Mertens, Napoli la mia citta’ 101 gol azzurri   L’esplosione nel 2016-17: 46 gare, 34 gol   foto

Mertens in pillole, anno per anno, studiandone non solo il rendimento ma anche il mutamento, un’evoluzione indiscutibile di un attaccante esterno divenuto poi centravanti. Il Mertens del 2013, il primo acquisto dell’era Benitez, la magica coincidenza tra una richiesta dell’allenatore spagnolo e l’idea di Bigon, costa dieci milioni di euro, arriva e fa tanto turn-over: colleziona 47 presenze, ma sono in realtà 2600 minuti effettivi, con undici reti e dodici assist, una “doppia-doppia” direbbero quelli del basket. Seconda stagione, numeri simili: 53 le partite, 3165 i minuti, altri dieci gol e dodici assist. Nella terza, la prima di Sarri, si abbassa un po’ la sua media: ne gioca 40 segna ancora undici gol ma confeziona “solo” sette assist. L’esplosione è alla sua quarta annata napoletana e dopo l’infortunio di Milik, quando Sarri gli disegna addosso il ruolo di prima punta, tentazione già emersa nel ritiro di Dimaro-Folgarida, subito dopo l’addio del pipita: 46 partite, 3215 minuti giocati, ma 34 gol (28 in campionato, uno in meno di Dzeko, il capocannoniere) e ben 15 assist. Impressionante. Quasi come nella sua seconda stagione da prima punta, in cui qualcosa però paga: i gol diventano ventidue, gli assist sono dodici e però il Mondiale e anche il minutaggio (3807 durante l’intera stagione) qualcosa tolgono. Quest’anno sono undici gol e sei assist: ma se ne è andata solo mezza stagione. Centouno reti complessive, gliene mancano venti per agganciare Hamsik, il capocannoniere di tutti i tempi.

 

In azzurro da sei anni: ama la maglia e la città. I tifosi lo hanno ribattezzato Ciro

«Se ne è resa conto anche la critica. Lo siamo nell’organico e nella società. Quarantaquattro punti nel girone d’andata sono un’enormità»

Il calcio alla sua maniera: ch’è scherzoso assai, una parabola assai guascona che non vuol irridere, ma indurre a sorridere. Il calcio senza mezze misure: che sa di spavalderia, ch’è anche un po’ scugnizzo, e che va affrontato con leggerezza. Il calcio da artista: e sono pennellate d’autore mica per arringar la folla, scaldandone i pensieri, ma disegnando un orizzonte in cui c’è tutto un Mondo, ed è il Mondo di Mertens.

CASA MIA. Il calcio è un’iperbole, lo è anche un pallonetto, in cui c’è racchiuso l’estro ma anche la natura di un artista fiammingo che ora sceglie e lo fa a microfoni aperti, su Kiss Kiss, il capolavoro tra centouno opere esposte (simbolicamente) nel Museo del Napoli. «Il gol con il Torino – del dicembre 2016 – penso sia quello che meglio mi rappresenti. Mi pare di averne segnati di belli ma quello ha un sapore assai speciale». E basterebbe riguardarselo, o ritrovarlo nella memoria, per rivederci dentro quella sfrontata allegria d’un giovanotto di nome Ciro, d’uno di loro, d’una città che gli è entrata dentro e nella quale ha saputo immergersi. «Io qui mi sento a casa mia, la gente mi tratta bene, non solo rispetto ma anche con affetto: esco da casa e mi offrono il caffè, i dolci, la frutta, il pesce. Io a Napoli sono cresciuto, ormai sto qua da sei anni. So quanto sia bella e sono anche in grado di consigliare ad Ancelotti i luoghi da visitare, ristoranti compresi. Capisco che voglia viversi questi posti, sono meravigliosi».

VINCIAMO. Il calcio è una favola, da regalarsi spalancando gli occhi e poi tuffandosi persino alla soglia dell’impossibile: Sua Maestà, ch’è la Juventus, sta a distanza siderale, ma pure l’aritmetica, che a volte diventa opinione, può rappresentare un dettaglio da smontare. «Siamo forti, ma sul serio, e se ne è resa conto anche la critica. Lo siamo nell’organico, nella società, perché da quando sono arrivato siamo rimasti in tanti eppure siamo riusciti a cambiare e ad evolverci. Io sono certo che, se non dovessimo riuscirci, tra cinque anni nessuno saprebbe spiegarsi come mai il Napoli di questo ciclo, di quest’epoca, non sia stato in grado di farlo. 44 punti nel girone d’andata sono una enormità, ma davanti c’è chi è stato capace di fare di meglio e in maniera anche netta. Ora la Juventus ha preso anche Ramsey, per me il migliore dell’Arsenal, ed ha aggiunto qualità alla qualità. Ma noi abbiamo lo scontro diretto al San Paolo e non vogliamo perderli di vista. E poi ci sono la Coppa Italia e l’Europa League, che questo Napoli può conquistare. Siamo usciti dalla Champions perdendo solo con il Liverpool e questo ci ha fatto male».

DAI, KALIDOU. Il calcio è però anche l’osceno poster dei nostri giorni, una nube tossica che s’avverte spesso e che a San Siro ha avvolto Inter-Napoli ma anche Mertens, sensibilmente schierato al fianco di un compagno di squadra ch’è assai più di un amico. «Per me Kalidou è un fratello e non capisco la natura di questi ululati, né i protagonisti di questi cori si rendono conto di cosa lasciano in un ragazzo di ventisette anni: quella sera, dopo la partita, Koulibaly stava male ma male per davvero. E non pensava al cartellino rosso, alla squalifica, ma dava l’impressione di essere un uomo tormentato dal sospetto di aver perduto una battaglia, quella contro il razzismo».

fonte:corrieredellosport

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