Giovanni Falcone ricordato con la nave della legalità

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    Giovanni Falcone ricordato con la nave della legalità . Purtroppo non c’eravamo, ma vogliamo ricordarlo riportando un articolo di Repubblica Palermo . Quando le lancette dell’orologio segnano le 17,58 – ora della strage di Capaci – gli studenti, i cittadini e i rappresentanti del mondo delle istituzioni (cinquemila, secondo la questura) sono arrivati da poco sotto l’albero di via Notarbartolo intitolato a Falcone. E scatta il minuto di silenzio in ricordo del magistrato ucciso 26 anni fa. “Giovanni e Paolo”, hanno urlato poco prima in coro gli oltre tremila studenti, scout e cittadini che da via D’Amelio si sono messi in cammino nell’anniversario della strage di Capaci. Ad aprire il corteo lo striscione “Insieme per non dimenticare”, dietro tanti palloncini tricolori. Un altro gruppo è partito dall’aula bunker del carcere Ucciardone e si riunirà con l’altro spezzone sotto l’albero Falcone in via Notarbartolo. Fra gli studenti per strada anche i mille giovani sbarcati stamane al porto di Palermo dalla Nave della legalità, salpati ieri sera da Civitavecchia per ricordare, nel giorno del ventiseiesimo anniversario della strage di Capaci, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Ad attenderli sul molo molti studenti delle scuole di Palermo, e, tra gli altri, il presidente della Camera, Roberto Fico, Maria Falcone, sorella di Giovanni e presidente della Fondazione Falcone, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm.

    In tutta Italia sono più di 70mila le ragazze e i ragazzi che partecipano alle iniziative di #PalermoChiamaItalia, promosse dal ministero dell’Istruzione e dalla Fondazione Falcone. Dopo l’arrivo nel porto di Palermo, le celebrazioni istituzionali si svolgeranno nell’aula bunker dell’Ucciardone, luogo simbolo del maxiprocesso a Cosa nostra. Ieri sera nel corso degli incontri con gli studenti sulla nave è intervenuta Claudia Loi, sorella dell’agente delle scorta Emanuela, che ha ribadito quanto siano importanti iniziative come queste a sostegno della legalità, cosicché non debba più essere necessario morire per difendere certi valori.

    I cortei: “La mafia uccide, il silenzio pure”. I due cortei si incroceranno sotto l’albero Falcone in via Notarbartolo. Qui alle 17 e 58, quando 26 anni fa si fermarono le lancette dell’orologio delle vittime della strage di Capaci, si terrà il minuto di silenzio e saranno letti i nomi di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Slogan contro la mafia e canzoni scandiscono il corteo. Ci sono le bandiere di Libera e gli studenti arrivati da tutta Italia con la nave della legalità arrivata a Palermo. Tra le lenzuola bianche che sventolano dai balconi dei palazzi, simbolo di lotta alla mafia dal 1992, i ragazzi marciano sulle note della colonna sonora del film “I cento passi” e su “Pensa” di Fabrizio Moro. Uno striscione viene issato in alto: “La mafia uccide, il silenzio pure”.

    Palermo, ore 17,58: il minuto di silenzio sotto l’albero Falcone

    Grasso: “Tanti misteri da chiarire”
    Anche l’ex presidente del Senato, Piero Grasso, ha spiegato come per lui ogni anno sia importante partecipare a questo evento. “E’ qualcosa – ha detto agli studenti – che fa parte della mia vita. Ho cominciato nel 2006 a partecipare e negli anni ho avuto il riscontro dell’importanza di questo evento. Sulle stragi di quegli anni – ha proseguito Grasso – ci sono tante cose che dobbiamo ancora accertare e tanti misteri su cui fare chiarezza. La storia dei nemici della mafia uccisi solo dalla mafia ha bisogno di altre importati acquisizioni. Sulle loro bare – ha aggiunto – abbiamo giurato che non ci fermeremo mai, finché non riusciremo a trovare la verità sulla loro morte e su quella stagione di stragi”.

