Una vita da Sparviero

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Oggi alle ore 21 riflettori sul campione del mondo Patrizio Oliva che calcherà in pantaloncini e guantoni il parquet della Sala Pasolini, ospite del cartellone dedicato al Teatro Civile

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Di OLGA CHIEFFI

Lo sparviero è un rapace definito di “basso volo” in cerca di sorprenderle tra la vegetazione, e le insegue con volo agile e velocissimo, sceglie, un posatoio e resta in attesa, studia il movimento delle prede e l’azione viene quasi sempre portata dal basso verso l’alto e da dietro, sfruttando l’angolo morto del campo visivo della vittima. Lo sparviero è il soprannome del pugile Patrizio Oliva che questa sera, alle ore 21, trasformerà il parquet della Sala Pasolini in ring, ospite della sezione del cartellone della stagione di prosa dedicata al teatro civile. “Patrizio vs Oliva”, è la trasposizione teatrale del libro autobiografico dal titolo “Sparviero-La mia storia”, la cui drammaturgia è stata curata dal nipote del boxeur, Fabio Rocco Oliva, per la regia di Alfonso Postiglione. Rossella Pugliese, con lui sul palcoscenico, si cala, invece, nel ruolo di madre, tratteggiando il ritratto di una donna calabrese abituata al sacrificio ma, ciò nonostante, fortemente piegata dall’incommensurabile dolore per la perdita del proprio figlio quindicenne. Il ring è un luogo non luogo come il palcoscenico, come la scacchiera, il rettangolo del dressage, il tatami, la pista d’atletica, la piscina, il tavolo da biliardo: è specchio della vita. Nella boxe ci sono regole, c’è anche il giudizio, che è sempre umano e non infallibile.Il mondo è tutto un palcoscenico sul quale tutti noi, uomini e donne siam solo attori, con le nostre uscite e con le nostre entrate”, dice Jacques in “As you like it” di William Shakespeare e la storia di Patrizio Oliva, come per tutti i grandi campioni, è una storia di fame, di assenza di negazione, di dolore, solo da lì può nascere la grande gioia. A otto anni Patrizio ha già deciso che i pugni sono il suo destino, comincia ad affrontare in strada i coetanei, a Poggioreale, ma con estrema eleganza. A casa, prova passi e posizioni davanti allo specchio. Immagina un telecronista che commenta ogni colpo, che urla il suo nome: Oliva colpisce, nessuno può fermarlo. In casa sono sette, cinque maschi e due femminucce e lui ha giurato a suo fratello Ciro, promessa del Napoli, scomparso a soli 15 anni, che sarebbe salito sul tetto del mondo. Così è stato. Si è partiti dalla Palestra Fulgor, ai Quartieri Spagnoli, quindici chilometri a piedi per arrivare, un po’ come i fratelloni Abbagnale da Pompei a Castellammare, un sottoscala sporco, infestato dai topi, un posto terribile ma per il bambino di Poggioreale è il più bello del mondo. Più in là, c’è il paradiso, il ring. Il maestro, Geppino Silvestri, il migliore in città, un tranviere, gli insegna che la boxe non è forza fisica, è innanzitutto movimento di gambe, intelligenza, equilibrio e scelta di tempo. Poi la scalata campione italiano dilettanti le Olimpiadi del boicottaggio, senza bandiera e senza inno, il professionismo, la cintura dei superleggeri, con una mano sola 155 vittorie su 160 incontri disputati. li ricordiamo i titoli dell’ottavo oro di Mosca: “Oliva è un fiore germinato spontaneamente sul quale pochissimi possono accampare meriti e pretese. Oliva ha messo in piedi il suo personale miracolo da solo, accoppiando alle doti naturali il meglio della razza dalla quale proviene”, segno che sulle tracce dello zio Walt Disney e di Patrizio Oliva dobbiamo tutti credere nel motto “Se puoi sognarlo puoi farlo”.

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