Napoli. Uscirà, a breve, un altro libro di Federico Salvatore.

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    Articolo di Maurizio Vitiello – Federico Salvatore pubblica per Adriano Gallina Editore.

    Chi affronta questo libro sappia che s’immergerà nelle volute estreme della lingua napoletana, idioma dell’unica città-mondo del pianeta Terra.
    Il napoletano è esplosione concettuale nel rendere la coda riassuntiva o il finale di un pensiero logico; insomma, riesce a regolare, nella saettante e caustica brevità, l’assunto di un ragionamento, finitimo alla filosofia.
    La sua concretezza si coniuga con musicalità riconosciute nel mondo intero.
    Le parole appoggiano brani musicali, tanto da rendere la canzone napoletana d’indubbio e incontrovertibile incanto; ovviamente, in una distinta cernita si potrebbero raccogliere capolavori assoluti tra le migliaia e migliaia di composizioni, tradotte in tante lingue e riprese da famosi interpreti, da Frank Sinatra a Elvis Presley.
    Indimenticabile la scena di Michail Sergeevič Gorbačëv al “Maurizio Costanzo Show” – di cui è stato più volte ospite Federico Salvatore – intenerito e con le lacrime agli occhi nell’ascolto di “Dicitencello vuje”, perché gli ricordava Raissa, la moglie scomparsa, che l’ha guidato ai valori della letteratura e dell’arte, a prescindere da quelli seguiti del marximo, poi naufragati in URSS.
    Nella canzone napoletana si possono raccogliere declinazioni poetiche di prim’ordine, di fattura eccelsa, di respiro altissimo; testi e musiche hanno, in combinazioni felici, strutturato espressioni condivise da genti del mondo.
    E diciamolo … il Teatro San Carlo di Napoli, che ospita danza, lirica, ma anche concerti da Enzo Gragnaniello a Peppino di Capri, è il più antico d’Europa, ma anche il più bello e il più prestigioso del mondo, tanto che è stato inserito dall’Unesco tra i monumenti considerati Patrimonio dell’Umanità; le sue linee architettoniche, le decorazioni, i velluti rossi e gli arredi incantano e lasciano a bocca aperta chiunque.
    Il San Carlo, che ha conquistato un posto nella classifica del National Geographic superando la Scala di Milano e tanti altri teatri di fama mondiale, si piazza al primo posto anche nella graduatoria di Best5.it, che lo ha reputato il teatro più bello in assoluto!
    I sentimenti, mai azzerati dalle diverse dominazioni, hanno inseguito piani poetici, che hanno corroborato la tutela di un’identità, seppur e talvolta, allargata a raccogliere e a ordinare contaminazioni, che si sono innestate per metabolizzazione sociale.
    Dai greci agli americani, tanto per offrire un arco storico, che va oltre, incredibilmente, il bi-millennio, si è attestata una civiltà, che ha visto regni e governi incalzarsi, e si è prodotta una tensione creativa, sempre sorgiva, che ha sedimentato unicità elastiche, essenze inossidabili e spaccati irredimibili.
    La lingua napoletana, che è tessuto culturale e ricalco di un’identità esclusiva e di una sensibilità “glocal”, riesce a contestualizzare tutti i segmenti della vita con un’azione interpretativa, che va da livelli parossistici, quando le passioni sono travolgenti, a capitali indifferenze, quando elide l’appoggio, ad esempio, all’uomo politico che sente che non è più all’altezza della situazione e manca alla parola data; insomma, quando non riesce a reggere la promessa al popolo, che a Napoli viene intesa come debito d’onore.
    Sophia Loren [Roma, 1934] a una giornalista, in un’intervista televisiva americana, affermò: “Ma io non sono Italiana! Io sono Napoletana. Io non sono Italiana.” … e ci sarà un perché.
    E che dire di quello che asserì la mamma al figlio famoso Riccardo Muti [Napoli, 1941], giramondo da grande direttore d’orchestra, alla sua domanda perché l’avesse fatto nascere a Napoli e non a Molfetta, dove abitavano: “E perché non si mai. Se girate il mondo e vi domandano dove siete nato e voi dite a Napoli il mondo vi rispetta!”
    Federico Salvatore appare dalla lettura di queste poesie un “diavolo” multitasking, nonché stregato da Napoli e con questo intendiamo sottolineare che una multi-versatilità delle risonanze ultime sembrano incrociarsi in questi versi prima di scomparire sotto l’orizzonte dell’oblio e del ventaglio affettivo di chi Napoli la ama profondamente, tanto da immergersi nelle sue cavità viscerali più profonde, più antiche, più arcane, più segrete, più clamorosamente sbeffeggianti, più ironiche, più descrittive del midollo delle azioni e delle immaginazioni più intemerate e forti, più spinte dei congressi carnali, più umane delle necessità fisiologiche e sino a non dimenticare quella ricerca del cibo con pietanze che stanno scivolando nel dimenticatoio.
    Questo secondo volume de L’Inferno della Poesia Napoletana, che fu pubblicato oltre quarant’anni fa da Adriano Gallina, curato dal “tormentato” Angelo Manna, ricordato per le sue surriscaldate e vibranti filippiche televisive a Napoli Canale 21 e anche in Parlamento, prolunga una scia poetica di realtà vissute o costruite “ad arte”, ora tracciata e raccolta dall’appassionato Giuseppe Gallina, che continua il lavoro indomito del padre Adriano, che guardò al fronte napoletano degli autori, dai poeti ai parolieri, dagli scrittori ai prosatori.
    Nei versi di Federico Salvatore l’irriverenza incontra la duttilità, il respiro scurrile, profondo e arcano, che fa scaturire la scala dell’impatto visivo, e la parodia incrocia i trastulli idiomatici.
    Il terreno scosceso della facondia, del motto spiritoso, dell’alluvione energetica di ruvide parole, della frontiera di squillanti orientamenti erotici, del fronte corrivo delle valutazioni umane, franco e senza cerimonie, dell’eloquenza plebea, ripida e clamorosa nei passaggi riguardanti intimità fisiche, e non solo, s’incanala in impervie strettoie umorali stringendosi a locuzioni manifeste, dichiaratamente dirette ed esplicite.
    Nei varchi interstiziali di una lingua nobilissima, che fa cultura, si sono adunate e rifugiate rilievi e particolarità di altre lingue e intendiamo segnalare che le pregiudiziali sostanziali sono da ricavare, non soltanto, ma anche da quelle dominazioni succedutesi.
    Enunciazioni persuasive, capaci e convinte, senza inganno affrontano tesi chine e tematiche inclinate e il colorito gioca nello spazio dei contrappesi visivi, puro traslato di immaginazioni, in parte, e di assensi costitutivi reali, per l’altra buona metà, sotto una mappatura metaforica e una geografia di combinazioni.
    La vena elaborativa di Federico Salvatore s’accende e persiste nell’innervare distingui comici, anche nelle corrosioni del linguaggio.

    Maurizio Vitiello

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