    Fico: “La lotta alla mafia priorità dello Stato”
    “Ogni governo e ogni Parlamento  – ha detto Fico all’arrivo della Nave – devono avere come priorità la lotta alla mafia. Nel nostro Paese la mafia esiste e noi dobbiamo sconfiggerla definitivamente, sia con i provvedimenti antimafia che con gli investimenti nelle scuole per la formazione e l’educazione. La mafia non può durare in eterno”. “Questa mattina – ha aggiunto Fico – avverto una sensazione incredibile. Mi ricordo quel pomeriggio di tanti anni fa, avevo quasi 18 anni ed ero a casa quando mi arrivò la notizia dell’uccisione di Falcone e della sua scorta. Fu un momento che scosse l’Italia e mi ricordo che rimasi molto colpito. Il fatto che io sia in politica come terza carica dello Stato deriva anche dalla sensazione che provai in quel momento”.

    Anniversario Falcone, arriva la nave della legalità. Fico: “Lotta alla mafia prioritaria”

    Maria Falcone: “Non abbiamo ancora vinto”
    “Gli insegnanti ci permettono di far camminare le idee di Giovanni – ha detto Maria Falcone – sulle gambe di tanti giovani e ci danno la speranza che ce la possiamo fare. Non abbiamo ancora vinto le mafie. E le notizie degli ultimi giorni ci danno la consapevolezza che esiste una mafia silente. Vogliamo continuare a coltivare la speranza”.

    Orlando: “Palermo è cambiata”
    “Palermo è cambiata  – ha detto il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando – e affermarlo è un modo per dire grazie a quanti hanno sacrificato la loro vita. Ma deve continuare a cambiare perché non ritorni il governo della mafia che vuole condannarci a un eterno presente, mentre noi vogliamo essere legati al nostro passato e progettare con speranza il nostro futuro”.

    Legnini: “Sostegno ai magistrati”
    “In questi anni è stato fatto un lavoro rilevantissimo, accertando una parte di verità sulle stragi”, ha detto il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini parlando con i giornalisti prima dell’inizio della manifestazione. “L’impegno di ciascuno dei magistrati e degli uffici è cresciuto su vari temi, dalle misure di prevenzione alle baby gang. Bisogna tenere alta l’attenzione ed esprimere sostegno a magistrati e forze dell’ordine”.

    Il procuratore nazionale Cafiero: “I partiti dimenticano l’antimafia”
    “Vorrei che si verificasse per bene il contenuto; la certezza è che fino a oggi, anche dal punto di vista politico nell’ambito della campagne elettorali, non si è tenuto in alcun conto della priorità mafia. E questo è un discorso che non deve essere richiamato soltanto quando c’è una commemorazione come questa”. Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho al suo arrivo nell’aula bunker, sul contratto di governo tra Lega e M5S rispetto ai temi della giustizia e della lotta alla mafia. “E’ un tema – aggiunge – sul quale occorrerebbe la massima sensibilità da parte di tutti, innanzitutto della politica, che possa stare al fianco di tutti coloro che svolgono un’attività diretta di contrasto ma sostenerla anche nell’ambito delle proiezioni programmatiche”.

    Falcone, il procuratore nazionale Cafiero: “I partiti dimenticano l’antimafia”

    Il ministro Orlando: “Quella di oggi non è una passerella”
    “È un dovere istituzionale e civico ricordare chi è caduto per il nostro Paese, dunque non è una passerella quella di oggi. Ci sono state tante passerelle da parte di chi con i galloni antimafia ha fatti i propri interessi personali”. Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando alla cerimonia per la strage di Capaci nell’aula bunker dell’Ucciardone. “Nessuno nega più l’esistenza della mafia, ma il rischio che vedo oggi è una sottovalutazione del fenomeno, soprattutto se guardo alla discussione politica e alla campagna elettorale che ha preceduto le elezioni”.

