Razzismo Shock – a Torino Daspo decennali per i capi ultrà: prima volta in Italia

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Non era necessario arrivare dove osano le aquile o toccare qualche fondo abissale impermeabile alla luce. Bisognava indagare, rendersi conto della distorsione etica che ha intaccato il cuore del tifo organizzato, raggiungerla, intervenire. Lo hanno fatto. E sono arrivati gli arresti e Daspo lunghi mezza vita. Perché prima di tutto occorre convincersi, guardare in faccia il male, non distogliere gli occhi. Rischiare che il male guardi te. E di nuovo convincersi, come gli alcolisti. Abbiamo un problema e non è una spruzzata di imbecillità mimetizzata in un panorama di saggezza. 
A Brescia hanno misurato l’estensione di un guasto culturale ampio quanto l’Italia. Quanto una bella e ricca parte d’Italia, perlomeno. Il novanta per cento degli spettatori contenuti in una curva piena ha tentato di offendere Pjanic. Che i colpevoli ci siano riusciti è improbabile. Che gli abbiano gridato epiteti con quel preciso scopo non è negabile. Di fronte a questa enormità il giudice sportivo ha ritenuto opportuno procedere con la condizionale, perché dai, in fondo è la prima volta. Dimostrando come quel problema culturale del calcio sconfini dagli stadi e invada anche gli uffici istituzionali. Oltre a distrarre gli arbitri, che dovrebbero intervenire sul momento.
Il lato oscuro del tifo può essere circoscritto, persino eliminato. A Torino lo hanno pure daspato: pretendeva lucro, minacciava la Juventus, promettendo di metterla in situazioni simili a quella di Brescia, i cori razzisti usati come strumento di estorsione. Il club si è ribellato al pizzo in versione ultrà. Ciò che doveva fare. Così le forze dell’ordine hanno potuto agire come spetta a loro, riportare legalità sul territorio. Lo stadio è Stato, non terra di nessuno. La Roma ha promesso di bandire dalle sue partite un tale che insultava Juan Jesus sui social, notoriamente altra zona neutra secondo alcuni malsani immaginari collettivi. E poi ha invitato la Lega di Serie A a muoversi. A guardare in faccia la realtà, per quanto infame. Paul Rogers, che della Roma guida l’area digitale, è stato ancora più chiaro: ha scritto che la lega, intesa come Serie A, per abbattere il razzismo deve prendere posizione tutta insieme, costi quel che costi. Costi anche un novanta per cento di fuoriusciti. Costi anche una trasformazione antropologica del pubblico. Per uno o molti che desistono dalla lotta ci saranno sempre altri disposti a prenderne il posto. In stadi più giocosi, ripuliti dall’avidità, dalla prepotenza, dai cattivi odori, dal razzismo. Sarà il nostro calcio libero.
Il 90 per cento dei circa 4.700 tifosi della Curva Nord del Brescia ha intonato cori razzisti contro Miralem Pjanic durante e al termine della sfida con la Juve di martedì sera. Così scrive il giudice sportivo, Gerardo Mastandrea, nella sentenza che squalifica per una giornata la curva dello stadio Rigamonti, provvedimento poi sospeso trattandosi della prima volta per i sostenitori bresciani. Protagonista del fatto è stata quindi la quasi totalità dei presenti nel settore, non una piccola parte. 
In base alla relazione dei collaboratori della procura federale, il giudice sportivo ha evidenziato «comportamenti rilevanti per dimensione e percezione reale ai fini della punibilità degli stessi» ma ha anche considerato la sussistenza «delle condizioni per la concessione del beneficio» della sospensione dell’esecuzione della pena. La sanzione di disputare una gara con la curva priva di spettatori è sospesa quindi per un anno.

DIECI ANNI. A Torino, intanto, la scure del Daspo decennale si abbatte sui capi ultrà della Juventus: è la prima volta per il calcio italiano e ad essere colpiti sono quattro degli esponenti principali del tifo organizzato bianconero, arrestati nei giorni scorsi nell’ambito dell’inchiesta “Last Banner” condotta dalla procura di Torino, che ha decapitato i vertici della Curva Sud dello Stadium. La questura del capoluogo piemontese, guidata da Giuseppe De Matteis, ha emesso in tutto 38 Daspo, quattro dei quali appunto della durata di 10 anni, ovvero il massimo previsto dal decreto sicurezza bis, in vigore dal giugno scorso. Destinatari di questo provvedimento “storico” sono Dino Mocciola, il capo dei Drughi, il gruppo maggioritario nella curva, i suoi due “colonnelli”, Salvatore Cava e Domenico Scarano, e il capo del gruppo “Tradizione”, Umberto Toia. Per Mocciola e Toia c’è un supplemento: come previsto dalla nuova normativa, è stato loro vietato il possesso e l’utilizzo di telefoni e apparati radiotrasmittenti (smartphone compresi) e di qualsiasi tipo di arma (anche quelle giocattolo) in concomitanza degli eventi sportivi.
IL PROVVEDIMENTO. Dei 38 Daspo, 15 sono con obbligo di firma mentre 23 no. Questi ultimi hanno durata quadriennale e sono stati emessi nei confronti di persone indagate in stato di libertà per violenza privata o associazione a delinquere. Tra i 15 provvedimenti che richiedono la comparizione in concomitanza di eventi sportivi, 12 riguardano tifosi a cui è stata applicata una misura cautelare (per il reato di estorsione e, per alcuni di loro, anche per associazione a delinquere e auto riciclaggio). Quattro appunto comportano il divieto di accesso allo stadio per 10 anni; otto vanno dai 6 ai 7 anni. I restanti tre provvedimenti hanno colpito soggetti denunciati in stato di libertà (per violenza privata o associazione a delinquere) ma già destinatari di Daspo pregressi: resteranno lontano dagli impianti sportivi per 5 anni. «Il regolamento d’uso dell’impianto sportivo ci aiuta ad applicare costantemente sanzioni amministrative a chi non viene allo stadio per tifare – spiega il dirigente della Digos di Torino, Carlo Ambra – Questo è il punto di non ritorno: altre condotte in curva non saranno più accettate. Il Daspo è un provvedimento importantissimo perché toglie la leadership ai capi ultrà».

fonte:corrieredellosport

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