La cultura non è un lusso: è una necessità. Riflessioni a margine di un convegno, i martiri del 1799 e Gaetano Salvemini

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L’amico Ciro Raia, professore e storico ha intrattenuto alcuni studenti del Liceo Scientifico “Gaetano Salvemini” di Sorrento parlando della rivoluzione napoletana del 1799. La congiura giacobina del 1794 che costò la vita al successore di Genovesi sulla cattedra di economia civile, Trajano Odazi, e ai giovani allievi della scuola di chimica e di matematica di Carlo Lauberg, tra i quali il celebre Emmanuele De Deo, ebbe un parallelo, contemporaneo svolgimento anche a Palermo, e nel supplizio di Francesco di Blasi, che guidava la congiura, si può intravedere la profonda continuità ideale che legava la generazione rivoluzionaria. La rivoluzione del 1799 fu un tentativo generoso ed ardito di realizzare un’utopia filosofica, un’idea dello spirito, di tradurre in atti, in istituzioni e in “sapienza volgare”, cioè vichianamente, “di legislatori”, la “sapienza riposta” dei filosofi. Per dirla con Benedetto Croce l’idealismo democratico tra il culto fantastico di Numa e di Augusto, e quello degli Spartani e dei Romani, c’è qualcosa di comune: il desiderio del bene sociale. Un modello che Vico e Doria avevano lasciato in eredità a Genovesi e Filangieri, che questi avevano trasmesso come fede religiosa ai rivoluzionari del 1799. Una cosa è certa: dalla sconfitta salì un esempio importante, l’idea che una verità rimane tale anche se ad essa non arride il successo concreto, al quale comunque bisogna tendere, e questo mi impone di ricordare agli studenti il pensiero di Gaetano Salvemini: «Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere» . Ragazzi se vi state chiedendo cosa siete venuti a fare a questo convegno ricordate che Salvemini a soli ventotto anni ottenne la cattedra di Storia moderna a Messina (1901); denunciò il malcostume politico e le gravi responsabilità di Giolitti con il libro: “Il ministro della mala vita” (1910). Chiamato ad insegnare in America pubblicò a partire dal 1943 Le lezioni di Harvard sulle Origini del fascismo in Italia, e riconferma l’idea di Salvemini che l’insegnamento della storia sia il più valido strumento di libera educazione civile. Morì a Sorrento, il 6 settembre 1957. E se pensate che avete difficoltà di dialogo coi vostri genitori pensate al difficile rapporto tra lui e il figliastro Jean Luchaire, segnato dalla progressiva affermazione di un conflitto ideologico con il ragazzo, (figlio della sua seconda moglie, Fernande Dauriac) a cui egli era legato da un affetto paterno . Padre contro figlio, antifascismo contro nazismo. Tale dissidio diventerà insanabile a seguito della scelta dell’esuberante Jean di sposare la causa del nazismo, che lo renderà ben presto noto a tutti come il “Fuhrer della stampa collaborazionista” in Francia. Forse per i festeggiamenti dei 50 anni del vostro Liceo vi parlerò di Edipo, Antigone e Salvemini, infatti la scelta tra gli affetti familiari e la passione politica, che si profila in quest’avvincente ricostruzione, appare, in fondo, non molto dissimile all’alternativa tra il “ghenos” e la “polis” che si impone drammaticamente nel mito classico di Antigone. Fino a che punto il perseguimento di un ideale può spingerci lontano dalle nostre radici? E come conciliare il ruolo di antifascista con quello di padre di uno dei maggiori collaborazionisti? Sono queste le do-mande che attanagliarono per un’intera vita l’animo di Gaetano Salvemini e anche noi oggi. Ma forse fin qui sono stato troppo “pesante” allora lascio concludere a qualcuno che conoscete: Michele Salvemini, in arte Caparezza. Egli dice che oggi non ci sono più esponenti che appartengono alle correnti politiche, ma ai cognomi… «se proprio ne dovessi scegliere uno mi terrei il mio che è anche quello di un esponente della politica italiana che stimo molto, Gaetano Salvemini. A dirla tutta, più che comunista sono salveminiano». Ragazzi, contro la deriva xenofoba e razzista, come Gaetano Salvemini dobbiamo avere un animo continuamente in lotta tra il sentimento disperato della pietas e l’intransigenza del motto: “Non mollare”.
Aniello Clemente

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