Pescara. Aurum. Maria Bellante, in arte Marbel, in mostra, curata da Erminia Turilli.

Più informazioni su

    Articolo-Segnalazione di Maurizio Vitiello – A poche ore prima dell’inaugurazione, riceviamo e, volentieri, pubblichiamo, i testi del dépliant, che correda la mostra di Marbel (Maria Bellante, moglie di Achille Pace), all’Aurum di Pescara, curata dalla bravissima Erminia Turilli, che ci aveva preannunciato, nella città pescarese, a maggio, quest’esposizione.

    Il giorno 1° luglio 2018 alle ore 18.00 nella sala degli Alambicchi dell’Aurum di Pescara sarà inaugurata la mostra La prima volta di Marbel a cura di Erminia Turilli, prodotta da Byblos_30years e sostenuta da Aurum_La fabbrica delle Idee, da Solstizio-Equinozio Aurum Festival, da Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara e L.A.CU.A.S.
    Interverranno, nella sala Tosti dell’Aurum, Licio Di Biase, Erminia Turilli, Francesco Nuvolari, Simona Pandolfi, Achille Pace, Emenda Di Rosato, Michele Porsia e l’artista Marbel.
    Saranno esposte 25 opere dell’artista di medie e grandi dimensioni per la prima volta.
    Il vernissage della mostra si svolgerà nella Sala degli Alambicchi, alle ore 19.00, e sarà arricchito da un’esibizione di musica jazz del duo Lonely Arts, composto dai musicisti Sandro Casolino (chitarra) e Massimo Pace (chitarra, violoncello e contrabbasso).

    Erminia Turilli, velocemente segnala: “Marbel è l’acronimo di Maria Bellante. Veronese, docente di Letteratura inglese, vive a Londra dal 1950 al 1959, si trasferisce nel 1960 a Roma dove, nell’Istituto d’Arte di Via Conte Verde, conosce Achille Pace, che diventerà il suo compagno di vita e il suo mentore. Si forma in campo artistico trascorrendo l’intera esistenza nell’officina creativa e di relazioni culturali di Achille Pace, uno dei più importanti maestri dell’Astrattismo italiano.
    Assimila un’infinità di informazioni e concetti rivelatori dei profondi significati dell’Arte, frequentando artisti, critici e galleristi che girano intorno al Premio Termoli (1962-2014), rassegna d’arte contemporanea internazionale. Conosce e frequenta molti degli artisti della storia dell’arte del Novecento fra cui quelli più vicini alla sua ricerca: Guidi, Mannucci, Marotta. Montanarini, Tano Festa, Turcato.
    La sperimentazione, che l’artista avvia negli anni Ottanta, s’inserisce nella corrente dell’Arte povera teorizzata da Germano Celant e fa passi nell’Informale.
    Dalla “carta argento ricava una serie infinita di immagini suggestive, sempre mutevoli, in cui si inserisce in automatico l’intervento dell’elemento cinetico luminoso, che proietta ogni opera nel cosmo evocando raggiere solari, geometrie del labyrintos antico, skyline di paesaggi montani, profili di onde marine alla Katsushika Hokusai o visioni aeree simili a quelle del Gran Teatro a fiore di Zaha Hadid, posto nell’International Culture & Arts Centre a Changsha Meixihu in Cina”.”

    Da seguire, da vedere.

