Intervista al bravissimo Maestro Giuseppe Panariello, a cura di Maurizio Vitiello.

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    Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde l’artista Giuseppe (Peppe) Panariello.

    D – Puoi segnalare ai nostri lettori il tuo percorso di studi?
    R – Istituto Statale D’Arte Palizzi di Napoli – Diploma di Maestro d’Arte sezione. Pittura, 1969; Accademia di Belle Arti di Napoli con il Diploma corso di Pittura, 1973; Diploma di Maturità d’Arte Applicata sezione Disegnatori di Architettura e Arredamento presso l’Istituto d’Arte di Avellino, 1977.

    D – Puoi raccontarmi i tuoi iniziali sogni di vita e i diversi desideri lavorativi?
    R – Il mio unico sogno è stato sempre quello di diventare un apprezzato Artista.

    D – Quando è iniziata la tua voglia di fare arte?
    R – Mia madre mi raccontava che da piccolo ero molto vivace e le maestre della scuola materna dicevano che quando non c’è la facevano più mi davano fogli e matite colorate e sparivo dalla classe. Ho sempre avuto questa passione, il mio bisnonno era decoratore di chiese.

    D – Puoi precisare i temi e i motivi dei tuoi lavori dall’inizio sino a oggi?
    R – La mia prima personale, frequentavo ancora l’Accademia di Belle Arti, è stata nel 1970, alla Galleria Schettini al Vomero, con una presentazione del critico Paolo Perrone: “Coloro che ancora oggi, nonostante le invadenze della civiltà cibernetica … credono nella supremazia dell’istinto: cioè in quella forza biologica ed insieme imponderabile che conferisce all’uomo intuizioni fresche e precise… ebbene troveranno nelle realizzazioni grafiche del giovane Giuseppe Panariello una testimonianza della validità della loro fiducia nella forza esplosiva e puntualizzante dello spirito umano… il giovane artista avverte i motivi centrali e più drammatici dell’epoca tecnologica e disumanizzante. Li avverte e ne soffre e li partecipa: e vorrebbe che soffi di antiche dolcezze ritornassero per sanare le piaghe dello strapotere dell’uomo sull’uomo, della macchina gelida sull’uomo, dell’arrivismo materialistico sui sogni ancestrali, limpidi e lirici, dell’essere umano…”.
    Il dono che ho ricevuto dalla nascita mi ha permesso di aver un ruolo, un posticino in questo mondo, per esprimere tutta la mia libertà. Nelle mie opere, dall’inizio a oggi e sono passati tanti anni ricorre incessantemente questo fare: la ricerca della libertà.

    D – Dentro c’è Napoli?
    R – La parte più intima, più silenziosa. Il cuore.

    D – Napoli è una città sorgiva per gli artisti?
    R – Napoli è forse la città più sbalorditiva: la sua grande storia, il suo bellissimo paesaggio, Il suo grande patrimonio artistico, il suo voluminoso teatro, la bella musica, la sana cucina tradizionale, eccetera … Però, è rimasta indietro, ferma sui suoi allori. Non c’è stata una reazione-rivoluzione culturale, come avvenne in Inghilterra negli anni 60/70. Napoli con la sua grande creatività poteva collocarsi su piedistalli più alti; recuperare ritardi e proporre visioni artistiche di livello, non dico mondiali, ma certamente europei. Lucio Amelio è stato grande interprete su questo versante. Amelio non ci ha portato solo artisti stranieri, ma ha dato spazio anche ad artisti napoletani, cosa abbastanza rara nella nostra città: valorizzare anche giovani artisti napoletani. Il Madre unica istituzione dell’arte contemporanea di Napoli fa quasi niente per dare valore alla grande creatività partenopea. Vorrei lanciare una proposta: istituire una rassegna di arte contemporanea, ogni due anni, solo con artisti della Campania al Madre, per risvegliare quel fuoco che dorme in fondo al vulcano che fa parte del nostro DNA.

