Sant’Agnello . Monica De Gennaro e Daniele, giocatrice e allenatore la coppia d’oro del volley si racconta foto
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Sant’Agnello, costa di Sorrento. Monica De Gennaro e Daniele, giocatrice e allenatore la coppia d’oro del volley si racconta . A scriverne su Il Mattino di Napoli Francesco De Luca
Undici mesi senza Nazionale. «Penso che sia un record, in altri sport non è accaduto». Monica De Gennaro detta Moki è originaria di Sant’Agnello, uno degli angoli magici della penisola sorrentina, però ha accento veneto. Ha vissuto più della metà dei suoi 33 anni al Nord, sbarcando appena quattordicenne a Vicenza. È una stella del volley mondiale, di ruolo libero, quella che indossa una maglia differente dalle compagne.
Medaglia di bronzo agli Europei: quella dell’8 settembre ad Ankara – 3-0 sulla Polonia – è stata l’ultima partita delle azzurre.
«Avremmo voluto che fosse questo il nostro anno, l’anno delle Olimpiadi. Invece, è stato tutto opportunamente rinviato perché sarebbe stato impossibile rispettare le misure di sicurezza a Tokyo. Spero che la scienza trovi presto il vaccino e si possa andare avanti. L’obiettivo resta quello tra un anno: salire sul podio olimpico».
Là dove l’Italia del volley femminile non è mai arrivata. Si è persa di vista con il coach Davide Mazzanti e le compagne?
«C’è un gruppo whatsapp che ci unisce e poi nella mia squadra, l’Imoco di Conegliano Veneto, ci sono altre cinque nazionali. Ma gli allenamenti e le partite sono un’altra cosa».
E il coach dell’Imoco è Daniele Santarelli, da tre anni suo marito.
«Durante il lockdown abbiamo fatto qualche allenamento in casa. Prima di intraprendere la carriera di coach, lui se la cavava bene sul parquet… Gli aspetti della pandemia sono stati tutti tragici, l’unico positivo per me è che ho potuto staccare mentalmente e fare un adeguato recupero fisico. Neanche io so da quanto tempo non trascorrevo due settimane a Sant’Agnello».
Vantaggi e svantaggi di avere un marito come coach?
«Siamo professionisti, chi ci conosce sa che il rapporto nello spogliatoio è esattamente quello tra atleta e allenatore. Sono trattata alla pari delle compagne. Per tornare a casa, dal palazzetto di Treviso a Conegliano Veneto, ci sono venti minuti in auto e in questo tragitto parliamo tanto. Ma si lascia il lavoro fuori dalla porta di casa, dove gli argomenti sono quelli di una coppia normale, dalla cena al film da vedere in tv».
A inizio dicembre, l’Imoco ha vinto il titolo mondiale per club. Tre mesi dopo, ha giocato l’ultima partita con Brescia.
«Una gara in un palazzetto vuoto trasmette brutte sensazioni, è qualcosa di surreale, anche perché la nostra squadra è molto seguita, si arrivano a contare sugli spalti fino a cinquemila spettatori. Quando è ripresa la preparazione, ci siamo concentrate sul lavoro di tutti i giorni, purtroppo con il dolore per la morte di un caro amico, Paolo Sartori, il nostro Paolone, un grande tifoso della squadra vittima del Coronavirus».
Cosa pensò quando il Politecnico di Torino inserì il volley tra gli sport più rischiosi nello studio per il Coni?
«Mi fece sorridere quella ricerca perché non capisco quali possano essere i rischi di uno sport in cui i contatti sono limitati. E il basket allora?».
Se Monica guarda nel futuro cosa vede?
«Ancora uno scudetto e una coppa europea con l’Imoco, dopo aver conquistato nello scorso dicembre il titolo mondiale per club, a 28 anni dall’ultimo trionfo di un’italiana. E poi un’Olimpiade che si è allontanata di dodici mesi: ne approfitteremo per prepararci meglio. È stato corretto rinviare i Giochi anche per un’altra ragione. Tanti atleti non erano riusciti a completare il percorso delle qualificazioni e sarebbe stato ingiusto lasciarli a casa. Ci si prepara una vita per le Olimpiadi, per affrontare quelle sfide e vivere l’emozione del Villaggio: non si poteva stroncare così un’aspirazione».
Via da Sant’Agnello poco più che bambina per inseguire il sogno – realizzato – di diventare una regina del volley. È stata dura?
«I momenti difficili sono stati all’inizio, per fortuna la famiglia mi ha sempre incoraggiata. Tanti italiani, durante il lockdown, hanno cominciato a usare la tecnologia per restare in contatto con parenti e amici: alle videochiamate, invece, io sono abituata da tempo. Il rapporto non si è interrotto mai: c’è una lontananza fisica, non affettiva».