    Maurizio Vitiello

    Programmazione e Testi:

    La prima volta di Marbel
    Opere:1980-2018
    A cura di Erminia Turilli

    Mostra: 1°-12 luglio 2018 Sala degli Alambicchi Aurum Pescara
    Vernice: 1° luglio 2018, h. 18.00, Sala Tosti Aurum Pescara

    Interventi
    Erminia Turilli, Critico d’Arte
    Licio Di Biase, Storico
    Francesco G. Nuvolari, Storico dell’Arte
    Emenda Di Rosato, Presidente L.A.CU.A.S.
    Achille Pace, Artista
    Simona Pandolfi, Critico
    Michele Porsia, Direttore artistico Settimo piano

    Concerto Jazz: 1° luglio 2018, ore 19.00, Sala degli Alambicchi, duo Lonely Arts: Sandro Casolino Massimo Pace

    Fenomenico, materia e luce
    di Erminia Turilli

    Marbel è l’acronimo di Maria Bellante. Questo nome d’arte nasce dalla fusione delle prime tre iniziali del nome e del cognome originale dell’artista, che conserva in tal modo la corrispondenza autentica alla sua persona. Veronese, docente di Inglese, vive a Londra dal 1950 al 1959, si trasferisce nel 1960 a Roma dove, nell’Istituto d’Arte di Via Conte Verde, conosce Achille Pace, che diventerà il suo compagno di vita e il suo mentore.

    Si forma in campo artistico trascorrendo l’intera esistenza nell’officina creativa e di relazioni culturali di Achille Pace, uno dei più importanti maestri dell’Astrattismo italiano. Assimila un’infinità di informazioni e concetti rivelatori dei profondi significati dell’Arte, frequentando artisti, critici e galleristi che giravano intorno al Premio Termoli (1962-2014), rassegna d’arte contemporanea internazionale. Conosce e frequenta molti degli artisti della storia dell’arte del Novecento fra cui quelli più vicini alla sua ricerca: Guidi, Mannucci, Marotta. Montanarini, Tano Festa, Turcato.

    La sperimentazione, che l’artista avvia negli anni Ottanta, s’inserisce nella corrente dell’Arte povera teorizzata da Germano Celant. Tale movimento artistico nasce in Italia nel 1967 con una mostra alla Galleria La Bertesca di Francesco Masnata a Genova con Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali e Prini e si afferma in campo internazionale due anni dopo con il volume di Celant Arte povera (Milano, Mazzotta, 1969) e mostre: Conceptual art arte povera land art presso la Galleria civica d’Arte moderna e contemporanea di Torino e l’esposizione When attitudes become form alla Kunsthalle di Berna organizzata da Szeemann.
    Celant definisce l’Arte povera una lotta armata antisistema. Nei suoi Appunti per una guerriglia, (Flash Art, n.5, 1967), ribatte ogni posizione categoriale per una focalizzazione di gesti che non aggiungono nulla alla nostra colta percezione, che non si contrappongono come arte rispetto alla vita, che non portano alla frattura e alla creazione del doppio piano io e mondo, ma che vivono come gesti sociali a sé stanti, quali liberazioni formative e compositive, antisistematiche, tese all’identificazione uomo-mondo. L’avvicendamento da compiersi è dunque quello del ritorno alla progettazione limitata e ancillare, in cui l’uomo è il fulcro e il fuoco della ricerca, non più il mezzo e lo strumento.
    Anche per Marbel viene prima l’uomo e poi il sistema, nella piena consapevolezza che uscire dal sistema vuol dire rivoluzione. Per creare è obbligata ad attingere ad altri sistemi linguistici. E’ questo un esserci in arte che predilige lo scheletro informazionale, che si presenta mediante un tangram mandala, caleidoscopio di luci con labirinti a raggiera, superfici incise a scaglie di rettile e di coccodrillo in argento (con rifrazioni di luce in nero, bianco, bronzo…), inimmaginabili riguardo alle aspettative convenzionali. Sono queste scelte stilistiche povere, asistematiche, che preservano la natura lavorando sul riuso dei materiali.
    Marbel, come i seguaci dell’Arte Povera, in dichiarata alternativa all’arte tradizionale -a cui sostituisce norme, strutture e conformismi semantici- si avvale di materiali minimi, di scarti come legno e tessuto, pietra, plastica, carta argentata, con l’ intenzione di citare le configurazioni primitive del codice espressivo della società odierna.
    La filosofia compositiva di Marbel tende a rintracciare il senso forte del vivere dell’uomo attraverso la focalizzazione di gesti precisi, con scavi profondi, seriali, dove sperimenta l’irripetibilità di ogni istante, l’agire non vincolato, libero e mai ipotizzabile. Marbel riporta l’opera d’arte così ai minimi termini, conduce i segni ad essere imprevedibili, li riduce ai suoi archetipi.
    Nell’Arte Povera sono stati usati sempre materiali di nessun valore, tutto il materiale di scarto, ormai inutile, da eliminare, è diventato strumento da lavorare: lembi di stoffa di ogni tipo, dalla juta al sacco al cotone (da Alberto Burri ad Achille Pace), residui di materiali plastici, ormai levigati dal tempo, schegge metalliche di ogni genere (piombo, rame, ferro …), tralci di legno informi, forse rintracciati in un bosco o sulla riva del mare, Brajo Fuso ne è esemplare rappresentante, favorito dalle rive del mare della sua Ansedonia, ricche di frammenti di tutti i tipi, che Marbel stessa ha aiutato a raccogliere.

