IL CARNEVALE ANTICO CON LA CANZONE DELLA ZEZA foto video

Articolo aggiornato alla serata finale dall’inviato di Positanonews con video, foto e interviste.

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Articolo aggiornato dagli inviati di Positanonewstv con videoriprese e trasmissione in diretta dal Centro Anziani di Piano e Da Villa Enrichetta.

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Il gruppo teatrale A’ CHIORM, presieduto da Antonio Russo, di san Liborio, propone un carnevale diverso, nelle date e nei modi. Il lunedi 24 e Sabato 29, indenne da concomitanze e accavallamenti, andando incontro al pubblico, sulle pedane teatrali delle varie frazioni di Piano, si svolgerà una rappresentazione di teatro itinerante. Ma leggiamo direttamente da Luigi Iaccarino questo tipo di rappresentazione, che trova conferma nel volume di Giuseppe Guida Passeggiate Sorrentine tra nostalgia e ricordi.

Nel periodo di Carnevale, il popolo voleva godersi, seppure in maniera semplice e modesta, quei giorni di spensieratezza.
Gruppi mascherati, così alla buona, giravano per le vie e per le case. Nelle piazze del paese, un’apposita comitiva, mascherata, intratteneva il pubblico, sorridente cd entusiasta, con una lunga ed allegra cantata, di autore anonimo, forse abruzzese, intitolata la “Canzone di Zeza”.
Sembrava di assistere ad una “palliata” di Plauto o dì Terenzio: quella “palliata” che era la commedia dell’astuzia e della fortuna, in cui l’astuzia animava e combinava la strada dell’azione. Il caso, o la fortuna, nE determinava, contro il malvolere di alcuni, lo scioglimento, cioè veniva a risolvere ogni difficoltà e a lasciare alla fine tutti contenti. Nella “Canzone di Zeza” vi era un insieme variamcnte combinato, come nella “palliata”, di imbroglioni e di imbrogliati, in cui ogni difficoltà o disavventura era abilmente
superata, fino a rendere tutti soddisfatti nell’epilogo. E, come nella “fabula atellana”, la comicità era costruita da un gioco (“ridicula res erat”), ed era soprattutto esteriore; e si risolveva nella risata. Non vi era intima penetrazione, tranne in qualche monologo e dialogo accorato in cui il personaggio entrava un poco in fondo ai sentimenti umani. E, così, dopo la “Canzone”, non restava nello spettatore che il semplice ricordo di scene buffe, di burle e di corbellature. 1’rattava quella canzone delle vicende di. una donna del popolo, a nome “Zeza”, che metteva in atto tutti i suoi stratagemmi furbeschi per far convolare a nozze una sua bella
e prosperosa figliuola con un ricco studente, “Don Nicola”, eludendo, con mille trovate, l’assidua vigilanza del geloso, rispettivo marito e padre, “Pulcinella”. E “Pulcinella”, come il personaggio della “palliata” — non privo di accorgimento e di buffoneria – , restava quello delle trovate improvvise, che instancabilmente sosteneva, e co111binava e variava l’azione. Restava, così, il protagonista tipico e simpatico delle astuzie, <lei raggiri e delle trovate a lieto fine. Ma “Zeza” era sua degna compagna in raggiri ed astuzie per sviarne la vigilanza sulla figliuola, che doveva essere ingenua e che ingenua non era ( 1 ).
A quella specie di spettacolo all’aperto, per circa due ore, la folla restava ferma, ilare cd attenta, entusiasta per l’abilità di qualche mascherato, che, al testo dell’antico ignoto autore, avesse saputo aggiungere qualche nuova ed originale trovata o mottetto umoristico. Ridevano tutti, e alcuni fino a piegarsi in due; si suscitava tra il pubblico il famoso 111i111icus risus degli spettacoli dell’antico teatro di Plauto e di Terenzio, in cui la potenza della risata sarebbe sfuggita a qualsiasi misurazione in decibel.
Nelle zone più popolari, nell’ultimo giorno di Carnevale, si assisteva a qualche corteo funebre di un pupazzo, che simboleggiava la fine di Carnevale.

