La Cassazione stabilisce che le offese in un gruppo WhatsApp configurano il reato di diffamazione

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Oramai tutti facciamo parte almeno di un gruppo su WhatsApp, un metodo facile per comunicare velocemente tra più persone ma che non è privo di rischi. Ora c’è una sentenza della Cassazione (n. 7904 della quinta sezione penale) che interviene su un ricorso presentato dai genitori di una ragazzina di 13 anni. In una chat di gruppo era nata una discussione tra alunni di una scuola in provincia di Bari ed il ragazzino, per difendere una compagna, aveva  usato un messaggio dai termini volgari accusando una coetanea di comportamenti scorretti verso l’amica. Il gip aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti del ragazzino poiché soggetto non imputabile essendo minore dei 14 anni ed i genitori del 13enne sostenevano trattarsi non di diffamazione bensì di ingiuria, che non costituisce più un reato, sostenendo la tesi che la ragazza destinataria delle offese poteva rispondere subito al messaggio. La Cassazione, invece, ha stabilito che l’offesa su WhatsApp fatta in una chat di gruppo configura il reato di diffamazione poiché non è letta solo dalla persona a cui è indirizzata ma tutti i componenti del gruppo e nella sentenza spiega che “sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato consenta, in astratto, anche al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa, il fatto che il messaggio sia diretto a una cerchia di fruitori” fa sì che la lesione delle reputazione “si collochi in una dimensione ben più ampia di quella tra offensore e offeso”.

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