Un errore chiudere anche il Sud Italia. Al Sud non era necessario il lockdown, bloccata inutilmente l’economia

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ROMA «Su base scientifica non c’erano le condizioni per chiudere tutto il Paese. Si è trattato di una scelta politica» ripetono al Comitato tecnico scientifico sul coronavirus. Il numero dei nuovi contagi, nella prima settimana di marzo, stava salendo sì, ma solo nelle province a ridosso delle mini-zone rosse già istituite (dieci comuni in Lombardia, nel Lodigiano, un comune in Veneto, a Vo’). Al Sud, a Enna come a Cosenza, ma anche al Centro, i dati erano molto differenti. Il governo decise però di chiudere l’Italia allo stesso modo.
PERCORSO
I verbali del lavoro dei team di esperti, incaricati dal Governo di seguire l’andamento dell’epidemia e di suggerire le scelte, sono stati diffusi l’altro giorno dalla Fondazione Einaudi. E hanno lasciato una scia di domande senza risposta. Non solo perché già il 28 febbraio il Cts aveva chiesto chiusure al Nord per arginare l’epidemia, mentre gli interventi più rigidi del governo sono arrivati una decina di giorni dopo. C’è un altro nodo: il 7 marzo gli scienziati chiedono provvedimenti molto rigorosi per una fetta consistente del Nord in cui il contagio appare fuori controllo. Fanno riferimento a Lombardia, ma anche alle province di Parma, Piacenza e Modena in Emilia, di Rimini in Romagna, di Pesaro-Urbino nelle Marche, di Venezia, Padova e Treviso in Veneto, di Asti e Alessandria in Piemonte. E l’8 marzo, in un primo Dpcm, il governo applica quella richiesta. In tre giorni, però, cambia tutto, senza che a giustificarlo vi fossero dati scientifici o una impennata di nuovi casi nelle altre regioni: dall’11 marzo il Governo decide il lockdown per tutta l’Italia, anche per il Centro-Sud che pagherà così un conto economico e sociale salato. Cosa è successo in quei tre giorni? Ci sono state pressioni dalla Lombardia per difendere la propria economia, il proprio settore produttivo, e dunque per fermare anche le regioni del Centro-Sud? Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, lo esclude: «Come Cts non abbiamo mai subito pressioni, noi nel verbale del 7 marzo abbiamo solo fotografato la situazione in quel momento, che mostrava un incremento dei contagi in determinate regioni. Poi la situazione è cambiata, si è aggravata, è corretto che la politica faccia scelte differenti». Ma le pressioni, se ci sono state, non hanno preso come bersaglio il Comitato tecnico scientifico, che in effetti non ha mai chiesto un lockdown generalizzato. Semmai hanno influenzato le valutazioni del governo. Walter Ricciardi, che ha partecipato a quelle drammatiche riunioni del Cts e che è anche consulente del ministro della Salute, Roberto Speranza, fa una buona sintesi: «Nel mio ruolo, sarebbe fuori luogo se intervenissi e comunque c’è un obbligo di riservatezza. Ciò che si può dire è che come scienziati, sulla base appunto di criteri scientifici, il suggerimento è stato quello di chiudere alcune aree del Paese, non tutto. La politica, come è legittimo, ha applicato un principio di massima cautela, chiudendo tutto».
RAGIONI
Perché gli scienziati il 7 marzo arrivano alla conclusione che sia sufficiente una chiusura parziale al Nord? In quel momento c’erano sì delle zone rosse attive, ma limitate a undici comuni (in Lombardia Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini, in Veneto Vo’ Euganeo). Gli scienziati vedono che nelle zone rosse c’è una flessione, sia pure lieve, di nuovi casi, ma nei territori vicini, in particolare in Lombardia, ma anche nella confinante provincia di Piacenza, i contagi sono in aumento. La logica degli scienziati è di ricucire la ferita immediatamente, quella del governo di mettere in isolamento tutto il Paese, Enna come Alzano. «Ma non avremo mai la controprova, non sapremo mai se il Sud si sarebbe salvato senza lockdown» replicano dal Cts che rifiuta ogni polemica con il Governo. E anche chi tra gli scienziati rimase sorpreso del cambiamento di linea in tre giorni, avverte: «Non era la mia indicazione, però mettiamoci nei panni del premier o del ministro quando si devono prendere decisioni senza precedenti, in una fase drammatica della storia del Paese».
Mauro Evangelisti, Il Mattino

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