TEATRO. Intervista alla brava attrice Marcella Vitiello.

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    Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde la brava artista Marcella Vitiello.

    Chiarisco, immediatamente, ai nostri lettori che non ho vincoli di parentela con Marcella Vitiello, brava artista, da prendere in considerazione. Merita attenzione.

    D – Puoi segnalare ai nostri lettori il tuo percorso di studi?

    R – Sono stata allieva all’Università Popolare dello Spettacolo, diretta da Ernesto Calindri, e subito dopo il diploma c’è stato l’incontro con Renato Carpentieri e i suoi laboratori. Ecco, potrei dire che sono stati per me il padre e la madre: l’U.P.S. – con il suo programma di percorsi accademici, gli studi classici, maestri rigorosi come Michele Monetta o Gennaro Magliulo, la disciplina dello stare in scena, la puntualità, l’affinamento della tecnica – ha rappresentato il padre; con Renato ho scoperto il gioco, la forza creativa, una visione attoriale ampia, il donarsi alla scena con tutto il corpo, mettendo i piedi nella terra, letteralmente! Ho avuto la fortuna di incontrare maestri come Barbara Valmorin o Fabio Mangolini. Sì, sicuramente il teatro di Carpentieri ha rappresentato la madre.

    D – Puoi raccontarmi i tuoi iniziali desideri?

    R – Da bambina ero molto taciturna, anche ora per la verità. Amavo osservare. Mi piaceva molto osservare la perfezione del gesto degli artigiani e degli operai. Mio zio era sarto, adoravo il momento in cui passava il gesso sulla stoffa. Mi piaceva osservare mio padre nel suo laboratorio, o i muratori che facevano sembrare semplice un lavoro così pesante. Da bambina sono cresciuta in un quartiere, Pianura, dove la speculazione edilizia ha letteralmente fagocitato la natura. Ho visto crescere palazzi nel giro di ventiquattr’ore, e anche questo sarebbe stato interessante, dopo, per le mie “ricerche teatrali”. Non credo di aver mai desiderato altro che portare in scena ciò che ho osservato con tanta curiosità.

    D – Quando è iniziata la voglia di fare teatro?

    R – E’ stato un percorso progressivo. Ti racconto una cosa divertente: conservo ancora il mio libretto rosso del teatro. Un quadernino dove scrivevo le mie commediole, avevo solo sette anni! Evidentemente, sapevo già allora cosa volevo fare.

    D – Puoi precisare i temi e i motivi delle tue ricerche teatrali e dei tuoi impieghi teatrali?

    R – Come attrice scritturata, ho scelto (se di scelta si può parlare, perché sulla libertà degli attori scritturati ci sarebbe da discutere) personaggi non facili. Ricordo la gestazione del Dio del destino nello spettacolo Resurrezione di Carpentieri/Messina: come cammina, come parla un dio, come impersonare l’ineluttabile? Ricordo ancora il lavoro su la Coscienza Collettiva in Spax di Maricla Boggio con la regia di Fortunato Calvino. Ultimamente, poi, ho interpretato Rachel in Visite, una donna transessuale e Gregoria, in Locas, che affronta la terapia per uscire dai fantasmi della propria mente. Sono tutti personaggi che ti pongono di fronte a delle scelte: politiche, sociali, se vuoi addirittura storiche. Anche nei miei lavori il primo passo non è mai a favore del pubblico. Non so se questo sia un bene o un male, ma mi pongo in una posizione scomoda. Voglio dire che non parto dall’idea dell’intrattenimento puro. Alcune idee nascono dalla poetica di un autore, altre dall’ascolto di una musica oppure dalla lettura di un avvenimento storico o di cronaca. Eugenio Barba dice che si può lavorare “per” il testo o “con” il testo. A me piace lavorare con il testo, affinché ri­-suoni e porti alla luce l’idea di fondo. Insomma, cerco di lavorare nell’ottica di un’ampia intertestualità mettendola a servizio dello spettacolo.

    D – Ora, puoi motivare il percorso di gestazione e l’esito della tua ultima produzione teatrale?

