Lot, i discepoli sulla barca e i migranti

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La liturgia di oggi mi suggerisce alcune analogie con quanto sta accadendo, ma non me ne meravi-glio essendo la Parola di Dio sempre attuale («Lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» [Sal 119,105]). La Prima lettura (Gen 19,15-29) ci ricorda la distruzione di Sodoma e Gomorra e “la tempesta sedata” è lo sfondo del Vangelo (Mt 8,23-27): «In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. Allora si accostarono a lui e lo sveglia-rono, dicendo: “Salvaci, Signore, siamo perduti!”. Ed egli disse loro: “Perché avete paura, gente di poca fede?”. Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. Tutti, pieni di stupore, dicevano: “Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?”». Due episodi che reputo quanto mai attuali. Lot non aveva fretta, indugiava, preferiva restare nella sua casa, non rischiare verso un futuro incerto, ma gli Angeli lo spronano: «Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città… Fuggi per non essere travolto» e queste ultima parole spingono tanti disperati a fuggire da guerre, pestilenze, carestie e atrocità di ogni genere. Noi, attaccati al nostro quotidiano, intenti a zappare solo il nostro orticello, forse non riusciamo a capire. Anche gli Apostoli, chi sa quante volte, hanno ripensato alla loro vita passata, semplice, senza scombussolamenti, specialmente ora che imperversa la tempesta. Le storie di Giona, di san Paolo, ci dicono che il mare è fonte di perenne pericolo e per chi si trova su una barca quando viene una tempesta non ci sono alternative, affrontare il pericolo, con la speranza di non annegare. La salvezza può anche materializzarsi attraverso l’intervento di una giovane che guida una piccola nave di soccorso. Ma la cosa che mi stupisce è che il Signore non si rivolge ai naufraghi o migranti ma a noi che stiamo sulla banchina con forconi e palizzate perché “impauriti” da 40 disperati. Per il credente l’irruzione di Gesù nella storia l’ha resa gravida di virtù, ed egli vive con fede e speranza cercando di essere agapico, essere oggetto di carità perché specchio dell’Amore trinitario. Su quel molo, alle frontiere o, come dice il papa, alle “periferie” reali e non solo esistenziali, Gesù ci dice: «Perché avete paura, gente di poca fede?… non siete voi che combattete contro le onde e i pericoli del mare». «Perché avete paura, gente di poca fede?… come fate a non vedere in ogni legno che galleggia rischiando di affogare, l’icona della mia croce?». Gesù è venuto per mostrare ad ogni uomo la via della croce; non deve essere per forza, ma se capita c’insegna come si cammina verso di essa e, a volte, sopra di essa si rimane fissati per sempre . Come rimangono, a volte, aggrappate ai loro sogni spenti, le vite di chi non ce l’ha fatta. Anche a noi spesso manca la fede. Non vediamo Dio dentro la storia e la nostra storia. Vediamo gli altri come male, i naufraghi, i migranti, i poveri non nel loro dolore, nella sofferenza, nell’incomprensione, nella solitudine, ma come portatori di malvagità e paura. Tutto vediamo in chi non ha il nostro colore di pelle, non parla la nostra lingua, tutto…, ma non il Signore. E allora la paura ricaccia nel vaso di Pandora la speranza perché la paura blocca, non ci fa rischiare, mentre la speranza è come una Red Bull: mette le aliii! Non sto dicendo che è un male avere paura, essa è la cartina di tornasole della nostra finitudine, del nostro limite come creature; appunto, che devono, quindi, guardare al Creatore al quale «nulla è impossibile». In Gesù Risorto, in Lui che si risveglia, è vinta la nostra paura e ci è riconsegnata la nostra vera identità di te-stimoni che in greco è più bello: martiri! A Salvini e a chi come lui incita: «prima gli italiani», chiedo «ma di cosa abbiamo paura?». Perché abbiamo paura se il Signore è con noi sulla barca? Gesù con l’episodio della tempesta sedata ci dice che spesso abbiamo una visione distorta della vita di fede, si pensa che essere credenti significa vivere sempre senza scossoni, senza problemi. Ma non è così, ad Abramo, a Lot, a Maria, a Giuseppe, ai tanti santi e alle tante sante che affollano i nostri calendari la sofferenza non è stata evitata. La vita è una stupenda avventura, come direbbe il Qoelet, proprio per la sua fragilità. La differenza, allora, fra chi grida frasi oscene e il cattolico non è fra una vita che fila liscia come l’olio e una vita travolta dalle difficoltà, ma nasce dalla certezza che Dio è sempre con chi Lo crede capace di governare la sua barca. Noi, come i discepoli ancora non siamo pronti per salire sulla croce o portare le croci degli altri, a volte ci sembra di affondare nel mare dell’egoismo e dell’indifferenza, forse non per cattiveria ma perché strumentalizzati da chi, per potere o interessi, crea un clima di tensione e di odio. Forse, dicevo, come i discepoli nella barca siamo impauriti, ma verrà il nostro turno, il momento in cui senza sforzo alcuno saremo pronti a difendere la nostra fede, perché anche nelle situazioni più disperate il Signore ci viene incontro. Anche se sembra non intervenire, egli è presente sulla barca della nostra vita, sulla barca della Chiesa.
Aniello Clemente

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