La ruralità di Ravello nella geografia delle emozioni, di Giuseppe Liuccio

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E’ possibile ipotizzare un viaggio sull’onda delle emozioni. Ci provo. La prima tappa è Ravello e non a caso, perché “la città della musica” me la porto dentro da sempre. E’ uno scrigno di tesori da cogliere a piene mani perle di bellezza e di cultura: ne ho scritto molto nel corso dei decenni della mia non breve esistenza. Sento di “doverlo”, e sottolineo il verbo, fare ancora e forse anche di più, dopo la mia esperienza, non sempre esaltante, di Consigliere di Indirizzo alla fondazione Ravello, per un weekend nella città della musica  in questo inizio d’autunno che prolunga l’estate è impagabile per l’uragano di emozioni che riesce a scatenare. E’ un viaggio che faccio spesso per amore e per cultura. E non mi perdo mai i conversari fino a notte fonda ai tavoli dei bar di Piazza Duomo sono; un rito, che fanno parte della memoria storica così come ripercorro, a passi lenti, vicoli a ferita di centro storico, tra palazzi gentilizi, conventi che parlano di santi e di monache macerate dalla penitenza ed esaltate dall’estasi nel volontario “carcere” della clausura. Incrocio l’ombra macilenta di Pasolini alla regia di film dissacratori di storia e tradizioni nel deliziosamente tortuoso e saltellante percorso verso Villa Cimbrone, incantandomi agli orti di geometrica fattura a strapiombo nella gola del Dragone, prima di inebriarmi nel turbine accecante di luce dall’abisso del Belvedere a conquista ariosa di colline che caracollano a mare con il prezioso carico di case a cupole estradossate, chiese e campanili che ricamano arabeschi maiolicati e cercano cielo a scivolo dai Lattari su Amalfi, Conca, Furore, Praiano e Positano con il sottofondo del canto di seduzione delle Sirene ammarate a Li Galli.

Di notte, dal terrazzo del Graal, dove di solito alloggio, dialogo con le stelle in assemblea festosa sui lecceti dell’Avvocata in attesa di una virgola di luna che faccia capolino sul Falerzio e dirupi con il carico prezioso d’argento sulle acque di Capodorso. Ma, all’alba, non mi perdo mai una full immersion nella ruralità, che mi è dentro per antiche frequentazioni: E così caracollo giù verso il mare di Minori, per scalinate che penetrano giardini di limoneti e profumano di susine, pesche e fichi e spio dalle cancellate dove il contadino paziente e sapiente ha ricamato macere di contenimento, innalzato pergolati che sono baldacchini, sarchiato, potato ed irregimentato le acque.

Mi ubriaco dell’aroma penetrante del finocchietto selvatico m’ incanto alla fioritura della valeriana spontanea sui muri a secco in compagnia di fagioli e pomodori al palo e palle e bottiglie oblunghe di zucche infiocchettate dai fiori gialli a conquista di mosconi e di api in gara di nettare da succhiare. Che spettacolo il sagrato della chiesa di Torello nell’abbaglio della luce! Che meraviglia Il Santuario/convento di San Cosma che minaccia di frantumarsi sui limoneti che scivolano caracollando a valle! Che fantasia di creatività e di voli arditi la nube bianca della Rondinaia, dipinta nel vero della falesia dove ancora aleggia, folle di genio e sregolatezza, lo spirito di Gore Vidal. Sarebbero l’una e l’altro contenitori da visibilio di piacere per eventi di straordinario impatto mediatico se solo si decidesse di spalmare eventi musicali e letterari(sogno da decenni un meeting di Nobel dei Paesi dell’Area Mediterranea!) su tutto il territorio comunale della “Città della Musica”.

Nella terza settimana di settembre Torello scarica terremoti di emozioni uniche ed irripetibili altrove con l’incendio di chiesa, campanile e case con uno straordinario spettacolo di fuochi pirotecnici che lacerano i silenzi della sera e cannoneggiano con granate multicolori cielo e mare della costiera da un avamposto di paradiso a volo sulle acque di Marmorata e di Minori. E nei giochi di luci ed ombre i maestri artificieri simulano l’incendio del borgo ad opera dei Pisani nei primi decenni del 1300 o giù di lì: una pagina di storia che gli eredi dell’Antica Repubblica Marinara spettacolarizzano nelle serene e profumate campagne di una piccola comunità, a settembre avanzato, appunto, quando l’acre delle fantasmagoriche bizzarrie di fuochi d’artificio si confonde e fonde con i profumi dei limoneti e dei vigneti con pergolati/baldacchini sulle “chiazze” e le nocciolate dello zucchero filato e del torrone delle bancarelle colorate al neon delle luminari.

E’ un gioiello di borgo Torello e meriterebbe di essere inserito, a pieno titolo, nell’elenco dei borghi d’Italia, dove starebbe in ottima compagnia con Atrani, Furore ed Albori di Vietri, che già ne fanno parte. Ma, soprattutto, se avessi potere decisionale, farei il possibile e l’impossibile, perché la piccola comunità, luminosa di grazia e di bellezza, avesse più protagonismo nell’offerta del turismo di qualità (concerti di musica classica e/o colta, trattorie d’autore nel verde profumato della campagna, magari con menu musicali!!!). Se Modena fa quelli di filosofia non vedo perché Ravello non possa ipotizzare quelli  ispirati alla musica !).

E, sempre a settembre, conosce giorni di protagonismo, meritato, Sambuco, l’altra caratteristica frazione, che riscopre ed esalta “la festa dell’uva”, a cui partecipavo nell’età giovanile e con i tarantellisti scatenati nelle danze tradizionali coinvolgenti e con i contadini che esponevano, ma espongono ancora, i prodotti tipici, a cominciare da uno speciale cultivar di fagioli, che fruttifica sui brevi/terrazzamenti lungo il torrente Reginola: un’altra bella pagina di storia delle tradizioni dell’altra Ravello, quella della ruralità, che va recuperata in tutta la sua genuina autenticità ed immessa sui mercati del turismo di qualità. E penso al turismo verde nella prismaticità delle sue offerte, a partire dal trekking in quel paradiso per gli appassionati, che è Monte Cerreto in una scalata, partendo dalla frazione di Monte Brusara.

Credo che sia un dovere di Comune e Fondazione rendere attori protagonisti dello sviluppo della città anche le frazioni, sottraendole al poco esaltante ruolo di parenti poveri, dilatando il turismo nello spazio e nel tempo ed arricchendolo con la destagionalizzazione e la diversificazione dell’offerta nel segno della cultura. Così come penso sia un diritto dei cittadini delle frazioni pretenderlo con forza.

L’obiettivo lo si raggiunge con il consenso di tutti, coinvolgendo ancora di più intelligenze e professionalità del territorio, riducendo ancora la straripante colonizzazione esterna, pur salvaguardando la qualità dell’offerta. aprendo un confronto serio e non chiudendosi nei califfati. Io appartengo ad una generazione che si è formata con convinzione sul principio democrazia e partecipazione, slogan che il genio di Giorgio Gaber trasformò in una canzone/inno che gonfiò d’entusiasmo le piazze rafforzandolo con un accento: democrazia è partecipazione.

Forse è il caso di cantarlo ancora, anche e soprattutto sulla piazza di Ravello, da cui arrivano ancora residui venti di guerra da chi non si rassegna al nuovo che avanza, innestato sulla consolidata esperienza del buono e del bello del passato per esaltare il presente e costruire il futuro.

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