    Il governatore Musumeci: “L’antimafia va testimoniata ogni giorno”
    “Quando arriva la magistratura prima della politica vuol dire che il danno è già fatto”. Il giudizio del presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, a margine della giornata per Falcone, esprime la preoccupazione che “la bandiera dell’antimafia possa essere ammainata, e sarebbe una grande delusione”. “Sono per vocazione garantita, è quindi per una valutazione complessiva bisogna aspettare che la giustizia faccia il suo corso. A noi compete però il dovere di vivere ogni giorno la tensione del 23 maggio. L’antimafia va testimoniata e interpretata in ogni occasione. E questo vale per tutti ma per chi ha ruoli pubblici in modo particolare”.

    La ministra Fedeli: “Distrugge vita e dignità, servono anticorpi”
    “Fare questo viaggio con la Nave della Legalità è anche motivo di confronto per gli studenti con dei testimoni dell’epoca, con chi ha vissuto quella fase, a partire dai familiari e dai magistrati. Memoria attiva significa costruire tutti gli anticorpi che poi rimangono nella vita di tutti i giorni. Educare al rispetto della legalità, questo è il concetto: la mafia infatti distrugge la vita e la dignità. Stiamo facendo un lavoro importante”. Lo ha detto la ministra della Pubblica istruzione, Valeria Fedeli, prendendo la parola dal palco dell’aula bunker.

    Il capo del Dap Santi Consolo: ” Bisogna capire quali sono complicità nella mafia”
    “Molte vicende attuali, recenti necessitano di una risposta. Bisogna saperle leggere e bisogna, con coraggio, dire quali sono le complicità. Forse noi siamo troppo con la testa girata al passato e non sappiamo leggere presente”. Lo ha detto il capo del Dap, Santi Consolo, all’aula bunker del carcere Ucciardone. “Non so se manca il coraggio – ha proseguito – ma chiarezza ne vedo poca”.

    Il presidente della corte del maxiprocesso, Giordano: “Si credeva che la mafia non potesse essere giudicata”
    Dopo 32 anni il presidente della corte del maxiprocesso alla mafia,  Alfonso Giordano è tornato nell’aula bunker in cui è stata giudicata Cosa nostra. In un video proiettato durante la giornata della memoria per la strage di Capaci il presidente Giordano dice: “Ricordo ancora tutti quei giorni passati qui in attesa della conclusione di un processo che sembrava lontano da ogni possibilità umana. Fino a quel momento si credeva che la mafia non potesse essere giudicata”. Come vuole essere ricordato Giordano? “In un solo modo – risponde – e cioè come colui che ha gestito il processo con compostezza e in pace con la propria coscienza”.

    Ayala: “Giovanni e Francesca mi hanno cambiato la vita”
    “Con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo avevo un legame decennale, finito il 23 maggio 1992 ma che probabilmente sarebbe continuato. Con loro mi è cambiata la vita due volte: quando abbiamo iniziato a lavorare insieme e dopo la loro morte. Francesca e Giovanni continuano a mancarmi ancora oggi”. Così Giuseppe Ayala, ex magistrato della Procura palermitana e componente dello storico pool antimafia, ha ricordato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, anche lei giudice, nell’aula bunker.

    Il capo della polizia Gabrielli: “Prenderemo Messina Denaro”
    Prenderemo Mattero Messina Denaro”. Lo ha detto Franco Gabrielli, capo sella polizia di Stato, all’aula bunker. “Questi criminali non hanno deliberatamente deciso di insabbiarsi – ha spiegato – Lo Stato è riuscito a fargli cambiare strategia”.

