Castellammare di Stabia. “Gli appalti pubblici decisi dai Cesarano”

Castellammare di Stabia, “Gli appalti pubblici decisi dai Cesarano”. Il clan Cesarano è la centrale unica di committenza degli appalti per la camorra dell’area vesuviana. Per mettere le mani sui soldi dei lavori pubblici bisogna rivolgersi a loro. Ai boss di Ponte Persica. Dai lavori dell’autostrada fino alle opere da realizzare all’interno del parco archeologico di Pompei. I tentacoli della cosca fondata dal padrino Ferdinando Cesarano arrivano ovunque. E per conquistare un appalto persino gli imprenditori si sarebbero rivolti ai manager del crimine di quell’organizzazione criminale. Un ritratto raccapricciante dipinto dalle parole di un pentito importante. Un collaboratore di giustizia che son le sue dichiarazioni ha contribuito alla condanna dei killer che uccisero, nel 1992 a Palermo, il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Quel pentito si chiama Francesco Raimo, detto ‘o castellone. L’ex camorrista stabiese è stato un esponente di punta del commando armato del clan Birra-Iacomino di Ercolano. Una cosca oggi in declino ma che fino al 2010 è stata sulla cresta dell’onda, rappresentando un punto di riferimento chiave per i traffici di droga.

In un verbale del 2013, confluito in uno dei tanti processi sulla camorra di Ercolano, Raimo ha raccontato anche dei rapporti tra i Birra e i Cesarano. E lo ha fatto svelando i retroscena delle estorsioni che la camorra avrebbe riscosso su alcuni lavori eseguiti sull’autostrada A3. Un’estorsione gestita, in nome e per conto di almeno tre cosche, dai Cesarano. “Il denaro veniva corrisposto dall’impresa taglieggiata in un’unica soluzione e veniva versato ad un unico clan, ovvero il clan “Cesarano” che si era assunto poi l’impegno di distribuire alle cosche interessate le quote di rispettiva competenza”. I Cesarano, racconta Raimo, avvicinavano le ditte “tramite un imprenditore di Castellammare di Stabia che operava nel settore della carpenteria metallica”.

Per trattare sulla raccolta della tangente alcuni esponenti dei Cesarano, tra cui anche Luigi Di Martino, alias ‘o cifrone – recentemente coinvolto in altre inchieste per racket – sarebbero arrivati a Ercolano. “La riunione si tenne una sera a casa di Simone Borrelli, in una traversa di via Pugliano, e vi prendemmo parte, per i Birra, io, lo stesso Simone Borrelli Zeno Giacomo e Marco Cefariello mentre, come detto, per i Cesarano c’erano Domenico Vanacore e Luigi Di Martino”. Per convincere la ditta a pagare i soldati dei Birra avrebbero anche tentato di mettere a segno un raid nel cantiere. Poco dopo, racconta Raimo, i vertici del clan convocarono gli imprenditori vittime in un appartamento di Pugliano. Ma non è l’unico episodio. I Birra, secondo il collaboratore di giustizia, si sarebbero rivolti ai Cesarano anche per favorire un imprenditore vicino al clan nell’affidamento di un appalto per alcuni lavori nell’area archeologica di Pompei. “Zeno si prodigò coi Cesarano in favore del nostro fiancheggiatore di cui ho fatto più volte cenno nel corso dei miei altri interrogatori – le parole di Raimo – Aveva chiesto un intervento in favore del padre, che conduceva un’azienda che si occupava di movimento terra ed aveva presentato un’istanza per vedersi assegnati lavori da eseguire all’interno dell’area archeologica di Pompei”. Attraverso la mediazione di un esponente di spicco dei Cesarano, Michele Onorato, l’imprenditore avrebbe realmente ottenuto l’appalto.

Fonte Metropolis

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