Napoli. Ridotto del Mercadante. Successo di “Autobahn”.

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    Articolo di Maurizio Vitiello –ASSOLUTAMENTE DA VEDERE. AUTOBAHN AL RIDOTTO DEL MERCADANTE.

    DALL’8 NOVEMBRE 2018 AL18 NOVEMBRE 2018
    AL RIDOTTO DEL MERCADANTE
    AUTOBAHN
    un ciclo di brevi atti unici di Neil LaBute
    traduzione di Marcello Cotugno e Gianluca Ficca
    regia di Alfonso Postiglione
    con Anna Ammirati, Gianluca Musiu, Alessandro Balletta, Clara Bocchino, Emanuele D’Errico, Fortuna Liguori

    Spettacolo da vedere, senza ombra di dubbio.
    Autobahn (Autostrade, in tedesco) è un testo drammatico del 2003, da sottolineare inedito per l’Italia, dell’autore americano Neil LaBute, composto da sette episodi, indipendenti narrativamente e con tipicità forti.
    Sono sette dialoghi ambientati interamente ed esclusivamente all’interno dell’abitacolo di una automobile.
    La scena essenziale, in una minimale e icastica disposizione ambientale, raccoglie il teatro di parola.
    Nei vari episodi, l’autore mette i suoi personaggi di fronte alla necessità d’una verità da svelare, della richiesta della sincerità più assoluta, ma, soprattutto, di fronte all’incapacità, davvero frequente, di avere le parole giuste per poterla esprimere, parole che possano trasmettere la reale essenza delle cose, senza pericolose ambiguità che lascino tracce d’ombre nei rapporti (inter)personali.
    Le parole hanno peso, eccome!
    Le parole hanno il sopravvento sulle emozioni che cercano di veicolare, le anticipano, le sorprendono, infine le tradiscono.
    Le parole determinano riflessioni e possono specificare dettagli, ma possono risultare senza target finale e per questo ondivaghe.
    Ciò che fanno strenuamente i personaggi di questi testi è caricare di troppa responsabilità le parole stesse, le fanno assurgere a veicoli emozionali, a rimandi spirituali, a specchi del proprio sentire l’altro e il mondo.
    Le usano come giustificati alibi, come se la colpa di non esser chiari e limpidi, veri e sinceri fosse delle parole e non d’altro (o altri) scaricando inutilmente sulla relatività e imparzialità del linguaggio, dal corrivo al metafisico, tutta la paura di accettare la frammentata, mutevole, contraddittoria essenza dell’essere umano.
    I sentieri della vita portano, talvolta, a non comprendere lo stato del momento e il flusso dei sentimenti.
    Le parole come baluardi, argini possibili alla nostra liquida impetuosa identità.
    Gli effluvi del linguaggio, i torrentizi monologhi, le enunciazioni persuasive, capaci e convinte, affrontano tesi chine e tematiche inclinate.
    Si “gioca” in scena sui contrappesi semantici, puri traslati immaginativi.
    I monologhi e i dialoghi si nascondono in mappature metaforiche e in geografie di combinazioni.
    La vena elaborativa di una filippica, ad esempio, s’accende e persiste nell’innervare distingui comici, anche nelle corrosioni del linguaggio.
    E l’autore, per mettere in parola i suoi personaggi, usa uno stile concreto e apparentemente minimale, che affidandosi alla prolissità del discorso riesce a scongiurare il rischio di un banale realismo, raggiungendo, in molti accenti, effetti di surreale comicità, a tratti involontaria.
    Il Teatro è dinnanzi agli occhi degli spettatori, nella durata dello spettacolo di un’ora e trenta minuti, senza intervallo, che, alla fine, applaudono lo sviluppo, in un contesto minimale, dell’esercizio della parola con tutti i suoi rinvii esistenziali.
    Si staglia la bravura degli interpreti, tutti compressi in ruoli di figure ordinarie.
    Prova interpretativa complessiva di tono e livello su un testo serio, che guarda, telescopicamente, a quella verità, talvolta, ineffabile e inarrivabile anche dalla stessa parola certa.

    Maurizio Vitiello

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