A Scala e Tramonti tra profumi di ciclamini e mosto e sapori di funghi e castagne

di Giuseppe Liuccio

In questo ultimo weekend c’è stata a Scala la “festa della castagna“. E’ una sagra tradizionale, come, d’altronde, quella di Tramonti- Nel corso degli anni ci sono stato a più riprese sia all’una che all’altra, perchè in entrambe le località dispongo di molti amici e, soprattutto, perchè l’anima contadina che mi porto nel DNA mi porta a privilegiare i territori di montagna, che,oltretutto, sono il futuro del turismo nella Costa d’Amalfi, che, come è noto a tutti e come ho avuto modo di scrivere e motivare in altre occasioni, si sviluppa più in verticalità che in orizzontalità. E sono stato sempre gradevolmente coinvolto dalla calda ospitalità degli abitanti. Ho ancora memoria nitida della festa/sagra di un paio di anni fa, quando nella bella ed accogliente Piazza del  Duomo fui letteralmente catturato dalla simpatia contagiosa delle donne di Scala alle prese con le tipicità della gastronomia e della pasticceria, legate, ovviamente, alla castagna. Ne feci assaggi frequenti con buona pace dei problemi di dieta, che consiglierebbero sobrietà. Così come ho ricordi delle scampagnate di gioventù, quando avevo gambe e cuore di e per la escursione/scoperta, nei pianori di Santa Maria ai Monti, tra emozioni da delirio con panorami mozzafiato tra cielo e mare e con il panorama di Amalfi con cupole di chiese maiolicate, campanili luminosi di sole e tetti di case squillanti di rosso. Me ne sono ricordato con nostalgia in questo weekend di festa/sagra della castagna ed il mio pensiero è volato anche, istintivamente non fosse altro che per vezzo di cultura, ad una bella pagina di Giovanni Pascoli, che esaltava il paesaggio rurale della Garfagnana, in cui il castagno era ed è un albero familiare, perchè ha scandito la storia delle famiglie non solo e non tanto sul piano dell’alimentazione (è appena il caso di ricordare che le castagne costituirono per intere generazioni il pane dei poveri) ma anche nelle abitudini e stili di vita. Con il legno di castagno gli esperti artigiani costruivano le culle per accogliere i bimbi frignanti, sbrigliavano la fantasia per inventare i giocattoli poveri, costruivano il mobilio per arredare la casa degli sposi, gli attrezzi per il lavoro e per il raccolto dei campi, la “cassa” per accogliere le spoglie mortali per l’ultimo viaggio. Ed il  pensiero è volato anche al mio Cilento, dove la castanocoltura ha recitato ed in parte ancora recita e potrebbe ancor più recitare per il futuro un ruolo importante nell’economia di tanti paesi (Roccadaspide, Stio, Cuccaro, Futani, Montano Antilia, ecc.). Eppure un prodotto che ha scandito la povera alimentazione di intere generazioni ed ha festosamente salutato le mense di tante famiglie nel periodo ottobre/novembre con lo scoppiettare delle caldarroste, la dolce pastosità delle lesse, il croccante profumo delle infornate potrebbe e dovrebbe costituire un punto di forza per rilanciare un’economia che faccia leva anche sulla genuinità e specificità dei prodotti della terra.

Ma ho pensato anche alla vicina Tramonti, dove sono stato tante volte di questo periodo a fare il pieno di emozioni di profumi e sapori con lo sguardo a perdita d’occhio da un punto di osservazione privilegiato del Valico di Chiunzi tra l’anfiteatro di colline e vallate, forre e pianori, a testimonianza di una comunità operosa da secoli, articolata in tredici villaggi disseminati tra il verde delle campagne coltivate a raggiera intorno a chiese e campanili, che, luminosi cercano il cielo con un filo di croce. Meritano tutti una visita. soprattutto nelle prossime settimane di fine ottobre e di novembre per un viaggio d’amore e di cultura. per inebriarsi ai profumi di antichi “sapori” tra conservatori e conventi, dove le monache pestavano “concerti” da erbe aromatiche, per incantarsi all’abilità dei “casari”, che, con la faccia di luna piena, ed il sorriso solare, ricamano trecce e rassodano provole, frutto di sapiente cagliatura di latte di pascoli di altura, o assistere ai miracoli di mani nelle case/botteghe degli ultimi “cestai” di Corsano, Figline, Capitignano e Cesarano a perpetuare l’arte dei padri e a tirar fuori dai teneri virgulti  sporte, panieri, cofani e borse. Ho una gran voglia di tornarci anch’io e lo farò di sicuro a breve per gustare, in uno dei tanti ristoranti accoglienti, porcini ed ovuli, monete, chiodini e prataioli raccolti nei boschi di Gete, tra i monti confinanti con Cava o le caldarroste dei castagneti di Cesarano, dove gli ultimi ricci si aprono tra tappeti di ciclamini lungo la strada che plana verso Ravello e regala, a tratti, scaglie di mare lontano.”Hanno anima i luoghi ed hanno voce” per chi sappia prestare orecchio al vento che passa lieve tra il fogliame ramato e spoglia i rami, o cattura i profumi ai ciclamini delicati che occhieggiano tra i fossati e stendono tappeti per i funghi  che, vanitosi, s’incappellano ai ceppi degli alberi, castagni, lecci e querce e alitano sapori a fuoriuscita dalle cucine di ristoranti e trattorie accoglienti e si fondono con gli afrori intensi del mosto che fermenta nelle cantine, con il sottofondo sfumato dall’eco franta dei campanacci delle mandrie alla pastura. E’ una atmosfera carica di sacralità agreste con il castagno che rievoca potenza e generosità del Padre Giove, con la vite che esalta la creatività allegra e  trasgressiva di Bacco/Dioniso, la grazia lieve di tenerezza di Demetra, Cerere e Pomona che ci regalano  l’ “amuleto”  di fecondità, delicato, dei ciclamini e la carnosità dei  funghi saporiti, nella prismaticità delle forme e ancora con  l’ariosità musicale dei versi di Virgilio,di Orazio, di Marziale e di Pascoli, più vicino a noi, o delle riflessioni di Plinio, Catone, Varrine e Columella o delle ricette appetitose di Apicio. Oh, quanta ricchezza non opportunamente valorizzata ed esaltata e che pure potrebbe dare spessore al nostro “brand” di promozione se solo ci decidessimo a  promuovere turismo di qualità nel segno della cultura e a diversificarne e destagionalizzarne l’offerta in linea con il ritmo della terra, che è e resta la nostra “magna mater” anche se noi ce ne dimentichiamo spesso, troppo spesso e con colpevole incoscienza. Meglio sarebbe se non strappassimo cuore e anima ed annacquassimo sangue al turismo  inaridendolo con la mitizzazione di cifre e statistiche.

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