    L’artista si considera una sperimentatrice che supera gli strumenti tradizionali (tele, colori a olio, tempere, smalti), per trovare un suo strumento essenziale e cercare di ottenere una forma di espressione prodotta in modo originale ed autentico. Fa riferimento eticamente al recupero di un mezzo povero, di scarto, per riciclare quello che la nostra cultura consumistica ci impone di convogliare in discarica, aggravando inesorabilmente l’accumulo di scorie e rottami nel ciclo dello smaltimento.

    L’amore per la natura l’ha indotta a un simbolico contributo, etico e sociale: sceglie le carte destinate alla distruzione e compie un gesto paradigmatico, teso a trasformare in bellezza quanto di desolante si accumula quotidianamente ai danni della natura.

    La carta, comunemente definita carta argentata, usata per confezionare cioccolatini e dolci di vario formato, possiede, secondo Marbel, proprietà nascoste. Da un semplice foglio, grande o piccolo di carta argento, ricava una serie infinita di immagini suggestive, sempre mutevoli, in cui si inserisce in automatico l’intervento dell’elemento cinetico luminoso, che proietta ogni opera nel cosmo evocando raggiere del sole, geometrie del labyrintos antico, skyline di paesaggi montani, profili di onde marine alla Katsushika Hokusai o visioni aeree simili a quelle del Gran Teatro a fiore di Zaha Hadid, posto nell’ International Culture & Arts Centre a Changsha Meixihu in Cina.

    L’impressione finale dai cangianti riflessi rimanda alle sculture di uccelli o di pesci dei cristalli veneziani e dei vetri di Murano. Allegorica permane la contraddizione forte tra l’opera finita, suggestiva, evocatrice, raffinata, e il lembo di carta originale, insignificante e privo di qualsiasi charme.

    La lettura attenta dei lavori non può prescindere dalla presenza ricca, interminabile di segni comparsi casualmente, che si susseguono, s’intrecciano e si moltiplicano, spesso sovrapponendosi. In una reazione a catena, si producono segni infiniti, tracciati meccanicamente dal processo di trasformazione della carta, che, da liscia e levigata, diventa creative image imprevedibile, irripetibile, casuale, che fa passi nell’Informale. E’ da sottolineare infatti che Fenomenico n.57, 2018 (100×70 cm.) e Fenomenico T32, 2018 (100×70 cm.) di Marbel si rintracciano in Acropoli, 1970 e Arcipelago,1971 di Turcato e in Coriandoli,1985-1986-1987 di Tano Festa.

    La carta argento ad opera conclusa, non presenta più le sue sembianze originali, mentre nei grandi maestri dell’Arte Povera la materia (juta, cotone, legno) conserva, al termine della composizione, nel quadro o nell’installazione, la sua fisionomia originale. Marbel dimostra, al contrario, che è possibile realizzare una trasformazione estranea rispetto allo strumento originale, muovendosi fuori dalla logica razionale e preservando un’etica sociale e ambientale.

