Napoli. Villa Floridiana. Museo della Ceramica Duca di Martina. “Keramikos 2020”, 20.12.2019-15.03.2020. foto

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    Segnalazione di Maurizio Vitiello – Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo l’interessante, articolata e profonda recensione di Franco Lista sulla mostra “Keramikos 2020”, allestita nel Museo della Ceramica Duca di Martina, nella bella Villa Floridiana di Napoli, dal 20 dicembre 2019 al 15 marzo 2020, curata da Lorenzo Fiorucci.

    KERAMIKÒS / MEDITERRÀNEUS
    Franco Lista

    “Keramikos 2020” è il titolo di una mostra da non perdere, allestita nel Museo della Ceramica Duca di Martina, nella bella Villa Floridiana di Napoli (dal 20 dicembre 2019 al 15 marzo 2020), curata da Lorenzo Fiorucci.
    Si tratta di una rassegna di ceramiche sul tema del Mediterraneo, che vede le opere di alcune generazioni di artisti intrecciate con la varietà degli storici manufatti ceramici esposti nel Museo.
    Questa prima iniziale caratterizzazione della mostra è molto interessante: l’inserimento dei pezzi di ceramica contemporanea crea un nuovo, stilisticamente aggiornato, percorso visivo con un inedito contenuto immaginativo che appare quasi incorporato nelle antiche vetrine.
    L’interesse risiede non solo nell’accostamento tra antico e nuovo e nel dialogo realizzato tra storia e contemporaneità. Un’attrazione dunque non di semplice strategia espositiva, ma che nasce dalle rilucenti percezioni sensoriali e dalla forte vivacità, concettualmente attiva, dell’accostamento delle opere in mostra.
    L’atteggiamento didascalico, al quale ci si è abituati nelle ormai consuete mostre di arte attuale allestite in musei dove l’arte storica fa quasi sempre da sfondo, qui alla Floridiana va visto nel suo capovolgimento. L’arte storica non fa più da semplice sfondo sul quale campeggiano le opere contemporanee, non appare più come inatteso spaesamento. Essa ora opera nella direzione di un sensibile accostamento ai freschi e attuali linguaggi della ceramica.
    E la pigrizia del comune visitatore verso l’antico si desta e si risolve in atteggiamenti di piacevole ricerca, di attiva curiosità e di crescente apprezzamento verso le varie e inconsuete forme espressive: quasi “una caccia al tesoro” nel fondo del Mediterraneo.
    Certamente sono proprio le possibilità evocative del tema a stimolare la mobile azione del visitatore, orientato dai vari influssi, alla ricerca del pezzo ceramico di oggi, come se ciò corrispondesse alla più interiore e tangibile ricerca della “forma perduta”.
    Il riverbero semantico del Mediterraneo e la sua reinvenzione in forma di oggettualità ceramica – intuita come trapasso al valore estetico del dato materico – prendono progressivo corpo nella mostra suscitando una vivace realtà partecipativa.
    Naturalmente, ciò corrisponde alla altrettanto vivace produzione del nutrito gruppo di ceramisti, nelle cui opere sembra connaturato quel sacro mistero interposto tra argilla e fuoco, ravvivato talvolta da inserti di altre materie preziose.
    Nell’epoca della diffusa e conformistica modalità “virtuale”, l’antica prassi della “fabbrilità” riapre il discorso sul valore della mano e dei manufatti. Kant, con estrema sintesi, osservava: “La mano è la finestra della mente”.
    Anche per questo l’apprezzamento per la ceramica pare estendersi, va oltre la tradizionale e ristretta compagine degli esperti, perché se ne intuisce l’arcano segreto, si è sollecitati a penetrarne il primigenio processo creativo della materia, quasi fosse un enigmatico percorso panteistico.

