Gattuso soddisfatto della squadra.Ma non siamo ancora guariti -una vittoria meritata foto

 

Non è mai finita, anche quando sembra che non ci sia altro da fare che rassegnarsi a se stessi e al destino: non è finita, neanche nell’istante in cui dinnanzi c’è una voragine che sta per inghiottirti e la serie B (la serie B), è a sette punti di distanza. Il calcio è degli uomini, del talento, degli episodi e ora si resterà persi in quell’ora e mezza ch’è la fotografia d’una notte terribile e folle nella quale il Napoli ha scoperto cosa significhi il terrore, prima di ritrovarsi abbracciato gioiosamente in una felicità che il Sassuolo ha scoperto diventasse rabbia. Non finisce mai questa partita pazza e illogica, che il Sassuolo domina per 45 minuti e poi lascia al Napoli, magari per mancanza di energia o per quella che può essere considerata la paura di volare: però tutto succede in un istante introvabile tra le pieghe di una serata surreale, nella quale, all’improvviso compare il Napoli. Per quel periodo, sessanta minuti c’è stata una sola squadra, quella di De Zerbi, che costruisce, s’impadronisce della gara, la tiene per sé e la butta via.

BRR. Una serata del genere, dell’orrore, il Napoli non può immaginarsela, eppure la attraversa, sopraffatto in ampiezza e in profondità dal Sassuolo, dalla sua leggerezza. E mentre il Napoli è stordito, incapace di fronteggiare e di formulare una sola idea, galleggia abbracciandosi a Meret, a De Zerbi può scappare un sorriso. C’è stato un tempo, il primo, in cui si sono capovolte le gerarchie e le distanze tra la presunta candidata allo scudetto e quella meravigliosa «provinciale» (con rispetto, s’intende) è divenuta incolmabile, resa impalpabile da due prodezze di Meret, da qualche «stravagante» scelta di Boga e di Traoré nel chiuderla, dal ritardo impercettibile di Caputo per andarsene a fare lo shopping natalizio in santa pace con se stesso.

DOV’ERA? Il Napoli non è negli schemi, nel corpo: un’assenza collettiva, un «ammutinamento» stavolta tecnico, che ha spalanca le porte della disperazione per De Laurentiis, rimasto intirizzito dal glaciale impatto sulla partita da una squadra inesistente. Il Sassuolo rappresenta De Zerbi in tutta la sua «spudorata» eleganza, è nella partita e la plasma, incurante delle assenze (se possono bastare: Berardi, Chiriches, Defrel, Consigli, Toljan, Djuricic), rimescolandola (Boga da destra a sinistra per mandare Traoré dall’altra parte), allarga il campo, ci si infila ripetutamente, crea (sin dal primo minuto, su palla inattiva), spreca (al 4′ con Duncan), sfonda (al 29′ con Traoré per l’1-0) e si concede pure il contropiede.

PICCOLE COSE. Poi qualcosa capita nella psicologia del Napoli, che rinuncia a Fabian Ruiz (uscito imprecando) e resta nella «ossessione» del 4-3-3, una favola che appartiene al passato e sembra possa essere solo raccontata ai bambini. Non è il sistema che rimescola quel match, ma è la rabbia che sa tanto di Gattuso, la sua ira che nello spogliatoio dev’essere stata energizzante, e il resto lo fa il Sassuolo che spreca le occasioni per ripartire. Fuori Luperto, poi Elmas per Fabian ma dentro un altro Allan, è lui che diventa il rifierimento agonistico e caratteriale: prima scova il pareggio dal nulla (12′ st) poi lascia che intorno a lui decolli Zielinski e diventi una presenza Callejon (che segna e il Var giustamente glielo annulla, e che prende una traversa).

