Sant’Agnello. L’omelia di Don Paolo Anastasio dopo pochi giorni dalla morte del papà Patrizio: “Dio non è un Dio di morte”

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Sant’Agnello. Riportiamo l’omelia di Don Paolo Anastasio in questa V domenica di Quaresima, dopo pochi giorni dalla morte del papà Patrizio.

Ricordo bene una Messa Crismale di alcuni anni fa. In Cattedrale, a Sorrento, il giovedì Santo mattina, secondo la vecchia consuetudine. I seminaristi si sarebbero occupati del servizio, come sempre, e io fui scelto per leggere. Prima lettura, di Isaia. In un silenzio insolito dovetti scalare un grande pulpito di marmo. Non dimenticherò mai il tremore alla voce e alle gambe e la difficoltà ad arrivare senza affanni fino a dire “Parola di Dio”: c’era troppa gente, troppi preti alle mie spalle… troppa responsabilità, troppa attesa. Quel pulpito dava le vertigini.

Oggi è così che mi sento. Piazzato all’improvviso su un ambone inaspettato e altissimo. Verrebbe da fare dietrofront e scendere in silenzio. Forse non è opportuno dire alcunché. Meglio aspettare, meglio far depositare la Parola, meglio maturare e maturarla come si deve. Ma il Vangelo di questa domenica è troppo esplicito per far finta di nulla e l’occasione troppo “ghiotta” per non lasciarsi convincere: annunciare una Parola di vita poggiando i piedi sul pulpito della morte. Quando mi capiterà più così naturalmente? Tanti attendono, tutti sperano, ciascuno di noi seppur in forme diverse ha bisogno di una Speranza cui aggrapparsi adesso, oggi.

San Paolo, poi, lo dice a chiare lettere: “Annunciate il Vangelo nel tempo opportuno e non opportuno”. Ai campi scuola, per esempio, durante le Messe domenicali, intorno a una tavola imbandita, in una stagione di slanci e di sogni… ma anche ora, con la morte nel cuore e il deserto intorno. È questo il tempo favorevole! Ecco l’ora della salvezza.

La quinta di Quaresima ci accompagna fino a Betania, “casa della consolazione”. Altre volte Gesù è già stato in quel villaggio perché conosce una famiglia, è amico di Lazzaro e delle sorelle. Ha stretto negli anni un legame particolarmente stretto con quei tre. Non sono come tutti gli altri. Sono amici suoi, carissimi.

Eppure stavolta il passaggio da loro non è previsto per riposo o per diletto. L’amico Lazzaro è stato gravemente ammalato e non ce l’ha fatta. Ha combattuto e ha perso. Lo hanno riposto in un sepolcro, da giorni, niente più da fare. La speranza contro ogni speranza, anche quella verso un Dio che ascoltasse le preghiere di una famiglia, è volata via con il suo ultimo respiro. Lazzaro è morto e il suo corpo fasciato già inizia a disfarsi.

La storia che segue la conosciamo. Dopo un dialogo serrato tra il maestro e le due di Betania accadrà il miracolo inatteso e inaspettato. Un evento inaudito, cui il mondo mai avrebbe sperato di assistere. È un punto di non ritorno, nel quale la storia della salvezza e degli uomini prende una piega tutta nuova, completamente. Un cambio di scena, una Grazia, un tesoro da accogliere, credere e annunciare. Poche parole, in cui è presente tutta la Parola di Dio a noi: “Gesù scoppiò in pianto”.

Oggi, in questo tempo dolorosissimo e assurdo, in cui cerchiamo segni dovunque per mettere a freno la nostra inquietudine, è questo il miracolo cui aggrapparci: Gesù che piange per amore dell’amico. È la buona notizia abbozzata in un primo passo. È la scoperta definitiva e limpida che Dio non è un Dio di morte, che ama la sofferenza, ma vuol bene ai suoi come ad amici e soffre con loro, prova misericordia nel senso letterale della parola: porta nelle sue viscere il dolore di ciascuno, lo condivide, lo avverte dentro sé come una madre quello di un figlio. Il Dio di Gesù Cristo è amante della Vita, perché è la vita. Non punisce, non gode del dolore, non gioca a dadi con la storia, non si diverte studiando piani e copioni che pieghino le persone, ma al contrario ama, custodisce, benedice, perché ha scelto di entrare nelle vene del mondo pur di amarlo fino in fondo. Fino alla fine. Fino alle lacrime.

Certo, qualcuno dirà, magra consolazione sapere che un Dio pianga le mie stesse lacrime. Mal comune, mezzo gaudio? È tutto qui? Cosa dà e cosa toglie alla vita un Dio del genere? Potrebbe sembrare poca cosa, ma a noi basta, a me basta sapere e credere che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, piange le mie stesse lacrime, così come ha pianto sulla tomba dell’amico Lazzaro. Perché da quel pianto la storia è cambiata. Da quel momento il dolore dell’uomo è diventato lo stesso di Dio. Da quel miracolo è nata la Speranza che tanto attendiamo, dall’inizio del mondo e della nostra vita: Gesù sceglierà di prendere il posto di Lazzaro, consegnando se stesso alla morte e alla morte di Croce, così da entrare silenziosamente nella tana del nemico e sconfiggerlo dal di dentro… dal sepolcro vuoto il Risorto sbaraglierà per sempre la morte, prendendo per mano ciascuno di noi e le persone che amiamo. Sarà Pasqua, allora lo sarà. E noi lo attendiamo con fede, con amore. Come amici che sperano l’arrivo dell’amico.

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