Napoli, morte di Cristina Alongi l’accusa chiede condanna per vigile del fuoco e polizia municipale

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Per la morte di Cristina Alongi, la giovane mamma schiacciata dal pino che si piegò su via Aniello Falcone la mattina del 10 giugno 2013, l’accusa torna a chiedere la condanna per il vigile del fuoco e l’agente della polizia municipale che erano stati assolti in primo grado, e propone una pena più severa, non solo per omicidio colposo ma anche per l’ipotesi di disastro colposo, per l’agronoma del Comune di Napoli, unica condannata nel primo processo.
Prima sezione della Corte d’appello, presidente Romano: è il pg Iadanza a formulare le richieste nei confronti del pompiere Tiziano Fucci, del vigile urbano Marino Reccia e dell’agronoma Cinzia Piccioni. Due anni di reclusione, con la pena sospesa, è la richiesta di condanna per ciascuno dei tre imputati. Omicidio colposo e disastro colposo, le accuse riproposte nel secondo grado sostenendo l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta degli imputati e la drammatica morte di Cristina. Si parte da un ragionamento: quella tragedia si sarebbe potuta evitare. Il pino marittimo dei giardinetti di via Aniello Falcone aveva un ramo particolarmente folto che inquietava i residenti. Il 23 maggio 2013, circa due settimane prima della tragedia, il titolare di un bar della zona telefonò al numero di emergenza dei vigili del fuoco segnalando le condizioni della pianta che, dopo giorni di maltempo, appariva inclinata su stessa e accennava segni di frattura, per chiedere una verifica. Ad aprile 2013 era risultata la presenza della funzionaria agronoma del Comune nell’area dove c’era il pino pericolante. La difesa della professionista ha sempre sostenuto che non si trattò di un sopralluogo ma soltanto di un passaggio per raggiungere i tecnici che lavoravano alla Floridiana, senza eseguire controlli e verifiche su quel pino. Per l’accusa, invece, l’esperta avrebbe dovuto notare le condizioni della pianta e disporre un intervento di messa in sicurezza. In primo grado, Cinzia Piccioni fu condannata a un anno e quattro mesi per il solo omicidio colposo. In Appello il pg ha chiesto di innalzare la pena, seppure sospesa, a due anni considerando anche il reato di disastro colposo. E ha chiesto la condanna anche dei vigili Fucci e Reccia, in primo grado assolti perché, a parere del giudice e dei loro difensori, non sarebbe risultato provato il legame di causalità tra il tragico evento e la loro condotta: i due imputati avevano sostenuto di aver applicato una prassi ritenuta legittima, il pompiere passando ai vigili urbani la segnalazione fatta dal barista e l’agente della municipale di turno nella sala operativa trascrivendo la nota per consegnarla ai colleghi, come previsto dalla procedura stabilita per la gestione delle segnalazioni di allarme fatte dai cittadini.
Ora, nel processo di secondo grado, le loro condotte sono tornate sotto i riflettori. Il dibattimento, nel processo d’appello, è stato parzialmente rinnovato, proprio per approfondire i passaggi su procedura e prassi seguite nella sala operativa dei vigili urbani. È stato risentito anche l’imputato Reccia. Per l’accusa, lui e l’imputato Fucci avrebbero dovuto evidenziare l’importanza della segnalazione del barista in modo che fosse seguito un sopralluogo. Cristina Alongi aveva 44 anni. Morì soffocata dai rami del pino marittimo che invasero l’abitacolo dell’auto che guidava dopo aver accompagnato la figlioletta a scuola. L’albero, che sorgeva nei giardinetti di via Aniello Falcone all’altezza di piazzetta Taranto, si spezzò in due. Per la donna non ci fu nulla da fare. Subito si scoprì che un paio di settimane prima c’era stata la telefonata del barista al centralino dei vigili del fuoco. Agli atti del processo, in primo grado, finì l’audio di quella telefonata, oltre all’audio del colloquio telefonico tra vigili del fuoco e agenti della municipale. Dalle indagini emerse che le potature sul pino crollato risultavano documentate fino al 2005. Da una nota stampa inviata da Palazzo San Giacomo all’indomani della tragedia si apprese che l’ultima verifica sul pino crollato risaliva al mese di maggio 2013 e confermava lo stato di salute della pianta. Nella sentenza di primo grado, firmata dal giudice Nicola Miraglia del Giudice, si evidenziò la competenza del Comune per la cura delle alberature in città. Di qui la condanna della funzionaria responsabile del servizio giardini, per la quale il giudice nel primo processo condivise la tesi della pubblica accusa, rappresentata dal pm Sergio Amato. Diverso il discorso per il vigile del fuoco e per l’agente della municipale. Secondo il giudice del primo grado, «anche se avessero inviato un’autovettura o costretto i colleghi a inviare una pattuglia a controllare l’albero, non il giorno in cui è caduto ma 15 giorni prima (a quando cioè risale la telefonata al centralino per segnalare il pericolo, ndr) non è detto che l’evento non si sarebbe verificato». Di qui il ricorso della Procura contro l’assoluzione e i motivi di appello condivisi dal sostituto procuratore Iadanza che ha chiesto la condanna anche per Reccia e Fucci. Ora la parola passa alla difesa: nel collegio gli avvocati Diomede Gersone, Giuseppe Landolfo, Fabrizio Chianese. Il marito e i fratelli di Cristina Alongi, rappresentati dagli avvocati Eugenio Baffi e Maurizio Sica, sono parte civile nel processo. La sentenza è prevista per il cinque luglio. Viviana Lanza , Il Mattino

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