E’ giusto contestare De Laurentiis?

I DIECI COLPI PIù SIGNIFICATIVI DEL MERCATO DI DE LAURENTIIS

Lavezzi Nel 2007 dal San Lorenzo (Argentina) per 6 milioni. Al Napoli fino al 2012, poi al Paris Saint Germain

Hamsik Nel 2007 dal Brescia per 5,5 milioni E’ all’11ª stagione con la maglia azzurra

Quagliarella Nel 2009 dall’Udinese per 18 milioni. Al Napoli fino al 2011 poi alla Juventus

Cavani Nel 2010, dal Palermo, per 17 milioni. Al Napoli fino al 2013, poi al Paris Saint Germain.

Ghoulam Nel 2014 (a gennaio) dal Saint Etienne per 5,5 milioni. E’ alla quinta stagione con la maglia azzurra.

Callejon Nel 2013, dal Real Madrid, per 8,8 milioni. E’ alla quinta stagione con la maglia azzurra.

Higuain Nel 2013, dal Real Madrid, per 38 milioni. Al Napoli fino al 2016 poi alla Juventus.

Milik Nel 2016, dall’Ajax, per 33 milioni. E’ alla seconda stagione con la maglia azzurra.

Koulibaly Nel 2014, dal Genk, per 7 milioni. E’ alla quarta stagione con la maglia azzurra.

Mertens Nel 2013, dal Psv Eindhoven, per 10 milioni. E’ alla quinta stagione con la maglia azzurra.

Eppure è stato un sogno: ma mentre l’eco assordante travolge il San Paolo, e ciò che resta della Grande Bellezza è una ruga nell’anima, la domanda che s’insegue spontanea, tra i rivoli del risentimento popolare del San Paolo, rimane senza risposte. In quel pallone ormai sgonfio, bucato con uno spillino, nasce e s’annida un livore radicato, la distanza – siderale? – tra due fette dello stadio e Aurelio De Laurentiis, separati sin quasi dalla nascita (l’estate del 2004) da ragioni varie e diverse tra loro, persino incuranti d’un ruolo ormai centrale all’interno del calcio (in Italia), d’un progresso indiscutibile a livello internazionale, di una autorevolezza tecnica e spettacolare che appartiene al Progetto, che comunque viene contestato nelle sue forme.

IDENTITA’. Il football è «lecitamente» irragionevole nelle proprie manifestazioni affettive, ispirate da ragionamenti di pancia, dal desiderio assoluto di primeggiare – ognuno per quel che può – dalla ossessione di restare aggrappati all’emozioni del successo, che dà gratificazioni, si direbbe pienezza. E sa di estremo paradosso il clima d’ostilità per un club – o forse per il suo legittimo proprietario – che chiude di nuovo al secondo posto (e per la terza volta negli ultimi cinque anni), che ha intravisto (e da vicinissimo) lo scudetto, che atterra ancora in Champions League (è la quinta partecipazione), che ormai per la nona stagione consecutiva ha un appuntamento infrasettimanale europeo e che s’è rifatto la faccia anche economicamente, con un bilancio che permette di investire o tentare di farlo, però seguendo le proprie risorse.

INCOMUNICABILITà. Ma esiste un livello di incomunicabilità ch’è figlio di una freddezza complessiva, di un linguaggio di De Laurentiis strutturalmente complesso, incapace di scuotere le corde di una parte della gente, di una dialettica raramente suadente, si direbbe persino urticante all’interno di un rapporto di suo già frastagliato probabilmente a pelle o per motivi che possono sfuggire. Però quest’atmosfera avvelenata resta razionalmente misteriosa, è una frattura – quella di domenica al San Paolo – che va al di là dello schieramento per Sarri, è lo specchio di divergenze che appaiono profonde, di un’allergia verso una politica societaria ritenuta ignara dell’«identità», probabilmente d’una barriera che s’è trasformata in isolamento: di qua ci sono (innanzitutto) le curve e di là rimane De Laurentiis, con il suo eloquio bruciante, poco incline alla retorica o alle lusinghe, «politicamente» ruvido.

MERCATO. E produce anche irritazione, alle aree più severe del tifo, rievocare quel passato così recente e rovinoso, racchiuso nel Fallimento, nella distruzione totale del club, nella sua difficoltosa rielaborazione: dal deserto, rapidamente, è rinata una Storia ed è stato ricostruita un’Idea di calcio con gli Hamsik e i Lavezzi, i Cavani e gli Higuain, gli Insigne e gli Albiol; ma le omissioni – il mercato invernale di due anni fa, quello poco incisivo dell’estate scorsa – hanno costituito un ulteriore elemento lacerante, lo strappo di quest’ultima fase che ha eretto una barriera o fors’anche il deterioramento d’un rapporto mai completamente formatosi, neanche nelle stagioni del rilancio immediato, della riconquista della serie A.

AUTORITA’. I novant’anni del Napoli sono sinteticamente elettrizzanti nell’era Maradona, in quel fascio di luce in cui brillano le gioie degli scudetti e delle Coppe, l’allegria solenne di una città, divenuta padrona e dominatrice; poi c’è questa epoca, luminosa per la capacità di impossessarsi d’un palcoscenico e di viverlo da protagonista, pur nel malinconico epilogo di questo finale di stagione, del quale il Napoli è stato prim’attore. C’è comunque un ambiente «alterato» in alcune sue divagazioni (il «papponismo», termine sgradevole, è una sorta di corrente di pensiero, a Napoli, e sa quasi di senso di appartenenza), sulle quali è naturale fermarsi a riflettere, per analizzarne le cause e i motivi, non per cercarne inutilmente le radici, diffuse nelle visioni più personali del calcio.

INSOFFERENZA. C’è un’insofferenza di massa che va oltre le ragioni del cuore, delle legittime ed esasperate ambizioni e che sono esplose, tutte assieme e rumorosamente, quando ormai non erano raffigurate più speranze di scudetto all’orizzonte e che si erano già avvertite con il Chievo, quando a spegnerle fu poi la rimonta clamorosa, quel volano per il successo di Torino, per ridarsi un miraggio o una chance. Ma se le vittorie nascondono in sé una serie di genitori – in questo caso: la maestosità del calcio di Sarri, il talento dei singoli – le sconfitte portano in sé il codice genetico d’un solo padre, ed è Aurelio De Laurentiis. E’ incredibile ma vero accorgersi che a Napoli sembra quasi non ci sia un domani…
fonte:corrieredellosport

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