Piano di Sorrento, Don Pasquale nella terza serata della Novena ci spiega il valore della scritta “Quis ut Deus” presente in Basilica

Piano di Sorrento. Nella terza serata della Novena di preparazione alla solennità di San Michele Arcangelo, celebratasi mercoledì 23 settembre, Don Pasquale Irolla concentra la sua attenzione sul significato della scritta “Quis ut Deus” che ritroviamo in diversi angoli della nostra Basilica. Ascoltiamo le parole di Don Pasquale:

«Scorrono le sere della Novena e noi lentamente carburiamo spiritualmente, accordando il nostro cuore e il nostro spirito, i pensieri al cuore di Cristo, entrando nel santuario di Dio. Continuiamo ad imbastire un colloquio sulla devozione all’Arcangelo. Ci siamo detti la prima sera che da sempre il Vespro di San Michele, la Novena all’Arcangelo, è la grande opportunità per riprenderci e riaccoglierci come comunità parrocchiale.

Questa sera dedico la meditazione al “Quis tu Deus” che è il nome dell’Arcangelo Michele e che è la scritta che ci guarda in Basilica. Non c’è un angolo della Basilica da cui noi non siamo guardati dalla scritta “Quis ut Deus”. E’ da tutte la parti, non puoi nasconderti in nessun anfratto della Basilica o della sagrestia senza cogliere degli occhi che ti vedono. Sono gli occhi di Dio. “Quis ut Deus”, per ricordarci che noi comunità parrocchiale di San Michele Arcangelo siamo una comunità di contemplativi, abbiamo la stessa vocazione dell’Arcangelo, cioè quella di fissare gli occhi in Dio. Nell’esperienza che noi facciamo tante volte della Santità di Dio, della Sua luce, della Sua bellezza. E’ questo avvertire dentro di noi una sorta di brivido dietro la schiena, sentirci piccoli ma allo stesso tempo così importanti e preziosi agli occhi di Dio. Avvertire una meraviglia, uno stupore immenso ed allo stesso tempo un timore, una paura, un blocco nell’avvicinarci.

“Chi è come Dio”? Cosa vuol dire per noi riandare alla vocazione di essere contemplativi? Vuol dire tante cose. Provo a dirne alcune in questa sera. Siamo tutti adulti questa sera e perciò abbiamo superato l’orgia della vita, questo delirio di onnipotenza, questa voglia di fare esperienze, di goderci ogni istante. Per cui ciascuno di noi ha imparato a mettere un po’ a distanza il mondo, termine della tradizione spirituale classica. C’è un tempo della vita (che può durare fino alla morte) in cui si ha voglia di fare esperienze, sei innamorato del mondo, della cultura che ti arriva dalla pubblicità che assorbi senza far niente, che ti dice “puoi essere sempre vincente, devi essere sempre al top, non devi perderti nulla”, tutte cose che sono fumo negli occhi. E viene il momento in cui ognuno di noi se ne accorge, chi prima, chi poi. A volte ce ne accorgiamo perché facciamo un grande scivolone, andiamo a pezzi e ci rendiamo conto che stavamo inseguendo una strada sbagliata. Altre volte può essere una malattia, una difficoltà di salute, l’essere visitati dalla morte. O semplicemente accorgerci che stiamo invecchiando, un capello bianco, le forze che ci vengono a mancare e sentirci un po’ guardati a distanza dai figli, dagli adolescenti. E ti rendi conto che l’incanto si è rotto.

Noi siamo invitati questa sera a renderci conto che per riandare alla nostra altissima vocazione di essere contemplativi, come l’Arcangelo San Michele ci invita addirittura già nel suo nome, siamo chiamati a mettere a distanza un po’ le cose del mondo. E una volta che ci sforziamo di metterle a distanza siamo entrati in una mentalità che ci fa vivere alla grande, ci fa nascere dentro il desiderio di vivere, di amare, di essere amati, ma anche con quella sorta di disincanto, di sguardo a distanza che abbiamo ricevuto un giorno e che cerchiamo di conquistarci giorno dopo giorno. In questa circostanza noi possiamo approdare alla dimensione di essere dei contemplativi. Che significa? Non è facile, ma è possibile ed è una bella strada che si apre davanti a noi perché quando guardi con un po’ di disincanto la tua vita, le cose bella della vita, le guardi dalla finestra dell’eternità, ti rendi conto di tante cose. E la prima cosa di cui ti rendi conto è che tu con la tua vita non sei chiamato a fare cose grandi, non devi essere sempre vincente, non devi attrezzarti e quindi attrezzare anche i tuoi figli perché imparino a destreggiarsi nella vita affilando le armi, imparando di tutto. Ma quello che ti chiede Gesù semplicemente è: “Mi vuoi bene?”.

