NAPOLI , CONFLITTO DI INTERESSI PER IL PRIMARIO DEL PASCALE PAOLO MUTO

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Una segnalazione alla Procura per verificare eventuali reati e alla Regione affinché prenda provvedimenti contro il dirigente medico e i vertici del Pascale che non hanno vigilato. È il pugno duro dell’Autorità Anticorruzione guidata dal magistrato Raffaele Cantone contro Paolo Muto, primario di radioterapia oncologica presso il Pascale, perché ha omesso di segnalare la partecipazione nella compagine sociale di alcuni centri medici le cui quote sono intestate dal 2007 ai figli, nipoti e un fratello. Partecipazione che il dirigente non aveva mai segnalato nonostante lo impone la legge dal 2013. Anzi in tre diverse dichiarazioni ha spiegato di non avere situazioni di conflitto. Una tegola per il primario del Pascale, rampollo di una notissima famiglia di radiologi sulla scia del padre Vincenzo.
IL CASO
La segnalazione per l’Autorità nazionale per il conflitto d’interessi è stata messa in moto da un utente che si era rivolto al Pascale. Qui il dirigente, paventando al paziente i tempi lunghi di attesa per alcune sedute di cura, segnalava, «per iscritto su un foglio», spiega l’Anticorruzione, sei strutture convenzionate in cui «figurava una struttura privata di radioterapia che portava lo stesso cognome». È partita da qui, dalla segnalazione dell’utente, l’istruttoria degli uffici di Cantone con l’ausilio della Guardia di Finanza che ha rilevato come il professor Muto è stato socio di un centro sino al 2007. Poi da quella data il professore decide di spogliarsi delle quote societarie che risultano però intestate oggi a figli, il fratello Roberto e nipoti. Tutti impegnati in una sigla di società riconducibili alla famiglia. Nessun rilievo su questo punto, ci mancherebbe, solo che Paolo Muto non ha mai esplicitato ai vertici sanitari la partecipazione societaria dei congiunti di primo grado nonostante sia imposto dalla legge. A richiesta di informazioni da parte dell’Autorità, il primario ha fornito invece copie di 3 diverse dichiarazioni in cui non rappresentava alcun conflitto d’interesse. Anzi, dichiarava, «di non avere parenti o affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongono in contatti frequenti con l’ufficio che dovrò dirigere o che sono coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti all’ufficio». Nonostante le società siano accreditate e il ruolo di primario lo pone in conflitto d’interesse, come appunto fa rilevare l’Anticorruzione.
I RILIEVI
Per l’Autorità infatti risulta «un’ipotesi di conflitto d’interessi», come viene messo nero su bianco nell’istruttoria del 31 luglio che ha affrontato il caso. «Si ritiene che il dirigente medico avrebbe dovuto rendere le informazioni circa il legame familiare con i vari studi medici privati accreditati o convenzionati presenti sul territorio laddove le dichiarazioni, rese in data 31 gennaio 2018, risultano carenti in tal senso», scrive l’Autorità che bacchetta il dirigente ma anche i vertici del Pascale, che non hanno vigilato o accertato il conflitto d’interessi tra il dirigente medico e le società a lui riconducibili. «A fronte della mancata comunicazione da parte dell’interessato, nessun accertamento risulta effettuato da parte dei competenti organi dell’amministrazione, seppure l’ente risulta avere conoscenza dell’esistenza di studi medici privati riconducibili al professionista in questione, attraverso i propri familiari». Non solo perché «la stessa amministrazione ha dato notizia a questa Autorità della pendenza di un procedimento giurisdizionale, risalente al momento dell’immissione in servizio del professionista, in cui sia il diretto interessato che lo studio di radiologia erano stati convenuti ed entrambi condannati, in primo grado, al risarcimento del danno».
LA DELIBERA
L’autorità quindi, nel provvedimento numero 740 del 31 luglio, rileva «l’inadempimento del dirigente medico dell’obbligo di informare circa la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi, relativo all’esistenza di strutture sanitarie private operanti all’interno dello stesso settore medico, partecipate o amministrate da membri della propria famiglia – indipendentemente dalla sussistenza di rapporti contrattuali tra tali strutture ed il Servizio sanitario regionale – costituisce violazione delle disposizioni del D.p.r. 62/2013 e del codice del comportamento aziendale». Nei guai finisce non solo il primario ma appunto anche i vertici dell’azienda sanitaria poiché ora alla Regione è rimesso il compito di «valutare il comportamento dell’amministrazione sanitaria per la mancata attivazione di verifiche in merito alla posizione del dirigente medico» e quindi «verificare i profili di responsabilità disciplinare, riferendosi agli esiti dell’accertamento di quest’Autorità». Non solo perché gli uffici guidati da Raffaele Cantone hanno trasmesso gli atti alla Procura affinché «accerti gli aspetti di sua competenza». Eventuali reati, insomma.

Adolfo Pappalardo

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