LETTERA POSTUMA A FLAVIO GIOIA di Giuseppe Liuccio

Caro Flavio Gioia,

Ti conobbi per la prima volta sui banchi di scuola. Fuoriuscisti per incanto dalle pagine del vecchio sillabario di quinta elementare, evocato anche dalla maestra nel linguaggio da elogio/panegirico, che risentiva ancora della retorica fascista della “italianità”, al di là dei tuoi meriti indiscussi. Guardai a lungo la foto del tuo monumento,e ne rimasi incantato. Seppi solo dopo, molto dopo, che la scultura di bronzo era opera del maestro cavese Alfonso Balzico, che “zitto, zitto, tranquillo, tranquillo, ne modellò la statua nel suo studio di Santa Susanna in Roma. Il Flavio Gioia, con il suo abito marinaresco del ‘300, fissa l’occhio sulla scatoletta della bussola e con il dito della mano destra segue la direzione dell’ago. Sul volto maschio è come l’accenno di un sorriso e nell’occhio malizioso brilla il pensiero dell’uomo, che dice allo strumento:te l’ho fatta!”: Così scriveva il 12 agosto  1892 la rivista “Il torneo”.La statua fu acquistata, dopo peripezie varie, dalla ciità di Amalfi. L’inaugurazione del monumento avvenne nel 1926 in Piazza Duomo. Era, invece, già nella spianata a margine di mare, quando, in una giornata luminosa di sole, caleidoscopica di colori e intensa di profumi  visitai per la prima volta Amalfi in una indimenticabile, eccitante e movimentata  gita scolatica. Fu amore a prima vista per una città che in seguito mi avrebbe segnato la vita. Ricordo che rimasi a lungo a fissare la tua statua. E forse fui ferito nel profondo dall’emozione, che, successivamente,nella maturità avrei trasferito nella corposità della parola poetica  “Sullo spiazzale aperto all’Oriente/superbo nella barba Flavio Gioia/racconta di viaggi, aghi e stelle”.

Intuii, fin da allora, che Amalfi è città di terra e di mare, di vento e d’acqua nel paziente lavorio dei secoli a scolpire scogli e a perforare rocce, per sigillare nel cuore delle grotte storia e storie di mercanti e corsari, naviganti e pescatori, santi protettori e turchi infedeli. E in seguito, per amore di ricerca e dovere di ufficio e funzione, ne scoprii  i percorsi in letture di saggi ponderosi e rigorosi che indagavano su secoli scanditi da eventi memorabili.E mi convinsi che le più belle pagine della sua storia Amalfi le ha scritte sul mare.E, nelle visite frequenti agli Arsenali della Repubblica, chiudevo gli occhi, sbrigliavo la fantasia e le volte a lamia dello straordinario monumento rimbombavano del lavoro sapiente di carpentieri e calatafari che si davano la voce a sagomare stive e scafi, a lisciare alberi maestri e a pregustare feste di vari arditi sotto l’occhio vigile dell’armatore signore dei mari.E pensavo: é fatta di partenze e di approdi la storia di Amalfi sul mare. E mi figuravo gli eventi più significativi: Partirono cavalieri e mercanti, a difesa della fede i primi, a conquista di fodachi i secondi, ad orgoglio di protagonismi entrambi. Approdarono viaggiatori colti e carovanieri del mare, “curiosi” di civiltà i primi, avidi di affari i secondi,ospiti incantati entrambi.  Partì il cardinale Pietro Capuano ad intrecciare reti feconde di diplomazia. Approdò con la processione festrante di imbarcazioni a scortare le reliquie del Santo Patrono. Partirono i crociati, con Fra’ Gerardo Sasso Cavaliere, a difesa del Santo Sepolcro. Approdò Ariodeno Barbarossa, corsaro truce, con fame di bottino, risospinto al largo dal mare imbufalito, su miracolosa disposizione di Sant’Andrea.Mi bastarono questi pochi ma significativi esempi, mio caro Flavio Gioia, per capire che Amalfi e il mare erano e sono un unicum indissolubile per mito, leggenda, storia,lavoro, usi, costumi, abitudini di vita e che per la città il mare è un forte ed insostituibile marcatore di identità. Lo è di sicuro per quel libro pietrificato della costa, le cui pagine spigolose nascondono ed insieme disvelano anse e cale, che accendono, nella gloria della luce, falesie ambrate arabescate dal verde della macchia mediterranea e con in cima il miracolo dei limoneti a volo d’abisso.E di prestigiosa storia di mare è testimoniannza in Piazza Municipio il Monumento ai Caduti con bene in vista una grossa ancora, delle catene ed un cannone appartenuti all’incrociatore “Amalfi” affondato nelle acque dell’Adriatico., durante la Seconda Guerra Mondiale. Su, nel salone del Museo Civico se ne conserva anche la bandiera di combattimento  e la “bussola”.Ma sono  anche esposti in bella vista mappamondi, volte celesti e sestanti provenienti dalla antica Scuola Nautica. E qui più che mai  il pensiero vola a Te, anche per quel bel ritratto in cui l’autore Antonio Rocco ti ha rappresentato nelle sembianze di un Galileo ante litteram, come mitico inventore della “bussola”, appunto..