Manfredi Fasulo  La penisola Sorrentina  usi e costumi

Di Carne vale ogni tanto venivano dei saltimbanchi
a dare spettacoli sulle piazze o dei poveri orsi sporchi
i ed affamati che doveano ballare a forza di legnate.
Usavansi nel passato secolo fare i (( carri ,e rappresenta…-asi la morte di Carnevale mettendo :
m di un carretto, uu fantoccio di paglia, che sotto
l ‘arco di Porta a Sorrento, era ucciso e fatto a brani,
mentre una pertica vestita da Quaresima entrava
trionfante in città. Ora si fa solo qualche mascherata
dai monelli , perchè la serietà dei giovanetti
anche appena quindicenni , non permette simili pazzie!
È solo concessa dall’odierna musoneria qualche
festa in famiglia , ma per penitenza dei gran divertimenti,
vi sono i ” carnevaletti ,, cioè le prediche
e funzioni in chiesa e nel primo giorno di quaresima
si prendono le ” ceneri , ? si va a sentin·
la predica j n Cattedrale e si mangian o broccoli ,
baccalari ed aringhe affumicate, per scontare le ” lasagne
, gustate in carnevale !

TRADIZIONE delle TRADIZIONI: Ritorna a Piano di Sorrento la canzone di Zeza

“Zeza , Zeza ca io mo jesco, statte attient’a ‘sta figliola…” spesso sentivo queste parole in casa, cantate dalla nonna paterna al ritmo di una melodia monotona ed antica, piatta e con pochi virtuosismi, soprattutto quando in codice familiare e segreto voleva intimare al nonno, anche in modo sibillino ed ironico, di stare in allerta per qualcosa che, secondo il suo ineguagliabile intuito femminile, poteva portare scompiglio o pericolo in casa.

Queste sono parole tratte dall’invito che Pulcinella, nell’allontanarsi da casa, fa alla moglie Zeza raccomandandole la figlia Vincenzella, nubile, affinché non diventasse oggetto di corteggiamento da parte di zi’ don Nicola…il tutto è tratto dalla famosa Canzone della Zeza, che nel periodo carnevalesco, una cinquantina di anni fa o più, veniva cantata nei nostri cortili, nelle nostre strade, nelle nostre piazze. Questa usanza probabilmente venne alla luce nella seconda metà del Seicento e a Napoli ed in  provincia, come per ogni uso e costume, si diversificò in alcune caratteristiche che la resero poi originale e peculiare in ogni singola zona. Il comandante Pietrantonio Iaccarino raccontava che a Meta questa manifestazione popolare aveva un gran bel seguito e nel suo procedere di cortile in cortile, di strada in strada, il corteo che la componeva diventava sempre più corposo e ricco di persone mascherate. Si partiva dalla zona di Cardiento dove avveniva la prima rappresentazione e poi si procedeva per il Casale per dirigersi verso Carotto. I personaggi di questa rappresentazione erano 4, tutti interpretati da maschi come si usava nell’antica commedia greca, allora perché le donne non potevano essere esposte alla pubblica rappresentazione ieri perché una donna interpretata da un uomo portava ad una maggiore ilarità per atteggiamenti e combinazioni di scena. La Zeza (diminutivo popolare del più aristocratico nome Lucrezia). moglie di Pulcinella, che in questo ambito rappresentava anche il Carnevale, era una donna del popolo, civettuola, pettegola e molto interessata a trovare un marito per la figlia Vicenzella, che voleva liberare dall’autorità opprimente del padre, ma soprattutto perché desiderava per la figlia un buon partito, dal quale anche lei poteva trarre beneficio soprattutto economico. Secondo il parere e la decisione di Pulcinella il pretendente da ostacolare e scoraggiare era don Nicola, che si presentava vestito di nero, con un alto cilindro in testa, spesso con un libro in mano, dichiarandosi a volte studente in legge e a volte dottore. Vicenzella non nascondeva il grande interesse che portava per questo personaggio e perciò cantava vezzosa con la voce sforzatamente in falsetto: Ohi mamma mà’ che veco! Nn’ è chillo Don Nicola? Mò proprio sarrà asciuto dalla scola! Si chillo me vulesse, io me lo spusarrìa e cchiù sotto de tata nun starrìa”. Lo spettacolo iniziava al suono di un colpo di grancassa e spesso era la fisarmonica a creare atmosfera ed armonia adatta. Le contrapposizioni tra marito e moglie diventano esilaranti fino al gesto ultimo ed eclatante di Don Nicola che, scoperto dal padre di Zeza sotto al letto di quest’ultima, venendo cacciato, per reazione si procurava un archibugio, stranissimo al solo vedersi, e sparava tra le gambe di Pulcinella, che, come si è detto, rivestiva anche il ruolo del Carnevale del quale poi in alcune occasioni si faceva anche il funerale. Questo padre-Pulcinella infatti rappresentava il genitore retrogrado, geloso, autoritario e privo di buon senso, caratteristiche spicciole proprie della figura del Carnevale. La rappresentazione finiva con una bella quadriglia, che coinvolgeva in modo spontaneo ed esuberante coloro che, divertiti, avevano seguita la buffa vicenda e si erano fatti coinvolgere. Gli abitanti del cortile offrivano agli eclettici cantori-attori la famosa “pizza di carnevale”, le sfogliatelle ed un buon bicchiere  di vino che, senza più indugio e più avvinazzati e sazi di prima, continuavano il loro percorso per fermarsi poi in un altro cortile o in un’altra piazza. Il corteo come già detto si arricchiva lungo il percorso di altri componenti, molti dei quali in maschera, che davano così maggiore colore e maggiore armonia al tutto. Si procedeva con lazzi e frizzi fino poi a raggiungere in ultimo la piazza Cota in Piano dove ancora una volta si ripresentava la vicenda cantata della Zeza. Sicuramente gli attori erano molto più stanchi dell’inizio e gli stessi costumi di scena denunciavano i segni del cammino e delle continue improvvisate, ma il rifornimento di vino fatto lungo la strada rendeva il tutto più allegro, più coinvolgente, più frastornante e certamente più piacevole. Qualcuno racconta che qualche volta il corteo era arricchito anche da un carretto con su una botticella di vino da dove con una pompa veniva direttamente prelevato in buon nettare, che portava diretto ristoro e rinfresco agli attori e ai figuranti. Da anni questo corteo festoso non si scorge più per le nostre strade perché diverse sono le attrazioni dei nostri giovani e le modalità di divertimento di una società che invita poco all’aggregazione e alla condivisione di momenti semplici dettati anche dalla tradizione. Nelle nostre zone l’allontanamento dalla civiltà rurale e la quasi scomparsa delle sue caratteristiche ha coperto di oblio queste usanze a differenza di quanto accade ancora nell’entroterra campana dove ancora oggi sopravvivono e fanno vivere gli stessi momenti di interesse per usi e costumi del passato, che sempre e comunque portano conoscenza e positività a chi ha la fortuna di conoscerli o addirittura di viverli.

