Intervista all’artista Maria Manna, a cura di Maurizio Vitiello.

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    Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde l’artista Maria Manna.

    D – Puoi segnalare ai nostri lettori il tuo percorso di studi e di interessi?
    R – Sono laureata in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli, con una tesi sperimentale in Storia dell’Arte. Un filone di intrecciate ricerche antecedenti ha posto sul mio cammino artistico-culturale il movimento mail-artista; da qui la curiosità, l’approfondimento e la scelta di portare come argomento di tesi un movimento poco conosciuto all’interno dell’Accademia stessa. Data la totale assenza di testi da prendere in visione è stato un lavoro di quasi due anni partorito, soprattutto, da corrispondenze epistolari e confronti sia con personaggi di spessore nella storia dell’arte che con artisti meno noti. Una concatenazione di recensioni e riviste da valutare e con cui rapportarmi. Un tuffo vero e proprio nella Mail-art che mi ha permesso anche di esporre in diversi posti del mondo.
    Ho avuto il piacere e l’onore di avere tra gli artisti intervistati per la tesi: Enrico Baj, Carlo Pittore, Christo e Jeanne-Claude, Mario Merz, Gaetano Coppola e Gianfranco Duro.
    Mi sono laureata con 110/110 con grande soddisfazione da parte della commissione per l’interesse suscitato.
    Collateralmente a progetti espositivi nati nel tempo, vista la mia primaria passione per la pittura, il mio grande desiderio di conoscere, mi ha portato a fondere varie arti; ad accostarmi al canto, al teatro-danza, alla recitazione, al cinema dietro e attraverso la camera da presa, alla scrittura narrativa, alla sceneggiatura, alla poesia, alla progettazione e cura di mostre d’arte contemporanea, alla performance e a tant’altro. Tutto, con lo stesso amore e profondità di attenzione.

    D – Puoi raccontarmi i tuoi iniziali desideri?
    R – Come la maggior parte dei giovani che si accosta al mondo dell’arte il desiderio iniziale è quello dell’affermarsi cosa che poi col tempo conta in maniera minore e il desiderio tende a divenire “messaggio”.
    Il tuo messaggio. Quello che ti porta col tempo al contraddistinguerti in genere e forma.
    Quello che vorresti arrivasse direttamente al cuore del fruitore.

    D – Quando è iniziata la voglia di dipingere e, poi, di fare cinema?
    R – Credo che la voglia di dipingere sia in me innata.
    Sarà una sottile forma di presunzione, ma penso di aver sempre saputo e desiderato di fare ciò. Sin da quando frequentavo l’asilo era ben visibile la mia attitudine all’arte e al colore e il tempo ha solo contributo a valorizzare, accrescere e acculturare il mio livello conoscitivo e artistico. Sicuramente, anche il Liceo Artistico ha aiutato a rendere ciò che dapprima era solo un desiderio in una vera e propria “forma mentis”.
    Il cinema è entrato nella mia vita negli anni legati all’Accademia, con l’approfondimento alla storia del cinema, del teatro e della regia. Da qui i primi storyboard, le prime idee per la struttura di cortometraggi, i primi confronti con gli addetti ai lavori. La realizzazione del primo cortometraggio e la fortuna negli anni successivi a incrociare lungo il cammino della mia vita delle persone che abbiano creduto in me e nelle mie capacità.
    Passando così dal dirigere un corto a dirigere e sceneggiare un lungometraggio.

