Piano di Sorrento. Quando nel 1943 la Madonna delle Grazie non uscì in processione per la guerra in corso. Il racconto di Ciro Ferrigno

Quest’anno a fermare la tradizionale processione della Madonna delle Grazie di Marina di Cassano è un nemico invisibile ma pericoloso che ci costringe ad osservare le norme di sicurezza, ad evitare assembramenti e ad annullare le manifestazioni religiose che ci fanno sentire comunità, che appartengono ai nostri avi e che fanno parte della nostra vita. Bellissimo il racconto del maestro Ciro Ferrigno che ci parla di quando nel 1943 la processione della Madonna delle Grazie venne annullata non per un virus ma per lo stato di guerra. E leggerla adesso, alla luce di quanto stiamo vivendo, fa commuovere e rabbrividire.

LA PIOGGIA DI PETALI

In Curia, a Sorrento, erano stati irremovibili. Nessuna festa, nessuna processione erano possibili, visto lo stato di guerra e i continui bombardamenti alleati su Napoli di quell’estate 1943. I delegati dell’amministrazione della Cappella della Marina di Cassano erano stati messi garbatamente alla porta: niente processione della Madonna delle Grazie, nessuna benedizione del mare.
Onn’Aniello, il più anziano del gruppo, un ottantenne bruciato dal sole e dalla salsedine, chiese ed ottenne di parlarne con l’Arcivescovo, Mons. Paolo Jacuzio, che accolse affabilmente gli uomini in una saletta del suo palazzo, attiguo alla Cattedrale. Il vecchio prelato parlò loro dei pericoli, del momento difficile e pure delle disposizioni delle autorità che vietavano tassativamente feste e raduni di popolo. Quando li congedò, Onn’Aniello, fermo presso la porta, si girò e disse: “Monsignò, vuje ‘o ssapite, ‘ntiempo ‘e guerra ‘e marenare, varche ‘nterra e figlie a mare! Tutt’’e figlie nuoste stanno a mare a fa’ ‘a guerra e proprio mo’ ‘a Madonna nun l’hadda benedicere!?” – Nel dire questo, il suo volto diventò rosso come il vino e cominciò a piangere a singhiozzi, come un bambino. Allora l’Arcivescovo barcollando, poggiandosi al tavolo, si avvicinò e strinse le mani del vecchio pescatore tra le sue, dicendo: “Nun chiagnite cchiù!” Poi, parlò a mezza voce: “Quann’è dummeneca, primma ca schiara juorno, pigliate ‘a statua d’’a Madonna e purtatela ‘ncopp’’o muolo pe’ benedicere ‘o mare… e ‘a barchetta ccu ‘a Madunnella peccerella facitele fa’ nu giro sulo ‘nterr’a marina, senza alluntanarse. Facite tutto senza spannere ‘a voce, nun sparate botte e nun facite venì gente! Si ‘a cielo fanno cadè ‘na bomba ‘ncopp’’a folla, facimmo n’ata strage d’’e nnuciente, e chesto, ‘a Madonna nunn’o vvo!”
Dopo pochi giorni, a Carotto, tutti sapevano del pianto di Onn’Aniello e delle accorate parole dell’Arcivescovo, delle sue paure ampiamente comprensibili e pertanto condivise da tutti. Il patto era di dominio pubblico, se ne parlava al Bar La Scala, da Marianiello, sotto il baraccone e nelle chiese, in piazza e vicino alle fontane ed ai lavatoi.
La domenica mattina, già prima dell’alba, verso le cinque, quando solo una pallida luce rosata illuminava il cielo dalla parte di Vico Alvano, c’era un insolito movimento in tutte le stradine che dal centro del paese scendono verso la Ripa di Cassano. Donne con bambini smagriti e assonnati, vecchi curvi per gli anni, ancora donne anziane macilenti, vestite di nero, soldati reduci dal fronte con parti del corpo fasciate con grosse bende bianche, zoppi e storpi, tutti con un piatto, un cestino o una guantiera piena di petali di fiori tra le mani. Arrivavano dal Vicolo di San Giovanni, da Madonna di Rosella, da Via Ciampa, da Via Savino, ma pure scendevano frettolosi dalla parte alta del paese. Pochi si fermarono alla Ripa, molti entrarono nel parco della Villa Fondi, quando i principi spalancarono i cancelli e cominciarono a raccogliere anch’essi, quanti più petali possibili in grandi vassoi d’argento. Tanti entrarono nella tenuta dei Maresca di Montamare, altri raggiunsero il ponte di Savino, altri il belvedere del Pizzo. Tutti gli agrumeti, le tenute ed i giardini che incoronano la baia di Cassano brulicavano di vita; gli alberi, i cespugli, i cespi di mirto e quelli enormi di ginestre in fiore erano preziosi nascondigli.
Alle sei si sentì il suono della campana, dalla cappella vennero fuori la vela azzurra, un chierichetto con la croce, un sacerdote, un gruppetto di ragazzini e la barchetta con la Madonnina. Appena fu vista, in lontananza, la venerata statua grande della Madonna delle Grazie, portata a spalla da quattro giovani “marinaresse”, mille mani invisibili, come per un tacito segnale convenuto, cominciarono a lanciare verso la spiaggia i petali. Che grande meraviglia! C’erano tutti i colori dell’arcobaleno: ortensie, gelsomini, rose, fiori d’arancio, garofani, gladioli, ginestre, oleandri. Come pioggia i petali cadevano da Villa Fondi, da Montamare, dalla Ripa, dal Pizzo, dal ponte di Savino. Volteggiavano per l’aria, si posavano sul costone e sui tetti, riprendevano la corsa nel vento, precipitando verso il basso, come calamitati dalla piccola, triste processione del tempo di guerra. Quando il sole salì alto e luminoso in cielo, il mare benedetto e liscio come l’olio, era coperto da migliaia e migliaia di petali multicolori!
Seduto sulla banchina, Onn’Aniello avrebbe voluto piangere per la commozione, ma gli risuonavano nella mente e nell’anima le parole di Monsignore forti e decise: “Mo’ nun chiagnite cchiù!” e ubbidì.

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