Pozzuoli: Parla la Caiazzo, sopravvissuta alla strage del bus: «Solo rabbia, la mia bambina a stento riesce a camminare»

«È assurdo e intollerabile che sia stato assolto l’ad di Autostrade Giovanni Castellucci, nel processo per la più grande tragedia stradale italiana. Io c’ero su quel pullman e ho visto morire i miei genitori e i miei zii, mentre mio marito è finito in coma per giorni, mio figlio sotto choc e mia figlia di 3 anni da allora porta i segni della tetraparesi spastica. Hanno distrutto il presente e il futuro della mia vita, ma la giustizia li ha assolti». Queste le parole di rabbia e delusione di Annalisa Caiazzo, 37enne di Pozzuoli sopravvissuta insieme ad altre 7 persone alla tragedia di Monteforte Irpino, pubblicate questa mattina, in un intervista de Il Mattino.

Annalisa, lei ha definito la sentenza una decisione «intollerabile». Perché?

«La procura aveva chiesto una condanna a 10 anni per l’ad di Autostrade. Mi sembrava una pena lieve per le tante vite spezzate, ma almeno utile ad aumentare la sicurezza sulle nostre strade, sulle quali ogni giorno viaggiano milioni di persone. Come quei poveri morti del ponte Morandi di Genova. Invece è arrivata l’assoluzione».

Perché ha pensato ai morti di Genova?
«Con il crollo del ponte Morandi ho rivisto il mio incubo. Mi rivolgo ai parenti di quelle vittime e li imploro di non abbassare la testa davanti alle offerte di risarcimento economico di Autostrade. Io ho dovuto accettare quei maledetti soldi solo perché servono per la sopravvivenza di mia figlia, altrimenti avrei rifiutato».

Quando il giudice Buono ha letto la sentenza di assoluzione, cosa ha pensato?
«Non ce l’ho fatta a restare in Aula. Ho avuto chiaro il senso di impunità che è quasi peggio del dolore subito. Avrei voluto spaccare tutto, ma poi ho pensato che le mani mi servono integre per accudire mia figlia».

Come sta sua figlia?
«Francesca è una miracolata, che porterà per tutta la vita sul proprio corpo i segni di quel tragico incidente. Da 5 anni si sottopone a continue e costosissime terapie. Prima al Santobono di Napoli, poi in una clinica di Lecco e ora al centro internazionale Adeli di Bratislava, in Slovacchia. Adesso riesce a stento a camminare da sola, ma ha ancora molti deficit cognitivi che ne rallentano la parola. Porta un catetere dietro la schiena per evitare l’irrigidimento della colonna vertebrale e la sua calotta cranica per metà è stata ricostruita con la ceramica, ma lei è una leonessa indomita».

Uno strazio che va avanti dal 2013.
«Francesca era una bambina sanissima. In pochi minuti è cambiata la sua e la mia vita. Cerco di evitare ogni riferimento a quella giornata, ma lei fino a qualche tempo fa ripeteva sempre la stessa frase: pullman, bum bum. Pullman, bum bum, perché nei suoi ricordi di bimba, quella tragedia viene ricordata così. Ogni volta è un pugno allo stomaco per me».

Cure costosissime e anche complicate da fare in Italia?
«Lo stipendio di mio marito basta a stento a coprire la prima settimana del mese. E in Slovacchia possiamo andare a fare riabilitazione solo quando la scuola è chiusa. Francesca frequenta la seconda elementare e potremo andare a Bratislava solo durate le prossime vacanze di Pasqua e in estate».

Anche l’altro suo figlio e suo marito erano a bordo del pullman. Come stanno ora?
«Marco ha 15 anni e cerco in tutti i modi di proteggerlo dagli incubi notturni che vive tuttora. A scuola nessuno dei suoi amici conosce la sua storia, perché ho cercato di tutelarlo in ogni modo. Mio marito, invece, ha subito una forte riduzione della capacità lavorativa. Nel 2013 era tra i coordinatori della sua ditta che gestiva la mensa dell’ospedale Monaldi di Napoli. Oggi, menomato dall’incidente, fa l’operaio».

Lei ha parole di stima solo per il procuratore Rosario Cantelmo, capo della procura di Avellino.
«Sento il bisogno di ringraziarlo per la sua grandissima umanità. In questi anni Cantelmo si è informato spesso delle condizioni di mia figlia e quando gli parlavo di lei i suoi occhi si velavano di lacrime. È l’unico che ci ha difeso».

Cosa farà adesso?
«Aspetto l’Appello. E, soprattutto, cercherò di portare a termine la mia personale corsa contro il tempo. I soldi per le cure mediche di Francesca prima o poi finiranno e mi batto con tutte le mie forze affinché lei possa essere autonoma quando io morirò».

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