    D – Puoi precisare i temi e i motivi delle tue esperienze?
    R – In principio, nei miei lavori pittorici, più che un tema c’era la continua ricerca tra materia e segno, tra la visione reale e la matrice fabulistica. Le composizioni, poste in visione con precisi allestimenti, le pronunciate mediazioni cromatiche che raccoglievano segni, segnature, segnacoli e simboli posti al centro dell’opera, dividendo lo spazio e irradiando valenze segrete o cosmiche. Una pittura meditata, costruita e fissata in modo da conseguire un’ampiezza di sentimenti e di visioni.
    Poi, le ricerche si sono evolute in diverse direzioni e rappresentazioni umane, sotto stilizzate macchie di colore, forme e tecniche.
    Il processo di ricerca ha sempre alla base il potersi distinguere, continuando ininterrottamente a non perdere di vista il messaggio prefisso.
    Dopo anni, credo di essere giunta a ciò che mi ero fissato.
    Nasce così il primo progetto dal titolo “I sogni di Skinky” dove c’è l’analisi smoderata della “speranza” nel voler ricucire i mali intrinseci ed estrinseci di ogni esistenza; tutto attraverso suture di lana che fungono da bizzarro giuoco del fato tra la realtà e la fantasia dei sogni di chi non guarda più col cuore di un bambino.
    “Un lieve dramma di essere al mondo” dove le linee tratteggiate dei contorni, nel ricucire se stesse, creano un’osmosi tra il dentro e il fuori, con un fuori tanto denso da premere fortemente e un dentro pronto ad accogliere, perché attento e curioso e pronto a mettersi in gioco. Una leggerezza e sospensione del segno grafico tende a voler sdrammatizzare il gioco della vita servendosi di un peculiare figurativo immerso in sfondi informali. Creature disperse, ma vicine, incapaci di vivere nel mondo senza una cosmica modalità di essere. Visi ridotti nelle espressioni, cavità, arti monchi o diseguali. Una lieve angoscia si evince e tende a primeggiare sul cromatismo spesso forte e pregnante. Una bolla di emozioni da cui successivamente nel 2016 prende forma la personale “Balloons” presso la Galleria di Salvatore Serio in Napoli.

    D – Ora, puoi motivare il percorso di gestazione e l’esito della tua ultima personale?
    R – Il processo di gestazione di “Balloons” come ho accennato nella precedente risposta nasce da una continuativa esperienza progettuale e artistica e dal permanente bisogno di mettere in ordine lo stato psico-mentale del disagio umano spesso appannato dall’apparire.

    D – Dentro c’è Napoli, forse, ma quanto e perché?
    R – Dentro c’è sostanzialmente l’universo e Napoli, fa parte del “mio” universo che di conseguenza è parte dell’intero infinito.

    D – Napoli è una città sorgiva per gli artisti?
    R – Basterebbe pensare ai 27 secoli di storia, alla leggenda a cui si lega la sua nascita, all’incontro di culture e popoli intrecciati nei secoli, all’armonia che lega il panorama, alle importanti personalità che a Napoli hanno dedicato canzoni, musica, poesie, interi volumi. Ai Quartieri Spagnoli, alla Sanità, alle viuzze tra bassi e palazzi nobiliari, al profumo del caffè, al volto e al calore degli sconosciuti … Potrei continuare a scrivere tra il mistero e la bellezza, tra le grandi potenzialità e i disagi … i disagi, perché spesso sono sulla bocca del mondo.
    Solo questo, potrebbe essere una grande fonte.
    Ma è pur vero che non a tutte le fonti ci si possa dissetare.

    D – Quali pagine di un autore napoletano, di uno italiano e di uno straniero che si sono espressi su Napoli ti hanno colpito?
    R – Goethe nel suo viaggio sotto false spoglie parla di una Napoli che l’ha portato ad un cammino di rinascita, alla forte gioia che ha vissuto e condiviso nel suo percorso. Ad un certo punto dice, addirittura, di non riconoscersi più e definisce Napoli un vero e proprio paradiso. Si è sentito un folle tra i folli (nel senso buono del termine) assaporando una spensieratezza che prima non aveva mai sentito. E questo non è poco …
    Annamaria Ortese e il suo poetico “il mare non bagna Napoli” che ho avuto la fortuna di analizzare a fondo e con grande entusiasmo in un laboratorio di pratica poetica, letteraria e esistenziale tenuto da un altrettanto poeta e scrittore Gaetano Coppola. Un lavoro che nel 1953 nella prima uscita venne ritenuto e catalogato come una visione letteraria neorealista cosa che nel tempo, poi, si è visto essere tutt’altro. Un’allucinata visione, uno sguardo diverso.
    E poi come non citare il grande Eduardo che ancor oggi tra i vicoli ha lasciato la sua presenza, le sue parole sia come scrittore che come drammaturgo. Di quest’ultimo è raccolto molto nell’archivio della Biblioteca Nazionale di Napoli cosa che tutti i napoletani dovrebbero sapere. La sua è stata una vera “arte del linguaggio”.

