Libri in uscita. Flash su “Istanti o frenesie” e intervista al grande poeta Antonio Spagnuolo, a cura di Maurizio Vitiello.

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    Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde alle venti domande il grande poeta napoletano Antonio Spagnuolo.

    D – Puoi segnalare ai nostri lettori il tuo percorso di studi?

    R – Niente di più semplice. Terminato brillantemente il Liceo Classico, presso Jacopo Sannazaro di Napoli, con un bel dieci al tema di italiano, ho avuto alcuni mesi di titubanza! Scegliere “Lettere”, giacché le poesie già mi frullavano corpose fra le meningi, o “Medicina” per tener fede alla storia familiare con mio padre e antenati medici? Sinceramente la clinica medica già la sentivo dentro il mio intimo, abituato come sono stato a seguire mio padre con attenzione ed interesse. Ed eccomi infine medico.

    D – Puoi raccontarmi i tuoi iniziali desideri?

    R –La “Medicina” mi ha rivelato anche il suo profondo bagaglio umanistico e mi ha aiutato moltissimo a saper “ascoltare l’altro”, per scendere nel profondo dei pensieri del sofferente. La poesia mi ha accompagnato sempre, anche se ai fini professionali nascondevo ai miei pazienti la mia doppia vita di medico e di poeta, perché temevo che il “malato” potesse perdere la sua fiducia in un “perdigiorno che scrive poesie”.

    D – Quando è iniziata la voglia di scrivere e la passione per la letteratura?

    R – Già negli anni del Liceo scrivevo per un simpaticissimo settimanale vomerese, intitolato “Il Broccolo” – Il broccolo, perché a quel tempo il Vomero, dove abitavo, era ricco di campi di verdure. Quindi, diciamo che, dai diciotto anni in poi, la mia passione per la letteratura è stata la mia seconda veste culturale. Ho letto centinaia e centinaia di volumi, di svariati autori, poeti e non, e ho messo insieme le prime poesie in volume nel 1954, con il titolo “Ore del tempo perduto”.

    D – Puoi precisare i temi e i motivi dei tuoi libri, sino al penultimo?

    R – “Ore del tempo perduto”, ha avuto il plauso di Umberto Saba, che mi scrisse una letterina, che conservo gelosamente, pochi giorni prima di un suo ricovero in clinica. Quelle prime poesie risentivano in maniera eclatante le letture di poeti classici, Carducci, Pascoli, e principalmente D’Annunzio. Possiamo dire un esemplare di poesia scolastica. Poi venne il tempo della ricerca, con letture di contemporanei e stranieri, francesi principalmente. E la mia poesia, con volumetti che hanno avuto fortuna, divenne sperimentale. Una curiosità mi piace dichiarare: il mio volume “Fogli dal calendario” edito con TAM-TAM nel 1984, per Adriano Spatola, oggi è messo in vendita da Amazon a “cento”, dico “cento” euro! Il motivo dominante della mia scrittura è sempre stato l’amore, sotto tutti gli aspetti, dalla luminosità del sublime alla plasticità dell’eros, e la musa è stata sempre mia moglie Elena, che ho abbracciato per la prima volta a diciotto anni. Donna meravigliosamente tenera, mi ha accompagnato con il suo amore per ben sessantacinque anni.

    D – Ora, puoi motivare il percorso di gestazione e l’esito del tuo ultimo libro?

    R – Il mio ultimissimo libro è “Istanti o frenesie” edito in questi mesi da “Puntoacapo”, e di esso ancora non posso dire riscontri, tranne che ha una dotta postfazione di Ivan Fedeli. L’editore lo mette in circolazione nel mese di gennaio. Posso, invece, riferirti che il penultimo “Canzoniere dell’assenza” con prefazione di Silvio Perrella, ha ricevuto ben tre premi nel corso dello scorso anno: Jesi, Isernia, Fondi. I percorsi di gestazione rimangono sempre gli stessi: uno scavo nel subconscio per rivelare l’indicibile, un coinvolgimento nell’eros per assaporare le illusioni della vita quotidiana, un sussulto nella lotta dei sentimenti per allontanare Thanatos.

    D – Dentro c’è Napoli, ma quanto e perché?

    R – Napoli è la città che amo profondamente. Non sarei capace di vivere altrove, anche se tutti ne parlano male e molti potrebbero essere i motivi di lagnanza. Nella mia poesia la città si palesa in qualche quadretto colorato, ricamato dalla luce del sole e dai riflessi del mare. Ho tentato anche il vernacolo, ma ligio alla scrittura corretta, sono poche le poesie che presento.

    D – Napoli è una città sorgiva per gli scrittori e i poeti?

    R – Napoli è una città che stimola ogni sentimento, dall’amore alla malavita, dalla musica al mottetto, dalla ingenuità alla furbizia. Essa è spesso motivo di ispirazione, sia per le bellezze naturali che la distinguono, sia per il suo popolo ancora oggi brillante e rumoroso.

    D – Quali pagine di un autore napoletano, di uno italiano e di uno straniero che si sono espressi su Napoli ti hanno colpito?

