Agricoltura, industrie, trasporti. Quali sono le attività a rischio contagio da coronavirus? Ecco la tabella

Nell’ultimo mese centinaia di migliaia di italiani hanno continuato a lavorare in attività ad alto rischio che non sono state chiuse perché considerate essenziali. La tabella in basso, riportata da Il Mattino è messa a disposizione della task force che sta definendo le grandi linee strategiche della riapertura dell’Azienda Italia, indica che molte attività non sospese a marzo – dagli uffici pubblici che hanno garantito servizi importanti, al settore del trasporto aereo, all’assistenza sanitaria e degli anziani – in tempi di pandemia vanno considerate come lavori a rischio alto o medio alto.

tabella rischio contagio

Perché questa tabella ora assume una importanza tutta particolare? Per due ragioni. La prima è che dimostra che durante una epidemia si può lavorare rimanendo sani, ovviamente rispettando regole particolarmente severe e avendo a disposizione tutti gli strumenti per difendersi. La seconda ragione è ancora più densa di significato: non sono gli ambienti in sè, come le fabbriche o gli uffici, a costituire occasione di particolare pericolo. La tabella segnala che in una fabbrica meccanica o di mobili se si lavora con guanti e mascherina difficilmente ci si può infettare perché si tratta di ambienti di lavoro a basso rischio.
E allora perché abbiamo chiuso migliaia di fabbriche e decine di migliaia di negozi? Innanzitutto per impedire al virus di diffondersi («Non c’è stato alcun picco epidemico perché lo abbiamo stroncato sul nascere stando a casa», ha spiegato ieri il professor Gianni Rezza dell’Istituto Superiore dei sanità) ma soprattutto perché ai primi di marzo non avevamo né gli strumenti né le conoscenze organizzative necessarie per difenderci e affrontare questo nemico insidioso e feroce.

LINEE DI MONTAGGIO
L’epidemia infatti più che lungo le linee di montaggio o intorno a una scrivania potrebbe tornare a diffondersi più facilmente vicino alle macchinette del caffé, nei corridoi dove si fanno volentieri due chiacchiere, nelle mense, in piccoli ambienti come gli spogliatoi poco areati e soprattutto nei mezzi di trasporto pubblico che milioni di italiani usano per svolgere la propria professione.
Ecco, la tabella ci dice che si può (con gradualità) tranquillamente tornare a lavorare (magari prima in alcune Regioni e poi in altre) a patto che le condizioni di contorno al lavoro siano riorganizzate come altrettante barriere anti-Covid. In questo contesto i trasporti pubblici assumono una connotazione strategica nella battaglia per evitare che la recessione annichilisca l’economia.
E ieri la ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, in una intervista al Tg2 ne è parsa consapevole. «La prima regola per riuscire a governare bene la Fase 2 sulla questione dei trasporti deve essere il cambio degli orari di lavoro per riuscire ad evitare i picchi di necessità e di fabbisogno soprattutto sui mezzi di trasporto pubblico locale ma non solo», ha detto la De Micheli. «Recupereremo tutta l’esperienza fatta in queste settimane anche drammatiche – ha proseguito – attraverso l’utilizzo delle linee guida sui trasporti passeggeri che abbiamo emanato all’inizio di marzo: innanzitutto cambierà il modello di prenotazione perché sarà necessario non arrivare mai a un riempimento del 100% dei mezzi. Anche sugli autobus, infatti sarà necessario rispettare il distanziamento di un metro fra le persone, ci sarà l’obbligo delle mascherine e su ogni mezzo di trasporto per mare, per terra e cielo dovrà esserci la possibilità di avere sempre i liquidi per lavarsi le mani con una certa frequenza». La ministra ha lasciato capire che con ogni probabilità per salire in metropolitana bisognerà farsi controllare la febbre. Poi, forse, le aperture degli uffici saranno scaglionate anche al sabato per impedire affollamenti in quegli orari che fino a un mese fa erano di punta.

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