LO SCATTO. Il Napoli si sistema nella metà campo avversaria, glielo concede il Sassuolo intanto sparito, e costruisce, non sempre con lucidità, e poi dilapida. Ma c’è un’altra vita, ora, in quel Napoli: non incanta ma emoziona, dà la sensazione di essere presente a se stesso, ha chance (con Insigne e anche con Mertens) ed una sua normalità che sembrava non gli appartenesse più. Ha un cuore, l’ha ritrovato nel momento in cui ha scoperto che forse stesse per consegnarsi ad una stagione terrificante, e l’ultimo pallone, che schizza tra gambe e teste e finisce dentro, dopo la deviazione di Obiang sulla pressione di Elmas, l’aiuta a credere ch’esista un futuro, che il Napoli non sia finito.

E vai a capirlo questo calcio, strano e perfido, che mischia due partite in una e non sai quando cominci la prima e perché finisca in quel modo la seconda. E non ci sono ragioni logiche, non se ne vedono nel caos che scatena un colpo di scena inaspettato e imprevedibile, in cui la gioia del Napoli diviene la rabbia del Sassuolo e per poco, a bordo campo, non si arrivi al contatto tra Giuntoli e De Zerbi. Non si spiega il calcio, si accetta e poi si analizza: e quando ormai l’ira s’è trasformata in delirio, il Napoli sa dove ripartire, ora lo sa, anche se nell’intervallo, davanti a quel Sassuolo, non ne aveva consapevolezza.

Gattuso, incredibile ma vero.
«Sappiamo di essere convalescenti, di dover guarire. Erano due mesi che non vincevamo in campionato e l’abbiamo voluta, ma siamo coscienti di dover superare le difficoltà. Non siamo ancora guariti».
Non potete esserlo, con quel primo tempo.
«Spero che sia stato l’ultima frazione di una partita che questo Napoli abbia sbagliato. Nell’intervallo c’era tanta delusione, poi sono stati bravi i ragazzi. Non gasiamoci, la strada è lunga, dobbiamo migliorare, però. nella ripresa ho avuto le risposte che cercavo. Miracoli non se ne fanno, bisogna continuare a lavorare. Io so che questa squadra ha tanta qualità, ma serve equilibrio e bisogna sapere essere nelle partite per novanta minuti, anzi per novantacinque come stavolta con il Sassuolo».
Lei insiste: 4-3-3
«Questa squadra ha sempre giocato così, però bisogna essere più corti, lavorare di reparto e dare continuità al lavoro cominciato dieci giorni fa. Vero, Fabian ha faticato, non è un vertice basso, ma ora dobbiamo essere perfetti noi per farlo giocare in quella posizione».
Dove interverrà?
«Bisogna intervenire sulle catene, fare movimenti opposti. Nel primo tempo siamo stati statici, abbiamo perso troppi palloni».
Poi è venuto fuori il carattere, che sembrava fosse andato disperso.
«Onore a questi ragazzi, che in dieci giorni mi hanno dato grandissima disponibilità. Voglio entrare nell’anima dei miei giocatori, so allenare solo così: magari può dar fastidio a qualche giocatore, stare ventiquattro ore sul pezzo, ma io sono questo».
Il talento non vi manca, comunque.
«Questo Napoli per tantissimi anni ha scritto pagine importanti della storia del club, giocandosi il campionato fino alla fine. Ora stanno vivendo una realtà che non gli appartiene e bisogna intervenire».
Se le dicono Barcellona…
«Mi vengono i capelli bianchi… Lasciamo stare. Pensiamo a Lazio, Inter e tutte quelle che dobbiamo affrontare. Ce la giocheremo, faticheremo, ma prepariamoci per quello che deve arrivare».
Certe vittorie sono un segnale?
«Sono nella parte sin dal primo giorno che sono arrivato: mi piace toccare i miei giocatori, mi piace avere un contatto, sono sempre stato così. Ma la svolta va trovata con le prestazioni: oggi ho sentito tanti fischi e poi gli applausi. Ho visto la gioia negli occhi di tutti. Ora abbiamo il dovere di riportare i tifosi allo stadio».

fonte:corrieredellosport

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