    Le opere di Marbel attingono al fenomenico e alla dimensione dell’astrazione, esprimono immagini suggestive, non riconducibili direttamente al concept visibile della realtà-mondo, ma permettono l’emersione di un nuovo alfabeto delle emozioni, dove luce, forma, fenomeno e archetipi antichi si alternano e si rincorrono sul curvilineo infinito della sperimentazione artistica.

    Ricerca libera e cultura moderna
    di Achille Pace

    La necessità di ricorrere alla materia nell’opera d’arte interviene nel momento di svolta del processo della nostra arte contemporanea. E’ la materia che ha interpretato i termini della nostra condizione esistenziale. La materia come mezzo rappresenta lo spirito dell’artista nell’unità fra segno e materia, gesto e azione, ma diventa anche poetica della sua ricerca.
    In Burri e Fontana non c’era segno ma azione. Il compito di Burri era recuperare materie indegne-povere, per portarle a livello creativo: nobilitare il sacco a idea creativa, poetica. Marbel fa un’operazione dai medesimi presupposti da molti anni con esiti entusiasmanti. Il procedimento della sua ricerca le consente di trasformare la materia dal suo stato naturale, da foglio di carta levigato, a una superficie che giunge ad assumere talvolta la parvenza di un arabesco. L’uso della carta argento arriva a un’ esplosione di luce che invade completamente il campo, arricchisce l’opera di sfaccettature luminose e di presenze segniche in ogni parte del campo. Notevoli e imprevedibili sono le immagini che scaturiscono dal lavoro dove luce e segno risultano dominanti. Allo sguardo appaiono luce, segno e materia. Una materia trasformata col fine di nobilitarla e farla diventare arte. Quello che più colpisce è la luce.
    In Burri non era la luce l’elemento più importante, ma il fine era identico, perché anche lui utilizzava materia vile per farla diventare materia d’arte.
    Nelle opere di Marbel, oltre alla presenza dirompente della luce. c’è l’impronta di Burri e Fontana, ma poi ha seguito una ricerca autonoma. Il lavoro che porta avanti è molto interessante. L’arte moderna ha posto frontalmente l’ “essere“ come coscienza, pensiero, storia e la “materia “ come mezzo per esprimere l’essere.
    L’operazione di Marbel si colloca dopo Fontana, Burri, Capogrossi. Anche Fontana dovette usare tutto il suo coraggio per presentarsi al pubblico. Quando ha fatto i primi tagli, ha dovuto lottare per farli capire, ma, poi, il suo gesto è diventato gesto esistenziale, processo storico. Ha portato avanti una poetica di ricerca “libera“, il pregio della cultura moderna.
    Osservare i lavori di Marbel significa prendere atto, dopo le esperienze del passato, che in essi è presente un processo evolutivo della povertà e semplicità dei mezzi e un’evidente spontaneità dell’azione. I suoi quadri danno un senso di liberazione dall’angoscia, dal personale “muro “ della cultura dell’angoscia. Mai c’è stata un’epoca sofferente culturalmente come quella attuale. A differenza del passato, il pensiero moderno non è solo bisogno di libertà, perché l’artista ha capito che l’ ”essere” è legato alla materia che lo identifica. I lavori di Marbel sono il simbolo di che cosa sia il lavoro umano sulla materia, sono il “simbolo” del nostro tempo. Oltre alla luce, al segno, all’ immagine, conferisce alle sue opere l’armonia necessaria a catalogarle come opere d’arte .
    Le opere sono principalmente l’esito di un “fenomeno “ con la doppia valenza di fenomenologia della casualità e dell’ “essere” che non può essere progettata e nello stesso tempo è luce. La “materia Marbel” riassume tutte le problematiche del nostro tempo: spontaneità, casualità, evento, fenomeno: presupposti questi che abbracciano le istanze dell’ informale nel rapporto tra la materia e l’azione.
    Nelle opere non c’è progetto, ma l’idea. I lavori si distinguono dai sacchi e dai tagli dei maestri, ma la fenomenologia esistenziale è quella, forse con una materia più distinta.
    Quando Burri e Fontana realizzavano le loro opere, speravano sempre che ci fosse un di più . Quel di più che invece ci offrono le opere di Marbel dal punto di vista di libertà e di azione creativa.
    Gli artisti che ho citato erano legati alla mano, alla mano che deve fare un buco o un taglio: queste opere di Marbel non richiedono l’intervento della mano ma solo un abbandono alla fenomenologia dell’esistenza, che si riverbera principalmente sulla sensibilità della materia. Le lacerazioni che spesso emergono nella superficie dell’opera altro non sono che pause esistenziali, come freno alla fenomenologia della luce.
    Giulio Turcato, mi diceva sempre: Quello che conta è l’armonia. E’ l’armonia che fa l’opera d’arte!
    E, nelle opere di Marbel, l’armonia certamente non manca!

