Positano / Napoli. Dal Cotugno Giuseppe Fiorentino “Il Covid lo curiamo meglio e le persone colpite sono sane e più forti”

Il Coronavirus corre in tutto il Paese: in Italia ben 947 nuovi positivi (il valore più alto dal 14 maggio) contro gli 840 del giorno prima, crescono i ricoveri soprattutto in degenza ordinaria e in Campania il rapporto fra positivi e tamponi è più alto del dato nazionale. L’unica buona notizia è che il numero di ospedalizzati e decessi è molto più basso di quello della fase acuta dell’epidemia. Chi sono i nuovi malati? Che tipo di virus è oggi quello che operatori e pazienti fronteggiano negli ospedali Covid? A rispondere è Giuseppe Fiorentino, primario dell’unità operativa di Pneumologia del Monaldi/Cotugno al timone dell’unità di terapia sub intensiva che nei nuovi protocolli ha pressoché sostituito la rianimazione ricorrendo alla ventilazione assistita non invasiva.
Dottore Fiorentino, anche lei è già rientrato dalle ferie?
«Diciamo che ho calcolato bene il mio periodo di vacanza e sono rientrato nel momento giusto».
Quanti malati avete al Cotugno?
«Abbiamo le 16 unità di degenza ordinaria piene e in terapia sub intensiva 11 pazienti a fronte di 8 posti che ora sono raddoppiati. La direzione generale ha deciso di aumentare l’offerta di questo reparto anziché quello ordinario per fronteggiare anche casi più complessi».
Chi sono i nuovi malati di Covid?
«Sono più giovani: l’età media si è abbassata di almeno venti anni rispetto al periodo del lockdown. Ospitiamo ricoverati soprattutto nella fascia di popolazione dei 40enni e 50enni che godono di condizioni di salute di base molto migliori di 70 e 80enni che si ammalavano all’inizio».
Ci sono differenze cliniche nel decorso della malattia? Cos’è cambiato: la cura, il virus o i malati?
«Nei contagiati osserviamo soprattutto forme leggermente sintomatiche con febbricola, astenia, tosse, perdita di gusto e olfatto. Questi pazienti che curiamo in unità di degenza ordinaria di malattie infettive sono cittadini italiani che non hanno viaggiato e che hanno contratto la malattia in occasioni ordinarie. Il virus importato dall’estero invece, in particolare il ceppo croato, assume connotati di malattia più aggressivi, molto simili a quelli che osservavamo a marzo e aprile».
Cosa è cambiato nell’approccio?
«Interveniamo in modo precoce con il Remdesivir, l’unico antivirale tra quelli usati all’inizio dell’epidemia che si è rivelato efficace. Un farmaco approvato dall’Oms già usato contro Ebola. Abbiamo inoltre leggermente modificato il protocollo. Prima si intubavano tutti ora con il farmaco, l’uso di eparina contro le trombosi e una certa esperienza che ci consente di conoscere le migliori tempistiche di intervento nell’uso del cortisone, riusciamo a contenere gli effetti devastanti del virus. Stiamo usando molto anche le immunoglobuline (anticorpi) non specifiche e ci stiamo attrezzando per l’uso del siero iperimmune collaborando con lo Spallanzani. Appena sarà terminata la sperimentazione useremo gli anticorpi monocolonali di sintesi contro la proteina spike del virus».
Il contagio cresce, ma prevalgono gli asintomatici: cosa dobbiamo aspettarci ora dall’epidemia?
«Da un lato le forme che vediamo non sono drammatiche, ma dall’altro i paucisintomatici sono maggiormente diffusori del virus. Non sappiamo cosa ci aspetta nel futuro. Dobbiamo attendere che siano completati i rientri».
Il quadro clinico è mutato o ha sempre le stesse caratteristiche?
«Nelle forme importate più aggressive ha sempre lo stesso decorso, ma ripeto lo curiamo meglio e le persone colpite sono sane e più forti. Col lockdown godiamo di un certo vantaggio di cui possiamo ancora fruire. Nessuno sa se la situazione, col progredire dei contagi, possa tornare a quella di esordio. Per questo abbiamo il dovere di essere attenti e di difendere le parti più fragili e anziane della popolazione».
Ha visto giovani ammalarsi in maniera grave?
«Solo alcuni con patologie di base».
L’immunità dei primi malati è durevole?
«I pazienti ammalatisi a marzo hanno ancora gli anticorpi. Sono calati ma ancora presenti in maniera significativa. Chi ha ricadute ha sempre una deficienza immunitaria di base».

Ettore Mautone, Il Mattino

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