    R –  “Città ‘n blues” è nato grazie all’intersezione di molti fattori. Primo fra tutti l’ascolto della musica di Thelonious Monk e Charles Mingus, due giganti della musica Jazz e bebop; lo studio del teatro di Leo de Berardinis; la lettura dell’Ulisse di Joyce; l’attività sociale e politica al Civico 7. Le opere di Stefano Benni poi sono state perfette: Misterioso, Onehand Jack, Blues in sedici. Ecco appunto, lo spiegavo prima, ho lavorato con il testo (o meglio con più testi) affinché potessi dare vita all’idea di fondo che avevo in mente. Volevo dare voce ad alcuni personaggi di una misteriosa città puttana, tutti con la rivoluzione dentro per aver detto no ai soprusi della vita. Una cantante di colore, doppiamente ingiuriata perché donna e di colore; un pianista nero che si rinchiude nel silenzio dopo aver dato vita ai migliori accordi mai nati; un ragazzo con una sola mano che vuole suonare il contrabbasso in un mondo dove l’arte è ridotta a merce; il poeta del jazz che gioca con le parole e si fa gioco della poesia, ma ti indica la luna; il vecchio uomo che ancora cerca lavoro, pur avendo suonato, per tutta la vita, una sola nota: quella della fabbrica.

    D – Hai lavorato, oltre a Napoli, dove?

    R – Ho girato tutta l’Italia in tournée, ma non ho mai vissuto che per brevi periodi in altre città. Ho sempre sentito un forte legame con Napoli.

    D – Napoli è una città sorgiva per gli artisti?

    R – E’ una città che offre spunti. Città di contraddizioni forti. Città circolare dove la cultura si nutre del sociale e viceversa. Musica, arte, teatro, realtà, politica, si intersecano e si alimentano a vicenda. Siamo questa materia. Plasmabile e porosa per citare Benjamin. Se mi chiedi se sia difficile poter fare un lavoro culturale a Napoli, ti dico di si, certo che lo è. Come in tutte le altre città. Non è un momento favorevole per l’arte e la cultura nel nostro paese.

    D – Quali pagine di un autore napoletano, di uno italiano e di uno straniero che si sono espressi su Napoli ti hanno colpito?

    R – Occhi gettati di Enzo Moscato e la sua “basilesca lingua”:

    Pigliaieno, allora, e ffemmene ‘e Materdei, parenti ‘e San Rafele,

    a menà acqua mmiscata a varricchina ncuollo alle sperute Geovine,

    ca nun sapevano che dicere,

    e tantu meno che fa, pecché “mane” nun ne sapevano “vuttà”,

    e steveno già p’avé la peggio da la chiorma assatanata e sacrestana,

    quando, in lor soccorso, in loro aiuto, venette na zandraglia cannaruta,

    “accattata” il giorno prima, da le Geovine, cu parecchie pasticciotti nonché ciucculatine,

    venette, sta zandraglia, a vascio o puorto,

    e nome aveva Zina Sceta-Muorte,

    pecché, quando l’arapeva chella vocca,

    zéppole di male parole, pall’e riso di linguistici scunciglie,

    mannava enzìa all’auto munno, comm’e o chiovere a zeffunno.

    Bellissimo! Ma come non ricordare tutta la nuova drammaturgia napoletana, Santanelli, Ruccello [n.d.r. – chi intervista ha lavorato con Annibale Ruccello all’Ufficio Patrimonio Etnografico del Museo di San Martino a Napoli, all’epoca, nel 1980, facente parte della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Campania-], Neiwiller. E, poi, ancora il Gennariello di Pasolini. Ricordo con tenerezza Viaggio in Italia di Goethe, ne facemmo uno spettacolo con Virginio Gazzolo e la regia di Franco Però. Fra tutti, poi, lo abbiamo ricordato prima, Immagini di città, le memorabili pagine dedicate alla Napoli porosa di Walter Benjamin.

    D – Napoli detiene una sua letteratura di segmento, perché?

    R – Prima parlavamo di una circolarità tra culturale e sociale. Napoli si nutre delle sue storie, delle sue vicende politiche, dei suoi abitanti.

    D – Quali piste di maestri teatrali hai seguito?

    R – Dei miei maestri ti ho parlato prima e tutti hanno lasciato in me una traccia. Peter Brook dice che non esiste un’unica verità, ma tutte le scuole possono essere utili in un dato momento, mantenendo al tempo stesso un punto, che sia ovviamente in movimento. Credo che nessuno lo abbia saputo spiegare con più semplicità.

    D – Pensi di avere contribuito a consegnare una visibilità congrua ai tuoi personaggi?

    R – Me lo auguro! Posso dire di aver sempre lavorato senza risparmio. Poi ovviamente ci sono lavori più riusciti ed altri su cui lavoreresti ancora.

