LABORATORI DI RESTAURO- IL SOGNO DI SAN GIUSEPPE fotogallery
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Il direttore Filippo Merola ha pubblicato nel numero di Giugno 2019 un interessante articolo sui laboratori di restauro del Museo Correale, leggibile qui:surrentum .
Noi aggiungiamo che il quadro attualmente affidato alle cure del restauro è IL SOGNO DI SAN GIUSEPPE.
Andrea Fienga dice: Vorrei precisare che il quadro rappresenta, vista la presenza della culla con Gesù bambino, il sogno dove l’angelo invita San Giuseppe a fuggire in Egitto
Giuseppe, secondo la Sacra Scrittura, era un uomo giusto (Mt. 1,19) e credette all’angelo che gli apparve in sogno: prese con sé Maria come sposa vivendo castamente.Di nuovo obbedì all’angelo che gli apparve in un altro sogno: prese con sè il bambino e sua madre e fuggì in Egitto per salvare Gesù. In un terzo sogno l’angelo gli ordinò di lasciare l’Egitto con la famigliola per tornare in Israele e Giuseppe obbedì. Nel quarto sogno l’angelo gli disse di recarsi a Nazareth, dove prese stabile dimora. Lavorò come carpentiere mantenendo la famigliola. Poi i Vangeli
canonici non ne parlano più. Eppure oggi Giuseppe è considerato uno dei più grandi santi della Chiesa. In che cosa è consistita la sua santità? Non ha predicato, non ha fondato movimenti, non ha compiuto miracoli. Il vero miracolo è stata la sua fedeltà a Dio nella dedizione alla famiglia, proteggendola, mantenendola col duro lavoro ed educando Gesù. Il suo costante ed umile eroismo hanno consentito che la storia della Salvezza di tutti gli
uomini si completasse in Gesù Cristo. Maria é il “si” a Dio e Giuseppe “lascia fare” a Dio. Un connubio
vincente.I sogni di Giuseppe non sono altro che l’innesto dei tempi di Dio nella storia
umana, l’innesto della volontà di Dio nella storia, cioè l’incarnazione, la quale richiede il tempo e la volontà di “dormirci su” di Giuseppe, suggerisce proprio questa disposizione a lasciar fare a Dio che a suo tempo compie ciò che vuole. L’allungamento, se così si può dire, della volontà di Dio sull’umanità è ostacolata proprio
dall’attività frenetica dell’uomo in parole, opere e omissioni. Lasciamo fare a Dio, come fece San Giuseppe. Noi
contempliamo, stupiti, le sue meraviglie che nel tempo compie per l’umanità.
Imitiamo le virtù di questo grande santo che ha amato in silenzio e la grazia di Dio
farà in modo che anche la nostra famigliola diventi “sacra” come la
sua perché il coniuge e i figli sono a immagine di Dio e Tempio dello Spirito
Santo.
Dal volume di Augusto Russo GIACOMO DEL PO A SORRENTO Pag 135
“IL SOGNO DI SAN GIUSEPPE” INVENTARIO 2934
Attribuzione dubbia. Ferdinando Bologna la cita nella monografia del Solimena del ’58, con restituzione a Francesco Solimena.
“ nell’aria notturna i corpi appaiono tinti di luce in modo solo indicativamente pretiano , ma in effetti alitati da una bava di vento che muove i panni ,i capelli , la pagina del libro, con un sentimento più moderno di pittura.”
Benchè trascritta d’improvviso, la citazione diverrà più accessibile precisando che lo
storico indirizzava il Sogno del Correale, insieme ad un paio di altre
opere senza certo autore, alla fase giovanile del serinese: diciamo verso
il lustro 1675-80, all’altezza degli esordi svolti fra l’agro nocerino e l’ originaria
Irpinia. A quel momento cioè in cui ancora era intensa la collaborazione
col padre e primo maestro Angelo, eppure già si manifestava
la personalità del ventenne, che aveva fretta e numeri per tendere ad un
risultato nuovo nell’arte sua: nella prontezza del guardare alle forze autenticamente
barocche che trovava a Napoli, da Giovanni Lanfranco a
Mattia Preti, da Pietro da Cortona a Luca Giordano, con la maniera neoveneta
di quegli anni; nel merito di convocarle, quindi, ad accrescere e
sconvolgere il più antico e certo dato della formazione, ovvero il naturalismo
appreso via padre nella nativa bottega. Ed eccolo, il «sentimento
più moderno di pittura»; adesso lo si sente agire su quanto di sicuro
già c’era. Quanto al «modo solo indicativamente pretiano» della luce
che svela le figure nel dipinto sorrentino, la spiegazione è da cercarsi
nel noto fatto che l’esempio del grande calabrese non ancora segnava
la rotta allo sviluppo di Francesco, come invece accadrà nell’ultimo decennio
del secolo, quando la ripresa da Preti sarà programmatica e fitta,
seppur mai esclusiva.
E guardiamolo più da vicino questo dipinto col Sogno di San Giuseppe.
Dice d’una tavolozza povera, prevalentemente terrosa. La
scioltezza della stesura, i contorni sdruciti delle forme sono sulla tela
come si trattasse di un bozzetto trasferito sulla scala monumentale
della pala, inducendo, vorrei dire, l’effetto singolare di un non-finito.
Certi passi risultano appena sbozzati, come il profilo evanescente di
Maria che legge in una bolla di vapore dorato, sulla sinistra della
scena; e bisogna sforzarsi per distinguere la figura del piccolo Gesù
imprigionata nel fondo scuro. Le mani sinistre dell’angelo e di Giuseppe,
poi, sembrano degli studi sulla possibilità di costruire direttamente
sulla tela, con poco disegno e poco colore, ma con sapiente
gioco di luce. Ma pur in tanta libertà, il quadro tradisce alcune
fonti della tradizione napoletana del secolo; e soprattutto: l’intento
luministico e naturale che coglie l’umanità sognante del falegname:
il capo fortemente scorciato, lo spicchio di fronte illuminato, la barba
sporcata e disfatta nella pittura, la pozza d’ombra sotto il mento
che dilaga su tutto il collo, fino al triangolo di pelle aperto sul petto.
Come dire: una certa componente di naturalismo, montata nella passione
barocca; e chiunque sia l’autore del quadro.
Chiudo con dei possibili raffronti della tela. L’angelo del sogno del Correale ha un parente stretto nelle ali spiegate e nel taglio del volto in quello , sebbene più elegante e compiuto nella forma e nel colore da soccorrere Agar e ismaele in un capolavoro di Francesco Solimene : quadro profondamente giordanesco e cortonese , databile alla fine degli anni ottanta del seicento e oggi nelle raccolte del Abnco di Napoli a Villa Pignatelli. Ma certo neanche stona l’accostamento con l’angelo annunciante di Del Po di Sant’Agostino degli Salzi 1693.