Mi sollecitò e solleticò la curiosità su ti Te l’amico professore Aniello Apuzzo che , nei lontani anni ’60 mi fece omaggio, di un suo interessante saggio che indagava sulla tua personalità storica. E sì, perchè nel corso dei secoli, a più riprese molti  si sono preoccupati di demolire la tua immagine, negandone addirittura l’esistenza, sulla falsariga dell’interpretazione di un errore di trascrizione del dotto umanista Flavio Biondo.Dopo averti ridimensionato ed immiserito  a poco più che un fantasma, partorito dalla  fantasia di storici locali infatuati dall’orgoglio di appartenenza,traballò anche la veridicità della notizia dell’Origine Amalfitana della bussola.  . E si diede la stura a ricerche, studi e saggi storici in cui si soteneva che il noto strumento di navigazione  fosse nato in Cina e giunto in Occidente tramite gli Arabi e che Marco Polo narrava di aver visto presso la corte del Gran Kan un grosso ago magnetico trasportato su di un carro.. Fu forte ed altrettanto documentata la reazione di altri storici non meno rigorosi negli studi a sostegno della invenzione che risaliva a Te  e ne fissarono addirittura la data al 1302.

E la vexata quaestio, come direbbbero gli studiosi non si è del tutto risolta e, di tanto in tanto, si riaccende con rinnovato vigore tra opposte schiere di ricercatori.Io non sono uno storico e non ho la benchè minima autorità per una riflessione credibile sul tema.Ma non mi sottraggo ad un parere dettato più da amore ed orgoglio di identità e di appartenenza che da rigore di ricerca, appunto.

Marinai Amalfitani che conoscevano bene porti ed approdi del Mediterraneo, come testimoniano le pagine della storia dell’Antica Repubblica e che disponevano di una flotta potente  nelle rotte tra Oriente ed Occidente nei traffici e nei commerci certamente, ma anche nelle battaglie per estendere e consolidare la supremazia sui mari, di sicuro erano esperti di navigazione e, quanto meno, ne perfezionarono gli strumenti di orientamento, la bussola innanzitutto, per renderla più sicura, così come ne scrissero e ne codificarono le leggi, come testimonia senza ombra di dubbio  la “Tabula de Amalpha”, gloria e vanto dei nostri padri giuristi. E, di sicuro, lo fecero tenendo alto il tuo nome ed esaltandone orgogliosamente

l’eredità

Storicamente è poi accertato che ad Amalfi e nella sua Costa, già nel Medioevo era diffuso il cognome GIOIA. I Positanesi ve vanno fieri, tanto da ritenerti  loro concittadino come vanta una lapide murata nella  Torre Campanaria.

Se così è, ed è così, possiamo di sicuro affermare, allora, che quanto meno gli Amalfitani perfezionarono l’uso della bussola, il cui merito è da attribuire ad un certo Flavio Gioia, che, anche se storicamente non è esistito (scusami il dubbio) resta un simbolo di memoria identitaria collettiva della ingegnosità e della intraprendenza dei naviganti/marinai della costa, una sorta di MITO della marineria e della navigazione amalfitna,  come lo fu Omero per  per la poesia epica presso i Greci.

Ed è per questo, caro Flavio Gioia, che io continuo a riconoscermi, con orgoglio, nel verso del Panormita: “Prima dedit nautis usum magnetia  Amalphis“.E credo che come me lo facciano tutti i cittadini di Amalfi e della sua Costa.

Se mai…c’è il giustificato ramarico che una città che ha vissuto con il mare, sul mare e per il mare e che è conosciuta in tutto il mondo come la “Prima Repubblica Marinara”  non abbia un Museo del mare, capace di raccogliere testimonianze significative della propria storia, ma anche esemplificazioni viventi dell’habitat marino, nella ricchezza e varietà della flora e della fauna: una scheggia, cioè, di esaltante amalfitanità nella più ampia cornice della mediterraneità, oltre che uno strumento di qualificazione dell’offerta turistica ed una opportunità di lavoro in più per giovani innamorati ed orgogliosi della propria identità..

Scusami, caro Flavio , della lunghezza della lettera, giustificata sia da quel che hai significato e significhi tu nell’immaginario collettivo non solo di Amalfi e Costiera ma del mondo intero e sia anche per l’importanza che ha avuto, ha ed avrà per la tua città, che è un poco anche mia, una Politica del mare e per il mare.

Con  affetto devoto, tuo

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