Intervista alla bravissima artista Adele Ceraudo, a cura di Maurizio Vitiello.

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    Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde la bravissima artista Adele Ceraudo, attiva a Milano.

    MV – Puoi raccontarci della tua città natale, delle tue radici?
    AC – Caro Maurizio, la domanda appare semplice, non è così per la risposta, poiché sia per il termine “radici” che per “città natale” sarebbero necessari interrogativi di natura semantica. Sono nata a Cosenza, ho trascorso l’infanzia a San Giovanni la Punta (CT), diplomata al liceo artistico di Cosenza, appena maggiorenne sono scappata dal sud per vivere a Firenze studiando Architettura, a 25 anni mi sono trasferita a Roma in cui ho studiato ed esercitato recitazione teatrale e cinematografica, poi di nuovo Cosenza per riprendermi da crisi esistenziali, e ancora Roma ma come artista visiva e Milano, dove attualmente ho casa/studio e dove ho vissuto e lavorato negli ultimi 4 anni … ma sto prendendomi un periodo di riflessione, per nuove decisioni sul prossimo luogo di vita. Ogni città in cui ho vissuto mi ha dato nuovi natali, ogni volta sono morta e rinata. Oggi, cerco l’affetto e la cura della sfera emotiva; è il bisogno di relazioni vere e comunicazione profonda con gli altri e con l’ambiente circostante che muove le mie scelte. Le mie radici sono italiane, ma posso star bene ovunque. Devo essere serena e in pace, per incanalare il vulcano creativo di cui sono portatrice. Il luogo in sé, in fondo non ha molta importanza, la bellezza è fondamentale ed il calore umano. Un luogo del cuore in cui poter amare e creare. È l’amore, oggi che mi muove.

    MV – Hai memoria delle tue radici nelle azioni sceniche e/o performative o la raccoglie, seppur in parte, nelle tue opere?
    AC – Le mie opere, sin dalla prima collezione creata nel 2007, parlano attraverso il mio corpo, corpo di donna, interpretato, disegnato e tradotto in opera scultorea, bellissima e statuaria, grazie alle foto di Ivana Russo, un percorso di sperimentazione, alternando in seguito, a me la presenza di Giulia, una giovane e splendida amica, come modella, fotografata da me (collezioni: Just Wearing ink 2009, Particolare Rivelato 2010) dunque ancora alla ricerca di un canale espressivo che andasse oltre la bellezza della forma. Sino al 2011, quando con “Le Affinità Elettive” fotografata da differenti fotografi per ognuna delle rielaborazioni, ho posto il mio dono, la mia tecnica e il mio amore per il corpo femminile e per tutte le caratteristiche che esso può comunicare, a totale disposizione della reinterpretazione delle immagini icona della storia dell’arte, universalmente riconosciute, rendendomi conto che il filo conduttore, inconsapevole al momento, era ed è la valorizzazione del genere femminile, per mezzo della rivisitazione della storia, della religione, delle immagini bibliche e pagane, da contrapporre ai secolari abusi da parte del genere maschile, della cultura e della educazione imposta che prevedeva la donna sempre dietro l’uomo, mai al fianco. Ne ho preso coscienza nel corso degli anni, anche a seguito degli ostacoli e/o censure incontrati, come pure degli encomi e riconoscimenti ricevuti. Adesso, è diventata una missione. E direi che, sì, c’è memoria delle mie radici, italiane, calabresi, patriarcali, nella mia Arte. Nelle ultime due collezioni invece “NUOTANDO NELL’ARIA” 2013/2015 realizzata con le foto di Dario Scaramuzzino e con “CAMBIA PELLE” 2016/2018 creata dai magnifici scatti newyorchesi di Giorgio Possenti, il respiro è stato universale, architettonico, spaziale, nella carne come nello spirito. La radice e la memoria, sono state semplicemente umane femminili.

    MV – Quando hai deciso di trasferirti, e perché?
    AC – Sono nata “trasferita” direi. Continuerò sino a che il cuore me lo segnalerà.

