Un dodicenne precoce: Antonio Mancini “figlio” dell’Accademia di Belle Arti di Napoli

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Lunedì 21 ottobre l’Istituto di Cultura «Torquato Tasso», grazie alla squisita accoglienza dell’Hotel Continental di Sorrento, ospiterà la prof.ssa Cinzia Virno. Laureata in storia dell’arte moderna presso l’università la Sapienza di Roma, specializzata in storia dell’arte contemporanea all’università di Urbino, è curatore presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma per l’800 e il 900, consulente d’arte e antiquariato presso il Tribunale di Roma, esperto esaminatore della camera di commercio, consulente d’arte Fideuram. Si occupa di antichità e belle arti in genere, con particolare riferimento all’arte italiana dell’Otto e Novecento. È autrice di numerosi saggi, articoli e cataloghi sulla pittura, la scultura e la grafica di questi periodi e di testi monografici sulle tecniche artistiche. Curatrice di numerose Mostre d’arte in Musei pubblici e in gallerie private, è curatrice e titolare dell’archivio del pittore Antonio Mancini – uno dei maggiori artisti italiani tra ‘800 e ‘900. Antonio Mancini dimostra una tale e precoce abilità artistica che, appena dodicenne, viene ammesso all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove si conservano queste sue opere: Testa di bambina, Studio di testa di spalle, Rosina, Profilo di donna in nero, Dama in rosso, Vestire gli ignudi. All’Accademia è allievo di Domenico Morelli, di Filippo Palizzi e di Stanislao Lista, stiamo parlando dei maggiori artisti del XIX secolo. È anche molto amico di Vincenzo Gemito e, come lui, ha una giovinezza povera e difficile. Forse Il Bambino povero (Rijksmuseum, Amsterdam) vuole ricordare quegli anni. La vita popolare, spesso segnata da accenni di tristezza, caratterizza le sue prime opere quali il Prevetariello (Museo nazionale di San Martino, Napoli), Lo Scugnizzo (L’Aia, Mesdag Museum), Autoritratto (National Gallery di Londra). Già nel 1870 espone al Salon di Parigi due suoi dipinti, riscuotendovi subito un grande successo. Nel 1872 compie un viaggio a Venezia rimanendo profondamente colpito dalla pittura veneziana. Tre anni più tardi conclude i suoi studi accademici e si trasferisce a Roma dove apre un proprio studio; aderisce alla corrente artistica del Verismo o Realismo, che in Francia vede in Gustave Courbet il suo principale esponente, dedicandosi al ritratto e alla pittura di genere aneddotico. Nel 1875 per alcuni mesi si trasferisce a Parigi. Durante il soggiorno parigino lavora per i mercanti d’arte Adolphe Goupil e Hendrik Willem Mesdag. Conosce Hilaire German Edgar Degas ed Édouard Manet e diviene amico di John Singer Sargent che lo considera il miglior pittore vivente. Conosce anche Jean-Louis-Ernest Meissonier, famoso per le sue scene di battaglia e il pittore e scultore Jean-Léon Gérôme. Nel 1878 fa ritorno a Napoli, vittima di una malattia e con profonde crisi depressive che, nel 1881, ne consigliano il ricovero in una casa di cura. Dimesso l’anno suc-cessivo, decide infine di trasferirsi definitivamente a Roma nel 1883 dove può contare anche su di un aiuto finanziario dagli artisti suoi amici. Nonostante i suoi due soggiorni a Parigi, Antonio Mancini rimase profondamente estraneo alle tendenze più attuali della pittura francese del tempo, preferendo un forte legame con il quadro d’impianto seicentesco e il naturalismo ottocentesco italiano, anche se ulteriori sue ricerche (con l’inserimento di pezzi di vetro, stoffe e altri materiali sul quadro) confermano come ne sentisse la profonda crisi. A Roma conosce Aurelia che, oltre a posare per lui come modella, diviene anche sua compagna di vita. Con il mecenate olandese Mesdag stipula un contratto per cui, dal 1885 in poi, Mesdag provvede ad inviargli regolarmente del denaro in cambio di dipinti e disegni (circa 150 lavori) che il mercante tratterrà per sé (oggi sono nel museo a lui intitolato) e a vendere il resto. Ha inoltre un contratto con il mercante Messinger (lavorerà per lui fino al 1911) e poi con il mecenate e collezionista Fernand du Chêne de Vère che lo ospita nella propria residenza di Villa Jacobini (Casal Romito) a Frascati, dove rimane per 11 anni, fino al 1918. La fama è ormai raggiunta: nel 1920 la XXII Biennale di Venezia gli dedica una mostra personale e nel 1929 viene accolto nell’Accademia d’Italia. Muore a Roma nel 1930 ed è sepolto presso la navata destra della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio, sull’Aventino.
Aniello Clemente

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