    D – Quanti “addetti ai lavori” ti hanno seguito nel tempo?

    R – Permettimi una battuta: se mi hanno seguito, non me ne sono accorta!

    D – Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro post-COVID-19?

    R – Oddio, credo che dovremmo girare la domanda al nostro presidente, Conte! Come tutti noi, ho vissuto questo periodo in casa. Come tutti ho dovuto rinunciare al mio lavoro. Avevamo le repliche di Locas, il debutto a Roma, Ilteatrocercacasa di Manlio [Santanelli] e Livia. Abbiamo affrontato (e ancora non risolto) tre aspetti critici: quello sanitario, quello economico e quello di stress post traumatico. Sapevamo come società di non uscirne bene. Tante parole sono state spese in proposito, ma poche cose reali sono state fatte. La scuola e la cultura hanno pagato e pagano un conto salatissimo. Fa rabbia! Non riesco veramente a immaginare come abbiano fatto insegnanti e allievi a proseguire un percorso di studi in quelle condizioni, a inventarsi, letteralmente, una scuola irreale. Una società non socialista non comprende la socialità. Chiaro no? Una società basata sul capitale profitto non ha bisogno di teatro se non può contare le entrate e le uscite in un grafico. E, così, tutto il nostro comparto è ridotto alla fame. Ci hanno dato delle briciole, che non bastano. Per la ripresa verranno stanziati 120 milioni. Ma non serviranno. Quanto conta la cultura nel nostro paese? Ce ne prendiamo cura? Evidentemente, no.

    D – Pensi che sia difficile riuscire a penetrare nel mercato-tv?

    R – E’ la parola mercato che un po’ mi spaventa. La televisione può produrre cose ottime e cose orribili. In questo periodo abbiamo sentito, a proposito di ripartenza post- covid una proposta oscena sul teatro in streaming: ecco questa sarebbe una cosa orribile. Senza troppe spiegazioni, penso che tutti possano immaginare da soli perché. La televisione ha un suo linguaggio che può e deve portare avanti. Il teatro è teatro. Da piccola  ricordo che la mia prima agente mi propose di lavorare nella televisione, stiamo parlando delle fiction, e io infervorata dissi che la cosa non mi interessava. Oggi sono meno intransigente. Una buona fiction penso che vada sostenuta. La televisione per me dovrebbe essere meno intrattenimento e più cultura. E questo non significa che possa essere meno interessante per la massa. Anzi!

     D – I “social” possono appoggiare il teatro?

    R – I social nutrono sé stessi. Sono nati per questo. Certo, noi abbiamo la sensazione di poter raggiungere il pubblico sponsorizzando i nostri lavori. Ma il social e il teatro non si incontrano. Il social è per sua natura autoreferenziale. Usa un messaggio binario, basico. Il teatro ha una spazialità, usa una miriade di linguaggi, ha possibilità espressive illimitate. La paura è che il social fagociti anche quel poco di libertà che il teatro ti regala ogni sera da spettatore o da teatrante.

    D – Con chi ti farebbe piacere collaborare per metter su uno spettacolo di ampio respiro?

    R – Guardo con molta curiosità al lavoro di Milo Rau. Il suo international Institute of Political Murder è un polo di produzione teatrale, cinematografico, editoriale e artistico. Con forti azioni politiche. Amo molto il teatro di Scimone-Sframeli, ma l’augurio sarebbe quello di incrociare il mio percorso artistico con Marco Baliani, Enzo Moscato e Carlo Cerciello. Senza dimenticare le origini: Renato Carpentieri.

    D – Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi lavori?

    R – Mi basterebbe che il pubblico, alla fine dei miei spettacoli, si ponesse delle domande ricominciando ad esercitare il pensiero critico sulla realtà che ci circonda. Paroloni, eh?

    D – Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare il teatro in ambito scolastico, accademico, universitario?

    R – Trovo che sia necessario. Non soltanto farlo vedere, ma permettere ai ragazzi e ai giovani anche di viverlo in prima persona. Di poter essere presenti in una sartoria, all’interno di un laboratorio scenografico. Farlo, oltre che fruirlo. Per le scuole sarebbe fondamentale.

    D – Prossima regia, spettacolo o programma?

    R – La trilogia della città. Sto lavorando al secondo spettacolo della trilogia. Il primo è “Città ‘n blues”, di cui già ti ho parlato. Ma non ti racconterò altro.

     

     

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