    R – Tra gli ultimi autori napoletani io ho amato molto Domenico Rea (anche se non nativo di Napoli). Egli è stato un amico simpaticissimo, schioppettante, che affascinava con la sua eloquenza e il suo sfavillante chiacchiericcio. Veniva spesso a cena a casa mia e chiamava mia moglie Elena “Pupatella”. Purtroppo, un ricordo mi corrode ancora oggi. Egli venne al mio studio accusando un dolore retrosternale. L’elettrocardiogramma mi palesò un infarto in atto e io lo pregai di tornare subito a casa. Non volle ascoltami, perché doveva presentare il suo ultimo volume “Ninfa plebea”. E così ci lasciò!

    D – Napoli detiene una sua letteratura di segmento, perché?

    R – Non saprei esprimermi per questa tua domanda, per il semplice fatto che io ho letto centinaia di volumi, di svariati autori, e non riesco a focalizzare bene le varie tendenze o le varie scuole. Oggi vince molto il racconto “Giallo”, vedi Maurizio De Giovanni, e la sua sfacciata fortuna di vendite.

    D – Quali piste di maestri hai seguito?

    R – Nessuna! Devo ripetermi sottolineando che avendo letto molto non ho ristretto il mio iter culturale ad una o poche scritture. Il mio bagaglio è multiforme e lo dimostrano le mie poesie che vanno dalla semplicità dello studente alla complessità dello sperimentale alla leggibilità dell’endecasillabo.

    D – Pensi di avere una visibilità congrua?

    R – Oggi che la vecchiaia mi accarezza, giorno dopo giorno, posso dire di essere soddisfatto per tutto quanto ho realizzato in nome della poesia. Dalla mia rivista “Prospettive culturali” degli anni ‘80 alla collana “L’assedio della poesia” degli anni ‘90 credo di aver avuto una visibilità abbastanza calorosa. Molte riviste cartacee mi ospitano, molti Blog in rete mi inseguono. Asor Rosa mi cita nella sua “Letteratura italiana”. Mi manca un volume opera omnia presso Mondadori? Ma sappiamo tutti bene che per Mondadori o Einaudi occorre essere figlio di prelati, calciatore di grido, attore TV di successo, e così via.

    D – Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?

    R – Molti amici addetti ai lavori si sono interessati alla mia poesia. Basta vedere il ricchissimo elenco bibliografico che ha pubblicato Macabor nel volume a me dedicato, e che consta di oltre cinquecento segnalazioni.

    D – Puoi indicare in una scheda analitica le pregiudiziali sostanziali del tuo ultimo libro?

    R – La realtà è una pregiudiziale referente per ogni approccio alla poesia, anche se essa si nasconde nel simbolo o nella metafora. Il volume “Istanti o frenesie” affronta un linguaggio forte, ancora intriso di una durezza che accarezza le pause liriche, per esprimerle in ritmo. Ne deriva una originalità compositiva, che potrebbe apparire unica nel suo genere, per quei segmenti espressivi vari e in contrasto con il subconscio, sempre presente nella mia scrittura.

    D – Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro?

    R – Molto difficile risponderti. Io non ho mai tracciato programmi prima di mettere il verso su carta (oggi nel computer), e ho sempre inseguito il ritmo che si presenta involontariamente alla mia memoria. La poesia mi insegue quotidianamente, e spero di riuscire a coltivarla finché le mie circonvoluzioni cerebrali sono attive. Scrivo molto anche per i più giovani e volentieri , tra prefazioni, schede critiche, presentazioni, saggi richiesti da riviste o da poeti esordienti.

    D – Pensi che sia difficile riuscire a penetrare nel mercato del libro?

    R – Il mercato della poesia non esiste in Italia. Io mi accontento se duecento copie di un mio volume sono in mano agli addetti ai lavori. E’ triste constatare che invece un editore della Romania ha pubblicato un mio libro, tradotto da Geo Vasile, non solo senza chiedermi un contributo di compera copie, ma vendendo con soddisfazione in luogo.

    D – I “social” ti appoggiano?

    R – Si! La rete secondo me è molto attiva, anche se purtroppo ci sono blog e post che fanno orripilare per la loro ignoranza. Ma in FB io ho trovato migliaia di seguaci che leggono le mie poesie e le commentano con interesse.

    D – Con chi scriveresti a più mani un libro?

    R – Con nessuno – Ho scritto tempo addietro due volumi a quattro mani con mio figlio Alferio, che si interessa alacremente di gialli.

    D – Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi libri?

    R – Perché scrivo con grande amore e affondo nei sentimenti che possono suscitare emozioni e riflessioni.

    D – Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare libri in ambito scolastico?

    R – Ho presentato due miei volumi agli alunni di due licei classici, con grande soddisfazione. Senza alcun dubbio la scuola dovrebbe dedicare agli autori viventi qualche ora di letture e incontri, invece di rimanere ancora oggi a fine anno solo con Carducci, Pascoli, D’Annunzio e a stento Ungaretti.

    D – Prossimo libro?

    R – Datemi il tempo di seguire i due ultimi, che hanno bisogno di assistenza e riscontri. Poi, si vedrà, rileggendo e riprendendo i “testi” che sono memorizzati nel mio computer. Non ho fretta, anche se gli anni ormai per me saranno sempre meno numerosi.

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