Lo dico a Nello, quando diventerai parroco avrai la tentazione di imparare tante cose, di fare cose eclatanti, di saper rispondere alle urgenze e ai problemi della vita, ad avere un’opinione autorevole sulla pandemia, a scegliere la strada vincente nella pastorale. Benissimo, però tutte queste cose con la morte vanno via, se non prima. Anzi generano dentro di noi un’ansia, una corsa che rende degli infelici e dei disperati. Degli infelici verso noi stessi perché ci sentiamo degli inadeguati sempre, perché non abbiamo sempre la risposta giusta e la via giusta al momento giusto. Ma anche dei disperati perché non riusciamo ad indirizzare come vorremmo, per esempio, i nostri figli. Invece l’Arcangelo San Michele ci ricorda che quello che ti chiede Gesù è: “Ma tu mi vuoi bene? Hai ancora fede? Mi guardi negli occhi?”.

Quel che viene chiesto ad un credente, ancor di più ad un contemplativo, è di essere di casa nel cuore di Dio. Di avere la chiave per entrare nel cuore di Dio. Di sentirsi a proprio agio quando ci si ferma a pregare, di avvertire che a furia di mettere a distanza queste voci che ululano dentro di noi e che ci spingono ad attrezzarci, ad agguerrirci, ad accumulare titoli o doti o risultati o successi, mettendo a tacere queste voci ti senti meglio ed impari ad essere di casa nel cuore di Dio. Certamente non c’è nessuna presunzione in quello che sto dicendo, perché Dio ha dei pensieri, dei sentimenti inaccessibili a noi, eppure se deve esserci un’ansia, un chiodo fisso, è stare occhi negli occhi con Dio e non cadere o decadere mai dal primo amore. Sembrerebbe essere una strada troppo semplice o la strada delegata ai monaci, alle persone consacrate, ma in realtà ciascuno di noi può percorrere questa vocazione così bella nel cercare ogni giorno di mettere a distanza queste voci che ci gridano dentro e con una disciplina quotidiana andare sempre e comunque all’amore di Dio, cercare di essere esperti del cuore di Dio, di avere i suoi occhi, i suoi sentimenti, di sforzarci di non stare a rispondere alla domanda: “Ma io chi sono, che cosa ho realizzato nella vita” guardando ai risultati ottenuti, ai figli che abbiamo generato, a ciò che siamo riusciti a controllare, a indirizzare, a manipolare come noi volevamo. Ma piuttosto specchiandoci negli occhi di Gesù che continua a chiederci: “Ma tu davvero mi vuoi bene? Mi ami davvero?”. E’ in questo primo amore che noi impariamo una strada diversa che è lontana dalla follia quotidiana in cui siamo immersi, dalla corsa che vediamo attorno a noi ed in cui ci vediamo coinvolti anche noi se ci distraiamo un poco. E ci rendiamo conto che davvero l’Arcangelo San Michele ci ricorda: “Guarda chi è come Dio”.

Tu sei chiamato a riamare l’amore che ti ha amato. Nella misura in cui tu ti sforzi di entrare in questo amore, in questo cuore, tutto cambia. La nostra vita, se noi non facciamo nulla, si ritrova di per sé a correre e ad essere preda dell’ansia o della disperazione. Quanti di noi sono preoccupati per i propri figli, quanti pensano che i nostri figli si siano persi qualcosa, quanti non riescono a rendere il vuoto (di vacanze, di opportunità) educativo, perché siamo talmente compromessi con la mentalità che ci circonda che non possiamo non dire. “Abbiamo perso una grande occasione, i nostri figli non hanno avuto quello che potevano avere, noi stessi ci stiamo perdendo qualcosa”. Imboccare questa strada è la strada della infelicità, della disperazione, della rabbia. Invece metti a tacere queste voci. La disciplina quotidiana e la preghiera contemplativa ti invita invece ad entrare nel cuore di Dio ed a rispondere a fine giornata ad una sola domanda, quella che Gesù ti pone: “Ma tu mi vuoi bene?”. Capite che la nostra vita si semplifica ed una volta che noi ci siamo semplificati quel che faremo, quel che penseremo, tutto ciò che toccheremo, avrà qualcosa di speciale, perché avrà il timbro dell’eternità.

Questo è l’augurio molto semplice che vogliamo scambiarci stasera nel sentirci guardati dalla scritta “Quis ut Deus”. Ce ne sono tantissime nella nostra Basilica che ci guardano, che ci suggeriscono il primato di Dio. Il primato di Dio non è soltanto dei sacerdoti, dei monaci, delle persone consacrate, è la grande opportunità della vita.

Speriamo che l’Arcangelo San Michele ci prenda per mano, ci faccia sperimentare altezze vertiginose e – come dei poeti, dei bambini, dei contemplativi – noi possiamo riandare al primo amore con timore e tremore, con ammirazione e stupore, con brividi di felicità.

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