Noi, che come gruppo teatrale “ ‘A CHIORM’ “ amiamo le cose che appartengono alla nostra storia, abbiamo voluto quest’anno riproporre La canzone di Zeza perché riteniamo una grave colpa la scomparsa di queste nostre tradizioni. Sull’esempio dei nostri padri il lunedì di Carnevale, 24 febbraio, con il patrocinio e il contributo della città di Piano di Sorrento, Assessorato Cultura, Turismo e Spettacolo, simuleremo un empirico corteo e toccheremo alcuni punti della nostra Città, ritenuti adatti ad accogliere questa rappresentazione che ha la caratteristica quasi di un prodotto di nicchia, che si differenzia tantissimo dalla baldoria e dalla festa che richiede il tradizionale carnevale dei nostri giorni. Partiremo dal Centro Diurno Polifunzionale per Anziani “Arc. G. Gargiulo” per dedicare agli amici del Centro questo nostro lavoro per poi indirizzarci verso Trinità dove, nei locali della Terrasanta, canteremo ancora il nostro tradizionale Carnevale. Sarà poi la volta di Mortora che ci accoglierà in una corte del caratteristico suo Vicolo ed in ultimo ci porteremo a Legittimo per terminare nell’antico cortile di Villa Enrichetta l’esecuzione della Canzone della Zeza. Certamente bisognerà apprezzare il nostro sforzo nell’aver intrapreso anche la via del canto che, insieme alla bellezza della nostra recitazione, vuole offrire una occasione di rivalutazione della tradizione, ma anche opportunità di trascorrere un’ora in sana allegria.

Sabato, 29 poi presenteremo l’esecuzione della Canzone della Zeza davanti al piccolo sagrato della Cappella di San Liborio, alle ore 19,30 per poi dare spazio alla esposizione solenne del fantoccio della “Quaraeseme, tesaeca, teseca…” già da qualche anno posto in bella vista con le penne da eliminare di domenica in domenica…Questa nostra piccola tournè tra le mura della  nostra città ci permetterà anche di raccogliere qualche spicciolo per potere contribuire a realizzare i lavori di consolidamento e restauro della Cappella di San Liborio-.

Ci auguriamo che questa nostra iniziativa verrà apprezzata, volendo perdonare  qualche stonatura o imperfetta esecuzione pur se ad eseguire le musiche ci saranno i bravi Nicola e Gianluca della “’A Paranza d’o Parent”….ci auguriamo inoltre di poterne ridere insieme, seguendo quanto più possibile l’esempio dei nostri padri, rivivendo e condividendo così quella semplicità d’intreccio e di trovate che caratterizzavano gli spassi ed i racconti dei nostri avi.

Un impegno mantenuto per un sacrosanto dovere verso la nostra storia!

Luigi IACCARINO

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