    MV – Tra Cosenza, Napoli, Firenze, Milano quali sono le somiglianze intime e quali le divergenze più clamorose?
    AC – Ad ogni passaggio, c’è sempre stata la ricerca di qualcosa, a seguito di una crisi, e, poi, il risveglio, un qualcosa che ho trovato nel luogo successivo, ma che accadeva dentro di me: quando lasciai Cosenza, fu per studiare e formarmi, quando lasciai Firenze fu per esplorare me stessa e le mie potenzialità creative ed espressive, poi lasciai Roma per la necessità di opportunità più ampie e contemporanee e la ricerca di ordine e precisione, che ho trovato a Milano ma, ora di nuovo morte e rinascita, ciò che cerco adesso è altro, qualcosa di più intimo e interiore che superi tutto ciò che ho avuto e dato e che lo riassuma, per risplendere di luce tutta mia, e per donarla al mondo.

    MV – Hai trovato utile per te e per la tua coscienza staccare la spina e agganciarti a un circuito di occasioni? ma queste sono arrivate? e in che modo? le hai orientate? o le hai “pescate” al momento giusto?
    AC – La vita che ho scelto di condurre è complicata. Essa stessa si è fatta strada, lanciandomi dei segnali che spesso non ho voluto cogliere. Ho, più volte deciso di spegnere la mente per non pensare. Essere una artista e fare i conti con me stessa è un percorso incredibilmente complesso, con incognite e variabili innumerevoli. Ogni decisione ha modificato la mia strada, prendendo scivolate e botte assai dolorose. Costi e benefici ancora non li saprei quantificare, ma ad ogni grande dolore, perdita ed errore, sono conseguite illuminazione, crescita e maggiore consapevolezza. Alcune scelte, camuffate da opportunità, avrei potuto non farle, ma oggi non sarei la donna che sono e l’artista che sto forgiando dentro di me. Sono stata fortunata e sfortunata, di certo so che non vorrei fare nessun altro mestiere. Io sono realmente ciò che faccio; vedo, sento e vivo le cose della vita, così come le rappresento o esattamente il contrario.

    MV – Tu hai sempre con la “bic” realizzato, sin da piccola, elaborazioni figurative. Conosco due artiste napoletane Mathelda Balatresi e la compianta Maria Roccasalva, anche scrittrice, che hanno utilizzato la “bic”. Lo sapevi?
    AC – Non le conosco. Le cercherò senz’altro. Non è insolito, si sa, che oggetti di uso comune vengano tradotti in strumenti d’arte o in arte stessa.

    MV – La “bic” ti riesce a dare segno e ombre, tessitura completa, tra ordito e trama?
    AC –Aa livello grafico sì, disegno solo con la bic. Il pensiero che non si possa “cancellare” è una piccola ma gigantesca sfida tramutata in milioni di piccole sfide su un foglio di carta. Di certo, non muoio, ma non posso sbagliare e se sbaglio, devo tramutare l’errore in opportunità geniale. E nessuno, tranne me, se ne accorge. Sono umana, posso sbagliare e sbaglio, in ogni tavola c’è un errore trasformato in bellezza. Sul piano poetico e mediatico, uso i sogni, i sensi, la mia vita e i miei studi, il mio corpo, la performance, la fotografia ed il video. E incontro persone, a volte magiche, altre meno, con cui creare, da cui trarre ispirazione.

    MV – Non parliamo di Omar Galliani che con la matita costruisce mondi spinti tra realtà, surrealtà e astrazioni. Con una semplice penna e una semplice matita sembra che il mondo si possa rappresentare, interpretare e sintetizzare?
    AC – Sì. O meglio, è l’idea quella che vince ma non solo, poi ognuno usa strumenti e tecniche di rappresentazione che più gli sono congeniali. Non è una questione di mente o di tecnica. Chiunque può disegnare, dipingere, scolpire, fotografare o suonare uno strumento, anche bene o benissimo, ma è il suo proprio modo di farlo, unico, emozionante e riconoscibile, che dovrebbe distinguerlo o distanziarlo dagli altri. Omar Galliani l’ho incontrato, emozionatissima, come fosse la mia rock star, gli ho detto che devo a lui, alle sue opere, l’aver compreso che disegnare è una arte, non solo una attitudine. Talvolta, gli artisti che ami per la loro arte, è preferibile non incontrarli in carne ed ossa, può essere deludente, le aspettative vanno oltre la realtà.