    D – Quali pagine di un autore napoletano, di uno italiano e di uno straniero che si sono espressi su Napoli a livello di letteratura e a livello teatrale ti hanno colpito?
    R – La LETTURA è una delle mie passioni preferite, leggo moltissimo. Non ho un genere in particolare, leggo perché mi piace. Il libro mi porta dappertutto e come avessi tanti amici sparsi nel mondo che mi aiutano a capire. Quattro sono i libri che ricordo che mi hanno colpito: “Mistero Napoletano” di Ermanno Rea; “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese; “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao; ma, soprattutto, “Ferito a morte” di Raffaele La Capria: …” A Napoli viviamo tutti sotto il segno dell’indulgenza, la stessa che i figli pretendono dalle madri, i mariti dalle mogli, gli amici dagli amici, gli alunni dai professori e ognuno da tutti gli altri.”

    D – Napoli detiene una sua letteratura teatrale di segmento, perché?
    R – Perché Napoli è il teatro. Perché uno dei più grandi attori del mondo è napoletano: Eduardo de Filippo.

    D – Quali piste di maestri hai seguito?
    R – Nessuna direttamente

    D – Pensi di avere una visibilità congrua?
    R – No, no, no …

    D – Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?
    R – Non lo so; forse, penso tanti.

    D – Ora, puoi motivare il percorso di gestazione e l’esito della tua ultima mostra?
    R – Sono tre le mie ultime personali. Due quasi in contemporanea, di cui: “SENZACOLORANTI” – settembre 2018 presso la galleria Civico 103 di Aversa (CE), che riprende un percorso del 1994, di cui sono particolarmente legato, perché segna l’inizio della mia sintesi, sia cromatica (l’uso del nero grafite) che formale. E “L’UOMO NELLA STORIA” presso la galleria SABINALBANO di Napoli. Una mostra di lavori grafici che realizzai nel 1974. Ma la mostra, quella che segna il mio ultimo percorso, è stata “SILENZIO” al Kings Theatre di Portsmouth (Inghilterra), dove compio con consapevolezza, abdicando a un processo di sottrazione, il cui esito è una composizione essenziale, dove la materia diviene non sola manifestazione del segno, ma ancor più dell’idea e dei contenuti.

    D – Puoi indicare in una scheda analitica le motivazioni sostanziali della tua futura prossima personale?
    R – L’esperienza artistica si rivela non in un esercizio di stile a se stesso, ma in quanto lavoro sui materiali e affinamento delle tecniche come mezzi per portare alla luce il messaggio, come un musicista che non indulga al facile virtuosismo tecnico, ma insegua la melodia più equilibrata, armoniosa e completa. Il ferro arrugginito, sapientemente, determinato dal tempo e dal colore del glitter sono i materiali che ho scelto per i miei lavori futuri. Un risultato l’ho già ottenuto con il Primo Premio alla Biennale Internazionale della Calabria 2018.

    D – Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro?
    R – Mi interessa molto sospendere il tempo per dare spazio alla creazione. Quando si lavora non si può dire a un pittore di andare di fretta. Quando si pratica l’Arte, bisogna creare una dimensione in cui il tempo possa scorrere lentamente.

    D – Pensi che sia difficile, oggi, riuscire a comunicare coll’arte?
    R – Penso all’arte primitiva con la sua sintesi formale, che ci ha tramandato la cultura di migliaia di anni fa.

    D – I “social” ti appoggiano?
    R – Abbastanza, non posso lamentarmi.

    D – Con chi lavoreresti a più mani per un’opera, e perché?
    R – Con i miei ex-alunni perché avrei senza dubbio tantissime motivazioni.

    D – Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi lavori?
    R – Perché sono belli, interessanti e, soprattutto, diversi.

    D – Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare passi artistici in ambito scolastico?
    R – Nella scuola, soprattutto, nella primaria e dell’obbligo è indispensabile una didattica nella direzione della creatività. L’Arte e non solo la pittura, ma qualsiasi disciplina artistica, penso alla musica, al teatro, alla poesia… rende il percorso educativo dell’alunno più sostanziale nella sfera della personalità morale ed emotiva.

    D – Idee future da mettere in atto?
    R – Due. La prima di continuare con la stessa passione, personalità e caparbietà la mia attività artistica. La seconda quella di realizzare il centro di aggregazione del MU14. Vedere sul web: www.museounder14.it – LA MEMORIA STORICA Dell’ADOLESCENZA).

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