    D – Napoli detiene una sua letteratura di segmento, perché?
    R – Perché dalle radici non si scappa mai anche quando lo si mette in atto fisicamente e credo che le radici siano il bisogno comprensibile del tutto. E Napoli pullula di radici.

    D – Quali piste di maestri hai seguito?
    R – Non credo di essermi soffermata più di tanto su qualcuno nello specifico, ho sempre scavato soprattutto in me stessa. Anche se amo smisuratamente Picasso.

    D – Pensi di avere una visibilità congrua?
    R – Penso che quella che ho è il risultato del lavoro svolto e che dovrò continuare a lavorare tanto senza lasciarmi intimorire dai “sorpassi”.

    D – Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?
    R – In questo momento uno solo.

    D – Puoi indicare in una scheda analitica le pregiudiziali sostanziali della tua ultima partecipazione in una rassegna?
    R – La mia ultima partecipazione risale a pochi mesi addietro, “VentiperVenti” San Gennaro Expo a Milano, decima edizione della mostra internazionale del piccolo formato 20X20 ideata e curata da G. Ippolito e G. Donnarumma, promossa da Lineadarte Officina Creativa e MaMa di Milano con un grande riscontro di pubblico e critica.

    D – Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro?
    R – Nel mio futuro prossimo c’è una nuova Mostra Personale e la partecipazione ad un cortometraggio in veste di attrice.

    D – Pensi che sia difficile riuscire a penetrare nel mercato dell’arte o nei vari gradi, da quello nazionale a quello europeo sino a quello internazionale?
    R – In questo momento più che difficile lo trovo quasi impossibile se parliamo di certi livelli, anche se per ora i collezionisti non mi mancano.

    D – I “social” ti appoggiano?
    R – Molto. Ho un discreto rapporto con i social e una buona risonanza sia personale che artistica.

    D – Con chi ti farebbe piacere collaborare per metter su una performance-evento o una mostra di ampio respiro?
    R – In quanto alla performance sicuramente punterei sulla Abramovic.
    Invece per la mostra di ampio respiro (come definita) mi piacerebbe poter esporre con una persona che stimo molto e che di sicuro non si aspetterebbe di leggere questa risposta, l’artista napoletano Christian Leperino.

    D – Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi lavori?
    R – Per il messaggio, ho bisogno di comunicare il più possibile ciò su cui lavoro; poi per la distinzione nella tecnica.

    D – Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario?
    R – Credo che l’arte sia una parte di vita e come tale deve assolutamente far parte sia di un percorso scolastico che personale.
    Anzi, colgo l’occasione per sposare un progetto artistico e ricordare agli addetti ai lavori che a Cagliari manca l’Accademia di Belle Arti … Fate qualcosa.

    D – Prossima mostra o prossimo evento o prossima collettiva?
    R – Una personale che preparo da mesi, un lavoro incentrato sulla riflessione, sulle rabbie, sui disagi infantili. L’importanza del capire, prima che il dolore possa influire sul processo evolutivo … L’imponenza degli sguardi, i rapporti familiari e il gioco costruttivo attraverso semplici favole. Dalla psicanalisi alla pediatria, personaggi che fuoriescono dall’opera in cerca di un proprio spazio.

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