    Il viaggio di Marbel
    di Francesco G. Nuvolari

    L’artista Marbel per le sue opere usa dei fogli di carta argentata con la quale crea dei rilievi plastici dal disegno sempre complesso e informale. Il risultato finale è la trasposizione di un’altra impronta che possiamo solo immaginare ma non sempre identificare. Il suo modus operandi ricorda il lavoro dell’archeologo che passa la punta di grafite sulla carta velina stesa sopra le incisioni di Valcamonica. Ciò che vediamo dunque è quel che resta di una piccola parte di mondo, un frammento, una testimonianza di un qualcosa che forse non esiste più. Su questa base o crosta poi interviene, ma non sempre, con delle lacerazioni, tagli che lasciano intravedere un magma solido ma ancora vivo di colore rosso. Il risultato finale è inquietante, ma nello stesso tempo coinvolgente perché sembra rappresentare la nostra Terra ferita quando su di essa ogni forma di vita sarà scomparsa. La superficie specchiante lunare dell’argento così increspata e manipolata cattura poi la luce e genera un gioco mutevole di rifrangenze che si fondono con la proiezione deformata dei volti degli osservatori che interagiscono con l’opera stessa. Ne risultano immagini in movimento che scivolano sulla superficie corrugata paragonabili all’ombra proiettata sulla Terra dalle nuvole che corrono veloci in cielo.
    Sostituire i tradizionali colori con della superficie lucida come l’acciaio inox, lo specchio o come nel nostro caso con della carta argentata, per creare poi delle opere d’arte rifrangenti, è una prassi che troviamo in altri artisti.
    Il primo che vorrei citare è Attilio Pierelli, che iniziò a studiare lo spazio relativo alla quarta dimensione geometrica a partire dagli anni Cinquanta realizzando delle superfici non euclidee, concave e convesse, quasi sempre in acciaio inox lucidato a specchio. Opere piccole e grandi che riflettevano, dilatavano, deformavano con ironia la realtà circostante.
    Oggetti o esseri umani, “rappresentati e rappresentabili”, li ritroviamo riflessi anche negli specchi di Michelangelo Pistoletto creati all’inizio della sua carriera artistica. Nel 1961 realizzò prima dei dipinti su fondo nero riflettente intitolati Il presente e dopo degli acrilici su lastre in alluminio applicate sulla tela, Uomo grigio di schiena. Successivamente individuò nell’acciaio lucidato a specchio il materiale perfetto su cui applicare foto o gelatine fotografiche. Nel 1962 iniziò a produrre i suoi quadri specchianti che l’avrebbero reso famoso in tutto il mondo. Opere nate per includere nel tempo generazioni umane e lo spazio a loro contemporaneo per creare una sorta di “autoritratto del mondo” in continuo divenire. Il mondo concettuale di Pistoletto emerse con potenza quando il critico e il gallerista iniziarono a “riflettere”, a loro volta, sull’influenza reciproca e continua esercitata dagli oggetti, dagli spettatori e dallo spazio che si specchiavano e ancora si specchiano in ogni sua singola opera.