    MV – Il senso della donna, il corpo femminile, i segmenti di una certa femminilità sono da te determinati come parabola di ricerca? Vuoi rendere “visioni fantasmatiche” o “visibilità da ricostruire, da riprogrammare”?
    AC – Maurizio, io faccio quello che mi viene, in base, credo, alla vita che faccio e che ho fatto, al DNA, personale e collettivo, alla mia fede e alla magia che ho dentro. Quello che progetto ed elaboro è solo la compiutezza di una collezione, quando ne riconosco i termini di inizio e fine … approssimativi, perché poi mi accorgo che è tutto collegato e, la fine di una collezione, rappresenta l’inizio della successiva. È tutto connesso. È la mia vita che si srotola … e si manifesta.

    MV – Tu pensi che la donna sia stata meglio valutata dal cinema, dove tu qualche passaggio l’hai fatto, o nelle arti visive?
    AC – Non sono sicura di essere in grado di saper rispondere a questa domanda, risulterei polemica o retorica. A 25 anni credevo che fare cinema e teatro fosse la mia massima aspirazione per esprimermi. Il cinema è una forma d’arte meravigliosa, nel mio vedere e sentire c’è il cinema, come la musica e la fotografia, e io sono attrice, danzatrice e modella … sono una performer, che disegna da Dio. Poi, non so se la donna possa essere “valutata” meglio o peggio da una forma d’arte, poiché credo fermamente che la donna SIA LA forma d’arte! La creatrice e la creatura. Essere donna e essere artista mi pone a un livello talmente alto di responsabilità per capacità di visione che a volte ne sono stata schiacciata e terrorizzata, incapace persino di parlare. Sorrido quando sento alcuni uomini affermare che noi donne, poiché madri e creatrici per natura, non possiamo aspirare ad essere artiste, come gli uomini, proprio perché sono spinti da desiderio e bisogno atavico talmente potente da eguagliarci e superarci. Non esiste termine di competizione, solo consapevolezza.

    MV – Tu utilizzi l’uso della performance per sottolineare l’icasticità dell’esser donna e/o per appagare anche il tuo senso teatrale della vita?
    AC – Grazie al cielo sono donna e uomo assieme, questa cosa non compresa, mi ha sempre creato problemi esistenziali, nei rapporti con l’altro, ma, soprattutto con me stessa; sto scoprendo che invece di un limite dell’essere diversa, è una ricchezza che mi rende più completa rispetto a ciò che ho da dire. Non ho il pene e non desidero averlo, ma da bambina lo volevo, sì, volevo essere un maschio, perché vedevo che era più facile la vita per i maschi. Continuo a pensarlo, siete creature semplici, così meravigliose e semplici da risultare difficili alla lettura. Lo sono anch’io, basica, pappa, cacca, nanna, sesso (non in questo ordine) ma amo essere donna, artista donna, con la componente maschile spiccata e, credo che si evinca dal mio lavoro. Le mie interpretazioni dell’uomo vitruviano di Leonardo, del David di Michelangelo, del Cristo in croce, di San Sebastiano, o Dio nell’atto della creazione, le trovo divine … a volte trovo più affascinante rappresentare l’uomo, che le immagini iconografiche femminili, le Grazie di Canova, la Pietà di Michelangelo o la Maddalena di Hayez, Paolina Borghese, Sant’Agata, solo a volte però, mi ha divertito molto essere sia amore che psiche e credo che sia questo il mio senso teatrale della vita.

    MV – Soddisfatta di quale mostra del tuo percorso artistico?
    AC – Di quella che verrà, naturalmente … con la prossima collezione, interpreterò dei concetti, delle tecnologie, delle capacità riacquisite. Non vedo l’ora di iniziare. Sto allenandomi intanto, corpo, mano, anima … corpo interiore. Sono eccitatissima, ma attendo con calma, il momento giusto.

    MV – Appagata della mostra e delle azioni performative al PAN (Palazzo Arti Napoli), nel 2018?
    AC – Non ero totalmente me e non ho espresso pienamente le mie capacità.

    MV- Napoli ti piace, ti ha conquistato?
    AC – Napoli è magnifica, e l’ho solo percepita, devo assolutamente tornare. Vorrei fare una expo/performance al MADRE. Sogni, volti, … buio.

    MV – In quale città preferisti vivere e/o lavorare?
    AC – Posso vivere e lavorare ovunque io desideri. Il cuore, il calore, la mia famiglia, l’amore … Il sud mi attrae, per tutto il resto esistono i mezzi di trasporto ma, te lo farò sapere …

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