    Risentono maggiormente di questa “incarnazione di senso”, presente nella varietà e molteplicità interpretativa del tema e libera da “epigonismi” di maniera, gli artisti Sabine Pagliarulo col suo Amuleto, Stefano Soddu con Insula, Luca Baldelli con Ovo, Evandro Gabrielli con Trabucco e Toni Bellucci col Vaso-vela.
    Lo spazio centrale delle sale espositive è riservato ai più consolidati maestri sui quali sarebbe oltremodo lungo addentrarci nella loro vasta ricerca artistica, documentata peraltro da un’ampia e consistente antologia critica.
    Sarà pertanto opportuno mettere da parte improbabili quanto estemporanei florilegi, limitandoci a poche ed emotive riflessioni sulle loro opere in mostra.

    La densità, la ricchezza e la profondità dell’esperienza ceramica di Clara Garesio è più che nota: nell’opera Elpìs appare estrinsecata in una certa radice surreale data dalla iterazione di mani, onde e occhi che ci guardano. Stilemi che appartengono all’artista e danno consistenza al mitico “spirito della speranza” del vaso di Pandora dal quale prende forma e impaginazione la sua opera.
    Qui è evocata la filosofica speranza di Eraclito quando sosteneva che chi non spera l’insperabile non lo troverà.
    Forse si tratta della stessa speranza di Ernst Bloch che ha scritto: Quel che importa è imparare a sperare.
    Ed è la medesima speranza che sconfigge la paura di attraversare il Mediterraneo e che va oltre la morte.
    Clara Garesio mette nel cuore della sua ceramica queste profonde riflessioni. Il suo interesse sociale e artistico si rivolge a chi naufraga nel mare che è mare dell’esistenza, dove resta a galla e sopravvive la speranza che appartiene alla realtà e alla vita.

    Muky, nella sua opera Duemilaventi, riconduce al grado zero la ceramica con una abile ed essenziale combinazione di pochissimi materiali. Essi suscitano accrescimento espressivo proprio per la loro rigorosa ed estrema riduzione alla substantia della materia che per essere reale deve possedere qualità.
    Oltre il concettualismo e il poverismo che contrassegnano gran parte del contemporaneo, il teorema artistico di Muky è tutto dentro la fisionomia aristotelica dell’opera presentata.

    L’habitus creativo di Giuseppe Pirozzi traduce in forma tangibile la dimensione concettuale del Mediterraneo.
    La sua opera Respiro rintraccia le più remote origini, le radici prime di questo stratificato grembo antropogeografico, attraverso una densa e lievitante costruzione ceramica.
    L’essenza di questa “fisicizzazione”, di questo studiato e progressivo accumulo, discende da una straordinaria inventività dove reperti, relitti, segni, tracce e impronte di materiali archetipici appaiono vincolati in una trama compositiva e quasi obbligati a dialettizzare tra loro e a misurare l’impegno civile col pubblico.

    Franco Summa, con Korai, declina il tema della mostra in totemiche e libere forme-oggetto, sciolte da ogni relazione o condizione, che assumono il valore della metafisica rivelazione di un attualizzato e filosofico assoluto, materializzato nella cromia smaltata del tuttotondo ceramico.

    “Keramikos” raccoglie dunque una complessità di linguaggi e tendenze attorno alla scultura ceramica”, scrive Lorenzo Fiorucci curatore della mostra. Una complessità con la quale gli artisti si sono interrogati sull’importante tema assunto e anche nei confronti della materia: una condizione particolare che investe di qualità umane le cose inanimate, come acutamente ha scritto Richard Sennett.
    “Keramikos” nel suo svolgimento tocca, nel vivo delle esperienze che attualmente si vanno compiendo nella scultura ceramica, la coscienza dei visitatori su questi importanti aspetti.
    L’interrogazione che si pongono gli artisti è anche scoperta di quella goccia d’infinito che è nell’argilla.
    “La materia – scriveva Voltaire – era dunque considerata fra le mani di Dio come l’argilla sotto la ruota del vasaio”.

    Franco Lista
    Napoli, gennaio 2020

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