IL 25APRILE: LE ROGAZIONI DI UN LAICO PER IL FUTURO DELLA COSTA DI AMALFI E DI PAETUM/CITTA’ MONDO DEL PROF LIUCCIO

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Ci sono date che accendono fotogrammi di memoria alla moviola della vita. Per me una di queste è il 25 aprile; e per diversi motivi.

1^ – A Roma, a Villa Borghese c’è scialo di sole alle panchine sghembe. Aprile arieggia allo zirlìo dei merli a sottofondo del riso fresco degli innamorati in gara a risse complici d’amore. Nel gran proscenio verde sciama la comitiva di stranieri a caccia di tesori nei musei. Sfreccia ardita sui pattini a rotelle la ragazza superba nelle forme. Ansima il quarantenne in sovrappeso sudaticcio al cronometro del footing. E’ festa sul trenino colorato col carico vociante di bambini. Hanno la maestà di un monumento i carabinieri che incedono solenni, con le mantelle nere e gli alamari rossi, su docili cavalli da parata.

Ma io mi figuro altre primavere con corse a perdifiato tra gli ulivi sulle colline prospicienti il mare e tra i vigneti con viticci in fiore ed il manto bianco-nero dei faveti. E nel paese di campagna, chierichetto con turibolo ed aspersorio, arrancavo dietro l’aitante officiante che, camice bianco e stola violacea, con uno sparuto stuolo di fedeli avanzava spedito dietro una croce processionante a conquista-postazione dei punti strategici dell’abitato a dominio delle campagne a circolo verso i quattro punti cardinali. Era il giorno delle “Rogazioni” a propiziazione di raccolti abbondanti.

A pluvia et a tempestate…” – intonava solenne nella sonorità del latino il sacerdote ispirato. “Libera nos, domine…” – chiosavano compunti i fedeli.

A foco et terrae motu…”. “Libera nos, domine”. “A…”; e la litania reiterava, sottolineandoli, i pericoli incombenti sulla comunità di uomini e campagne, su cui si invocava l’occhio vigile e protettivo del Signore. “Libera…” – ripetevano i contadini fiduciosi. E pacificati dalla preghiera mormorata a fior di labbra ritornavano al paziente lavoro dei campi con l’occhio attento che la calura eccessiva non intisichisse gli uliveti, che la peronospora non bruciasse i vigneti, che una improvvisa grandinata non devastasse i frutteti.

Oh, le schegge colorate della poesia della memoria ad esaltare la straordinaria civiltà contadina, in cui l’uomo viveva nel rapporto di feconda sinergia con la natura, rispettandone i cicli produttivi, nella trepida attesa che le ciliegie lustre di sole ingioiellassero a scocche perlacee il fogliame verde, a giugno nella stagione giusta, che i pomodori catturassero sole nei solchi a luglio nel fuoco della canicola e che i fichi ostentassero il riso mielato a settembre! Ora nella fiera colorata dei mercati le angurie sono rosse anche a gennaio in una con le pigne d’uva gialle d’oro a prigionia di gabbie in viaggio dal carcere delle serre; e, allora, anche una coscienza profondamente laica come la mia ha voglia di gridare nella protesta della preghiera “Libera nos, domine!” E contro l’uomo che, dissennato, violenta montagne e corsi d’acqua, avvelena campi fecondi con pesticidi, forzandone la produttività, esplode impetuosa la preghiera-bestemmia “Libera nos, domine”.

2^- Il 25 aprile garriscono al vento le bandiere tricolori su edifici e mezzi pubblici e le Autorità replicano la liturgia delle corone di alloro deposte ai piedi dei monumenti dei caduti della Resistenza. Bella stagione quella con l’Italia entusiasta a riprendere il cammino nel vento allegro della democrazia rinata dalle macerie della guerra e dalla caduta del fascismo! Che pulizia morale nei partiti, in tutti i partiti, che fecondavano di speranza il futuro con la forza/-lievito degli ideali! Che anni quelli con il canto dell’Internazionale, per me, nelle piazze affollate dei comizi a prefigurare una società di liberi e di eguali, con deputati e senatori profondamente consapevoli di una militanza a servizio della collettività per sradicare privilegi, ingiustizie e clientelismi!

Che amara delusione, oggi, a registrare una pratica politica nell’assenza quasi totale di valori, nella dilapidazione dissennata di un enorme patrimonio di lotte generose, nella profanazione disinvolta della storia del movimento operaio e non solo, nella ostentazione spudorata dell’arroganza nella pratica del potere con l’esercito dei giovani a pietire inutilmente esempi di onestà e trasparenza per alimentare la fede nel futuro. Se il tutto avviene, poi, con la disinvolta complicità di quanti ritengono di muoversi, a torto o a ragione, nel solco della tradizione delle lotte della Resistenza di quel radioso e glorioso 25 aprile, allora c’è voglia di gridare a squarciagola la protesta-/preghiera intrisa di religiosità laica “Libera nos, domine!”, nella speranza di una radicale riforma che rigeneri la politica nel profondo delle radici e scacci via, nella condanna senza appello, i profanatori del tempio.

E, soprattutto, Signore, (è la supplica di un laico) volgi lo sguardo particolarmente benevolo verso il nostro territorio, che pure fu punto di riferimento per un laboratorio di politica riformista e dove oggi c’è il deserto delle idee e dei programmi a fronte invece di una gazzarra, prima, per accaparrarsi un posto in lista ed, ora,per una vociante campagna elettorale che rischia di essere allagata da un diluvio di “politici” (!) spesso un pò cialtroni, improvvisatori quasi sempre e qualche volta anche pesantemente compromessi, salvo poche e lodevoli eccezioni. Non si parla quasi mai di progettualità che gonfi di speranza il futuro, ma si è quasi sempre intenti a catturare i consensi con tutti i mezzi: clientelismo, familismo, promesse e qualche volta anche larvate minacce. E’ questo il clima, man mano che si surriscalda la campagna elettorale, a Capacio/Paestum. E’ il caso di pregare laicamente con rabbia. “Libera nos, domine!!!”

E non vanno meglio le cose  nella Costa di Amalfi, l’altra mia città del cuore, dove tutto o qusi è fermo nell’immobilismo e  l’aquilone si è arenato nel pantano limaccioso, con la zavarro nelle ali e, quindi, incapace di un benchè minimo battito di volo. Nella costa basta una giornata di pioggia battente ed il territorio si sfarina e frane con crepe//ferite paurose alla montagna precipitano fragorose di frastuono di morte su strada e centri abitati.Per non parlare del ramma del traffico , dove     nelle domeniche il trffico si blocca per ore con la gente che smadonna nelle lamiere roventi. E non c’è uno straccio di progettualità per proteggere uno dei paesaggi rurali più belli del mondo dalla dissennata rapina dell’abusivismo edilizio con la colpevole latitanza, che spesso è anche complicità, di amministratori inadeguati. Che tristezza! E diventa prepotente il grido della protesta, che è preghiera e bestemmia insieme:”LIBERA NOS, DOMINE!!!”

 Giuseppe Liuccio

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