Gennario Esposito e il post Covid “In città clima post bellico “

Vico Equense ( Napoli ) L’incubo di Gennaro Esposito è terminato due mesi fa, quando finalmente ha potuto riaprire al pubblico il suo ristorante a Vico Equense, il bistellato Torre del Saracino, ne parla Luciano Pignataro su Il Mattino quotidiano della Campania. Ma non è detto che ritorni. Messo sotto tiro da colleghi esasperati poco prima della riapertura quando fu chiamato dal presidente De Luca a suggerire linee di comportamento da poter adottare, Gennaro Esposito ha tirato dritto per la sua strada.«Molti mi hanno attaccato, ma i fatti mi hanno dato ragione su un punto: la sicurezza al ristorante è uno degli elementi di scelta per andare a mangiare fuori. Un servizio come gli altri, in questo momento forse anche più importante. Noi misuriamo la temperatura, prendiamo i dati, chiediamo di indossare e indossiamo la mascherina e tutto procede per il meglio».
Dopo due mesi possiamo fare un bilancio. Cosa di quello che prevedevi è realmente accaduto? E cosa no?
«Prima di rispondere devo dire che sono un po’ preoccupato per questa atmosfera un po’ rilassata, come se il pericolo non esistesse, che stiamo vivendo al Sud. Il pericolo non è affatto passato, ci sono focolai che spuntano di continuo, anche qui in Campania, a seguito dell’apertura delle frontiere e degli spostamenti. Non dobbiamo essere allarmisti, ma neanche tranquilli».
E dunque?
«Il fatto che la sicurezza sia un elemento fondamentale per scegliere il ristorante lo avevo detto, proprio qui sul Mattino e credo che avevo ragione. Devo dire non mi aspettavo una ripresa così forte, nelle ultime due settimane stiamo lavorando addirittura più dell’anno scorso, è incredibile. C’è voglia di uscire e di stare al ristorante, insomma. Ma c’è una differenza fondamentale con le stagioni che abbiamo vissuto in Penisola: prima i clienti cadevano nei locali, adesso li scelgono».
Questo il motivo per cui alcuni vanno bene mentre altri sono in affanno?
«Assolutamente sì. Chi ha lavorato bene in passato e si è costruito un buon passa parola ha poco da temere, a meno che non sia al centro di una zona di uffici o di una città turistica. Certo la clientela è cambiata, lavorare con gli stranieri è più facile».
Molti dicono questo. Perché gli italiani non sono considerati buoni clienti?
«Non è questo, l’italiano medio ha una conoscenza del prodotto molto più alta, è più esigente, a cominciare dalla scelta del tavolo in cui viene fatto accomodare. Quindi richiede più impegno, una professionalità più alta. Certo, l’italiano difficilmente ti stappa la bottiglia da mille euro, ma vive la tavola come una esperienza completa ed è molto esigente.
Veniamo alla questione del lavoro. Molti hanno perso il posto, tanti stagionali sono rimasti senza occupazione e a settembre si fanno previsioni nere. Dove sta la verità?
«La verità sta nelle scelte che si fanno. Oggi in questo lavoro, ma credo in tutti, bisogna essere altamente professionalizzati e dico che noi per assumere altre due persone abbiamo fatto fatica. Il problema vero è che mancano operatori altamente qualificati, chi si forma bene non ha problemi».
Un ristorante a Ibiza, uno a Milano e uno a Napoli. Tre situazioni completamente diverse?
«Assolutamente sì, e illuminanti. A Ibiza è stato riaperto, probabilmente con troppa fretta e adesso ci sono rischi di chiusure. Milano vive un clima postbellico, chi ha una seconda casa se ne è andato, la città è ancora impressionata dalla tragedia che ha vissuto. Da noi credo siamo stati prudenti e bravi, dobbiamo continuare così e fare molta attenzione».
Qual è la grande lezione che possiamo dire di aver imparato da questa vicenda?
«Una cosa in cui ho sempre creduto: la qualità paga. Oggi chi va al ristorante lo fa per fare una esperienza e dunque ha bisogno di sapere bene a cosa va incontro. Il Covid ci ha fatto capire bene che questo vale per quello che arriva nel piatto, per come viene portato nel piatto e infine con quale margine di sicurezza si può entrare, uscire e tornare con piacere in un ristorante. Chi ha investito su questo fronte non ha nulla da temere, certo dovrà aumentare l’impegno e le attenzioni. Ma è proprio questo che alla fine deve fare la differenza sul mercato della ristorazione e del lavoro».

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