visibile attraverso le sue opere ma lo stare insieme era una cosa eccezionale e quando si ha a che fare con persone come lui, bisognerebbe essere delle spugne per apprendere ogni cosa». La Fontana Felice aveva quella particolare conformazione perché «doveva essere gioiosa nell’utopia di Ugo», prosegue De Martino, «il gioco d’acqua che aveva creato era davvero particolare, con gocce che cadevano di vaso in vaso mentre da un secondo, grande vaso, l’acqua scendeva a velo. Ugo pretese che alla fontana venisse data acqua potabile. Era un abile ceramista. Realizzò a mano, su un piccolo tornio, una delle grandi vasche che la componevano. Quando lavorava, sembrava che dalle sue mani gli oggetti uscissero con grande semplicità anche se in realtà faceva qualcosa di complesso. Pure il colore della fontana, quel particolare tono di blu, fu creato da lui, che voleva che fosse esattamente di quella intensità e le mattonelle che la ricoprono sono un capolavoro di artigianato: non sono quadrate ma trapezioidali per seguire la forma ovale della vasca ». Purtroppo oggi di quella fontana è rimasto poco, trasformata in una fioriera dopo essere stata vandalizzata. «Ma ancora oggi è un pezzo di arredo incredibile », commenta De Martino, «risulta un po’ nascosta ma c’è ancora qualcosa che si può apprezzare, come i disegni sulle piastrelle», che restituiscono qualcosa dell’eccentricità dell’autore, «persona davvero gentile, che si fermava a parlare con le persone che passavano di là mentre lui creava la fontana e che ha immortalato in disegni e frasi tutt’ora leggibili».
«Ugo ha rifatto quella fontana per ben quattro volte», ricorda la moglie, Stefania Mazzola Marano. «Si era rammaricato spiega – che la città non era pronta al fragile. Per lui l’importante era il fare. L’arte era per lui un andare avanti». Nella stessa zona di Salerno, nella traversa De Vicariis, è presente un’altra opera: la piazza “contare fino a 7”, costituita da 7 sedute, una per una sola persona, la seconda per due persone, due amanti, la terza per un menage a trois … un arredo urbano che sottolinea l’importanza dello stare insieme. «Il 7 è un numero magico per Ugo, – svela la moglie – ricorre spesso nelle sue opere, un numero primo». I numeri erano importanti per Marano, così come il suono della ceramica. Diverse sue opere “suonano”, come il Tavolo del Paradiso, un’installazione originariamente esposta in Cilento e
che i De Martino contano di riportare nella propria sede in occasione del decennale dalla morte, che ricorrerà nel 2021. Un maestoso tavolo di ferro a forma di croce greca, con un bicchiere e un piatto a ogni posto, che, sferzati dal vento, tintinnano emettendo un suono affascinante. Un’opera dal valore simbolico, attorno alla quale Marano auspicava che si sedessero i sindaci del Cilento. Tra le opere più significative, il monumento a Mamma Lucia, la donna che cercò, ricompose e diede degna sepoltura ad oltre 700 soldati caduti, non solo italiani, nella seconda guerra mondiale. «Ugo voleva che fosse un’opera perfetta, – racconta Stefania Mazzola Marano – una seduta per parlare di pace e di amore. Fu realizzato con un blocco intero di marmo proveniente dalle Alpi Apuane, dalla stessa cava da cui proveniva il marmo utilizzato da Michelangelo per le sue opere. Ricordo che Ugo si commosse al solo pensiero di usare un marmo della stessa qualità di quello usato dall’autore de La Pietà». Nella sua Cetara, dove visse per anni, si trova invece la Fontana di Napoleone e una serie di mattonelle lungo la discesa della Torre di Cetara: anche qui torna la sonorità della ceramica. Il vento gioca con le mattonelle lungo un percorso che Marano percorreva spessissimo che crea una galleria d’arte a cielo aperto.
La Città di Salerno