    Le superfici curve e riflettenti hanno affascinato e stregato un altro artista, Anish Kapoor. La Cloud Gate – Porta delle Nuvole, formata da 168 pannelli di acciaio inossidabile saldati insieme e collocata nel centro della AT&T Plaza nel Millennium Park, a Chicago, con le sue dimensioni 10 m × 20 m × 13 m è diventata dal 15 maggio 2006 uno dei simboli della città americana . Le sue installazioni, tutte in acciaio inox, riflettono deformati qualsiasi cosa o essere vivente sottolineando i mutamenti cromatici dei giorni e il passare delle stagioni. Esistono in quanto sono a loro volta delle opere che hanno una specifica corporeità, ma nello stesso tempo si annullano riflettendo, come ad esempio i vari Sky Mirror da lui creati, tutto ciò che ruota attorno ad esse.
    Esistere solo per continuare a riflettere ciò che non si è: una frase che sembra rappresentare perfettamente la nostra società. E per continuare a vivere in un mondo dalle centomila apparenze (come Vitangelo Moscarda in “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello) scopriamo alla fine di non essere più in grado di riconoscerci di fronte alla nostra immagine riflessa dallo specchio. Per scoprire infine che la nostra identità si è trasformata nelle infinite immagini riflesse dalle superfici increspate che troviamo nelle opere di Marbel. Immagini rese ormai irriconoscibili perché non riescono più a rappresentare la nostra essenza autentica e originale. Ecco allora che la superficie della sua opera diventa un’allegoria del nostro sistema sociale e ciò che riflette è l’immagine del nostro doppio. Dalle fenditure, dai tagli scopriamo però che sotto scorre ancora un’energia vitale, rossa come il nostro sangue, che può impedirci di rinunciare alla nostra identità e di abbandonarci al lento e passivo fluire della vita.
    Luce e segno risultano dominanti anche nelle opere dello scultore libanese Helidon Xhixha realizzate in acciaio inox lucidato. Oggetti riflettenti come le opere di Pierelli e di Kapoor che di continuo si modificano e relazionano con lo spazio al mutare della luce.
    Le opere che più si avvicinano però a quelle di Marbel sono i grandi pannelli plastici della serie Rifrangenze di Lello Ronca realizzati a partire dal 2010. Solo la differente scala sembra connotarle: piccola e calligrafica quella di Marbel, spesso imponente e invasiva quella dell’artista salernitano. Anche il processo creativo risulta diverso: Ronca lavora le lastre in acciaio inox col fuoco per poterle poi rimodellare mentre per l’artista veronese queste diventano fragili fogli modellati su matrici o altri differenti supporti su cui intervenire in seguito.
    Le opere di Ronca, per via delle ampie superfici riflettenti, hanno il potere di deformare le figure umane che stanno di fronte e di colorarsi con i loro vestiti mentre si muovono intorno ad esse. Riflessione, rifrazione e distorsione concava e convessa dell’immagine che viene poi ricreata dall’osservatore quando interagisce con l’opera stessa spostando di continuo il suo punto di osservazione.
    Quelle di Marbel per le ridotte dimensioni riescono invece ad assorbire solo frammenti della realtà circostante, e con essi prendono vita brevi racconti di un piccolo mondo che sembra emerso da una magica e irreale atmosfera. Tale visione ci persuade così a iniziare un viaggio immaginario da fare però con un altro passo sulle strade che già conosciamo per tornare a guardare di nuovo il mondo come se fosse la prima volta.

    Più informazioni su

      Commenti

      Translate »