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Salerno festeggia San Matteo, l’apostolo dell’amore e dell’accoglienza come scrive oggi Erminia Pellecchia bravissima collega de Il Mattino di Napoli primo quotidiano della Campania.
«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi…». È il Gesù dalla parte della gente, uomo in mezzo agli uomini, che trova in Matteo l’appassionato custode del suo insegnamento d’amore indirizzato ai «fratelli più piccoli», i poveri, gli oppressi, i semplici, gli indesiderati, «i benedetti del Padre mio». È un messaggio sociale, universale e attualissimo, il discorso di Cristo su giustizia e solidarietà riportato, con tutta la sua potente istanza, solo nel Vangelo di Levi, l’esattore delle tasse di Cafarnao, il peggior peccatore di tutto il mondo capace, però, di abbandonare «Mammona», ovvero il «denaro dell’iniquità», per seguire il messia di una comunità sofferente dove gli umili, gli infimi, i rifiutati trovano finalmente voce. Matteo il narratore di una storia eterna come lo definisce Aldo Busi nell’introduzione al «Seminario sulla gioventù»; Matteo la bussola, come suggeriva don Andrea Gallo, grande amico di Fabrizio De André, per navigare nei tempi incerti, di malessere e di sconforto che stiamo vivendo.
IL MESSAGGIO
Ed è al difensore dei pubblicani e delle prostitute, a quel mondo sommerso che può riscattarsi e passare avanti ai potenti e agli ipocriti nel regno di Dio, che l’eretico Faber si richiama in uno dei suoi album più intensi, «La buona novella» del 1970: un’affascinante rilettura del testo di Matteo che dedica ai «servi disobbedienti alle leggi del branco», ai «santi senza aureola», alle «anime salve». È un cercatore di verità il cantautore genovese, al pari di Pier Paolo Pasolini che, nel film capolavoro «Il Vangelo secondo Matteo», restituisce, in una dimensione epico-lirica, la moderna lezione dell’apostolo «gregario» nel rappresentare un Gesù più umano che divino che mette al centro di tutto l’amore che salva e vince. Già. Ispira gli intellettuali Matteo per il sapiente uso della parola giocata tra cronaca e poesia, per quel riportare i discorsi di Cristo seguendo una linea etica più che religiosa tracciata sul filo dell’innocenza e della speranza. Ed è una ballata per gli ultimi il «libro» (provate a leggerlo con la colonna sonora-preghiera del Vangelo secondo Matteo di Bach) dell’evangelista, raffigurato da Caravaggio nel dipinto «Matteo e l’Angelo» mentre armeggia con calamaio e pergamena in equilibrio precario sulla seggiola quasi metafora della nostra fragile esistenza. Cambia la prospettiva delle cose Matteo, il migrante in missione di pace (un dono di Dio proprio come il suo nome) tra Palestina, Persia, Etiopia, perfino Irlanda come vuole la leggenda. Migrante anche dopo la morte con le sue reliquie giunte chissà come a Velia, traslate a Capaccio e poi portate nella cosmopolita Salerno dei mercanti e della Scuola medica dove convivono etnie e credi diversi. «Sono straniero e mi avete accolto»: sarebbe bello vedere inciso sullo stemma cittadino con l’effige del patrono anche il suo richiamo alla fratellanza.

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