L’omosessualità non è una malattia, l’omofobia sì ma anche l’intolleranza

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Voglio chiarire con questo intervento il mio pensiero come direttore di Positanonews, un pensiero mio personale come di Michele Cinque. Pensiero che non è necessariamente quello di tutta la redazione. Ma voglio chiarire questo punto.
Sorprende, ma neanche troppo, il vespaio di polemiche che si è alzato su alcuni interventi e lettere su Positanonews. Ci ha pensato Selvaggia Lucarelli  a riprendere un nostro articolo del 2011 sull’aumento delle lesbiche in Penisola sorrentina. Dove subito i decerebrati ci hanno visto un articolo omofobo o cose del genere. Ma già sotto il post della Lucarelli alcuni suoi stessi followers non hanno visto niente di male in quell’articolo, anzi era evidente che riferiva di un sentimento di libertà venuto alla luce, ovviamente le interpretazioni sono varie, ma la realtà è che l’articolo, compresa la foto, voleva essere solo un quadro positivo di un fenomeno accettato e sempre più diffuso. Ma c’è chi vede il male ovunque, e lasciamolo perdere. La Lucarelli, che ci paragona a Repubblica e Corriere della Sera  visto che siam un suo riferimento, non ci fa che un piacere. Intanto alla fine tutte le sue “beccate” svelano un nostro lavoro giornalistico e il fatto che trova sempre noi dimostra che abbiamo un’indicizzazione enorme, al di là dei pseudo giornali inganna-lettori che alimentano i followers pagandoli, noi siamo realmente i più visti. E’ stata anche pubblicata una lettera giunta in redazione.  Intanto si chiarisca che solo nell’epoca fascista il direttore era un dittatore, oggi siamo in democrazia e la prima democrazia si svolge all’interno di un giornale, dunque è stata una scelta democratica non individuale questa pubblicazione di uno scritto non nostro. La lettera attaccava giustamente il Vescovo e poi la persona anziana ha usato impropriamente il termine da curare, riferendosi a una possibile malattia, che alcuni hanno interpretato, non sappiamo  perché, come un attacco all’omosessualità. Era evidentemente il discorso di un’anziana. Oramai è assodato che l’omosessualità non è una malattia e pensare che una testata come la nostra creda che lo sia è assurdo. Anche conoscendomi. Esiste la diversità, la diversità anche di genere, anche nella sessualità, nell’amore e anche l’omosessualità fa parte di questa diversità e non è una malattia. Almeno finché non provoca sofferenza delle stesse persone. In questo caso può rivelarsi utile  un momento di chiarimento psicoanalitico personale nel verificare se è una vera inclinazione, se è indotta o se è semplicemente una confusione, ma ripetiamo non è una malattia. Quindi chiariamo questo punto. L’omosessualità non va accettata o tollerata, questo si fa con le deviazioni, non è una deviazione né una malattia, è semplicemente un modo diverso col quale vivere le proprie inclinazioni sessuali e non lo diciamo noi, ma lo afferma la scienza. Nello stesso tempo vanno accettate, tollerate e non censurate le diversità di opinioni, se qualcuno la pensa diversamente o non accetta l’omosessualità come la normale concezione dell’esistenza non possiamo impedirgli di esprimere il suo pensiero. Sarebbe un razzismo all’incontrario. Anche al nostro interno non tutti la pensano nella stessa maniera, si può pensarla diversamente senza essere aggrediti?   Nel mondo occidentale l’omosessualità non è considerata una malattia, per la Chiesa, almeno per la maggioranza, è considerata un peccato. Ma visto l’aumento di omosessuali all’esterno e anche all’interno della Chiesa, vi è sicuramente una considerazione diversa.  La nostra vicenda ci ricorda i clamori proprio di recente nell’ambito del Progress Test 2017 somministrato a oltre 33mila universitari iscritti a Medicina e Chirurgia e volto a valutare i progressi nell’apprendimento a partire dal secondo anno di studi, è stata scritta nero su bianco la seguente domanda: “Quale è la stima del verificarsi dell’omosessualità nell’uomo?”. Non oso nemmeno immaginare il disagio di quanti, tra studenti e professori omosessuali, hanno letto con i propri occhi quella domanda in un test su “diagnosi, genetica, malattie e comportamenti da tenere di fronte a certe malattie”. Sì, malattie: la Conferenza dei presidenti dei Collegi didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, responsabile nella preparazione e redazione del test, deve averci pensato proprio bene e lo ha scritto nero su bianco. Gli omosessuali sono malati. Sono sicuro che, secondo loro, possono anche guarire.

Il tema del cambiamento dell’orientamento sessuale è del resto un tema ancora aperto, sebbene l’Organizzazione Mondiale della sanità nel 1990 abbia cancellato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali definendola per la prima volta “una variante naturale del comportamento umano”. Sono state diverse però nei secoli le tecniche utilizzate per guarire gli omosessuali dalla loro “malattia” e alcune persistono ancora laddove l’omosessualità viene considerata reato dallo Stato di appartenenza o addirittura da comunità locali: parliamo di trattamenti psicologici come terapie dell’avversione e della conversione, psicoanalisi, elettroshock, suggestioni ipnotiche, iniezioni di farmaci, preghiere e anche esorcismi.

Non sorridete. Accade anche in Italia quando superstizione e ignoranza hanno il sopravvento sulla scienza, la conoscenza e la lucidità mentale, tanto che in Senato è stata anche presentata una Proposta di Legge per vietare e sanzionare le terapie di conversione su persone minorenni.

L’omosessualità non è una malattia mentale. L’omosessualità non è un comportamento sbagliato. L’omosessualità è.

Si chiama Marco, Giorgia, Barbara, Pierpaolo, Giovanni. Ha un nome, una famiglia, degli affetti e degli amici, magari frequenta la palestra o la parrocchia, magari usa lo smartphone o non ama la tecnologia, magari va a teatro o al cinema, magari passeggia in una libreria, magari studia o è un perditempo, magari lavora o è disoccupato. Magari è normale. Come tutti. Magari è una persona.

La Conferenza dei presidenti dei Collegi didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia ha minimizzato l’accaduto. Il Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca (Miur) ha chiesto per bocca della sua Ministra, Valeria Fedeli, l’immediata eliminazione del “vergognoso quesito” e sanzioni per il responsabile.

Gliene siamo grati, ma attendiamo da mesi che sia sancito nero su bianco quale reato di omofobia l’alimentazione del pregiudizio contro le persone omosessuali, bisessuali, transessuali. La proposta di legge è ferma in Senato e, pur comprendendo che non possa essere priorità per il Paese, aiuterebbe a conciliare una comunità di uomini e donne che sull’omosessualità hanno ancora tanti pregiudizi, creando le condizioni dello stigma e dell’esclusione sociale, nonché di forme diffuse di violenza e prevaricazione.

L’omofobia è una malattia e può essere curata. Nessun esorcismo, nessun elettroshock, nessuna terapia psicologia o psichiatrica, nessun farmaco. L’omofobia si può curare con una legge, una profonda campagna di ascolto e di riconoscimento reciproco, un atteggiamento culturale più attento alle diversità e all’inclusione: quella formazione umana che spesso manca nel curriculum di chi si mette dietro una cattedra e pensa di poter insegnare qualcosa di utile alla futura classe dirigente di questo Paese.

Quindi ribadiamo il concetto l’omosessualità non è una malattia e chiunque pensi di curarla commette un crimine, fosse anche la Chiesa. La vera malattia è l’omofobia e l’intolleranza verso il diverso ma anche verso chi la pensa diversamente. Se non espressa con violenza l’opinione di chiunque va rispettata.

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