“Ammazzali” dramma degli efferati affetti

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Antonello De Rosa fa scendere in campo i propri allievi per la rassegna “Aspettando i Barbuti”, riscuotendo l’apprezzamento del pubblico. Lo scorso fine settimana, presso lo spazio di Santa Apollonia, nel centro storico di Salerno, si è riscontrata grande partecipazione alle due serate dedicate al testo di Josè Triana

 Di ARISTIDE FIORE

Come tre leonesse in gabbia, prima che il gioco cominci, le tre protagoniste si squadrano con atteggiamento di sfida dai lati della scena, scambiandosi di tanto in tanto i posti, così come in seguito i loro personaggi si scambieranno i ruoli. Tratto da “La noche de los asesinos” (“La notte degli assassini”,1965) di José Triana (1932-2014), questo dramma è la rappresentazione di una rivoluzione incompiuta, metafora di quella cubana, ovvero del paese d’origine dell’autore, e forse di tutte le rivoluzioni. Tre fratelli rinchiusi in un ambiente marginale della loro abitazione (soffitta o scantinato, poco importa), tre sorelle nell’adattamento di De Rosa, inscenano la ripetizione ossessiva dell’assassinio dei propri genitori: si direbbe l’unico sfogo possibile, soprattutto per chi ha inventato questo espediente, Lalla (Carmen Amoroso), ribelle ma incapace di rendersi realmente indipendente a causa dell’insicurezza trasmessale dalla sfiducia e dalla delusione dei genitori nei suoi confronti. Le riesce tuttavia di coinvolgere le sorelle: Cuca, la maggiore (Caterina Ianni), che accetta di stare al gioco suo malgrado, per l’incapacità di sottrarsene, e Beba, la più piccola (Anna Maria Lorena Stimolo), che si mostra invece più accondiscendente. Questo adattamento costituisce una sintesi dell’opera originale, che ne valorizza gli accenti più drammatici attraverso una tensione costante e un ritmo veloce. Dalle recriminazioni contro il padre e la madre, a volte rese direttamente impersonando a turno l’uno o l’altro genitore, ai propositi di compiere l’atto definitivo, un delitto meditato a lungo, immaginato in ogni dettaglio fino alla sua realizzazione, e infine l’orrore della scena del crimine, l’arresto, l’interrogatorio, la confessione. È un gioco estremo, che costituisce una specie di rituale catartico (e non è questo, in fondo, il teatro?), induce i tre personaggi a confrontarsi con una storia di frustrazione, risentimento e affetti negati, che abbraccia l’intero arco della loro vicenda familiare, fin dalle origini: un matrimonio riparatore tra un umile impiegato e una giovane donna in cerca di un marito qualsiasi, l’inevitabile delusione di lei, la repulsione verso una maternità non voluta e l’innesco di un meccanismo di sottomissione, dei figli da parte dei genitori ma anche delle sorelle da parte di Lalla (Carmen Amoroso), colei che, oltre a aver inventato il gioco, ne conduce quasi sempre lo svolgimento, tranne quando la messa in stato d’accusa, nella finzione, finisce col sottometterla temporaneamente alle sorelle, provocando l’esternazione del disagio, e dunque un vero e proprio atto liberatorio, sebbene non definitivo. Non resta che tornare a squadrarsi con aria di sfida, recuperando di nuovo un potenziale distruttivo destinato a non espletarsi mai realmente, prima che il gioco ricominci.

 

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