    La vedova Montinaro: “L’antimafia parolaia danneggia quella vera”
    “Accanto

    alla finta antimafia c’è quella vera – dice Tina Montinaro, vedova di Antonio, uno degli agenti di scorta morti a Capaci – c’è tanta gente che lavora seriamente. L’antimafia parolaia danneggia quella vera, offende i nostri morti che hanno dato la vita per la vera antimafia. Voglio pensare che questa antimafia finta sia la parte più piccola, ma in ogni caso dobbiamo chiedere scusa ai nostri giovani che sono sempre più disorientati”

    Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio 1939. Dopo aver frequentato il Liceo classico “Umberto” compie una breve esperienza presso l’Accademia navale di Livorno. Decide di tornare nella città Natale per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza e consegue la laurea nel 1961.

    Dopo il concorso in magistratura, nel 1964 diviene pretore a Lentini per trasferirsi subito come sostituto procuratore a Trapani, dove rimane per circa dodici anni. E’ in questa sede che va progressivamente maturando l’inclinazione e l’attitudine verso il settore penale: come egli stesso ebbe a dire, “era la valutazione oggettiva dei fatti che mi affascinava“, nel contrasto con certi meccanismi “farraginosi e bizantini” particolarmente accentuati in campo civilistico.

    All’indomani del tragico attentato al giudice Cesare Terranova, avvenuto il 25 settembre 1979, Falcone comincia a lavorare a Palermo presso l’Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affida nel maggio 1980 le indagini contro Rosario Spatola, un processo che investiva anche la criminalità statunitense, e che vide il procuratore Gaetano Costa – ucciso nel giugno successivo – ostacolato da alcuni sostituti, al momento della firma di una lunga serie di ordini di cattura.

    Proprio in questa prima esperienza Giovanni Falcone avverte come nel perseguire i reati e le attività di ordine mafioso occorra avviare indagini patrimoniali e bancarie (anche oltre oceano), e come soprattutto occorra la ricostruzione di un quadro complessivo, una visione organica delle connessioni, la cui assenza in passato aveva provocato una “raffica di assoluzioni”.

    Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici, a capo del team di magistrati di cui fanno parte Falcone, Barrile e Paolo Borsellino, viene ucciso con la sua scorta in via Pipitone; lo sostituisce Antonino Caponnetto, il quale riprende l’intento di assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui delitti di mafia.

    Si costituisce quello che verrà chiamato “pool antimafia“, sul modello delle èquipes attive nel decennio precedente di fronte al fenomeno del terrorismo politico. Oltre lo stesso Falcone del gruppo facevano parte i giudici Di Lello e Guarnotta, e Paolo Borsellino, che aveva condotto l’inchiesta sull’omicidio del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, nel 1980.

    L’interrogatorio iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del “pentito” Tommaso Buscetta, è da considerarsi una vera e propria svolta per la conoscenza di determinati fatti di mafia e specialmente della struttura dell’organizzazione “Cosa nostra”.

    I funzionari di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, vengono uccisi nell’estate 1985. Si comincia a temere per l’incolumità dei due magistrati, i quali, per motivi di sicurezza, vengono trasferiti con le famiglie presso il carcere dell’Asinara.

    Attraverso questa serie di vicende drammatiche si giunge alla sentenza di condanna a Cosa nostra nel primo maxiprocesso (16 dicembre 1987) emessa dalla Corte di Assise di Palermo, presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentasei giorni di riunione in camera di consiglio. L’ordinanza di rinvio a giudizio per i 475 imputati era stata depositata dall’Ufficio istruzione agli inizi di novembre di due anni prima.

    Gli avvenimenti successivi risentono negativamente di tale successo. Nel gennaio il Consiglio superiore della magistratura preferisce il consigliere Antonino Meli a Falcone, a capo dell’Ufficio istruzione, in sostituzione di Caponnetto che aveva voluto lasciare l’incarico.

    Inoltre in seguito alle confessioni del “pentito” catanese Antonino Calderone, che avevano determinato una lunga serie di arresti (comunemente noti come “blitz delle Madonie”), il magistrato inquirente di Termini Imerese si ritiene incompetente, e trasmette gli atti all’Ufficio palermitano. Meli, in contrasto con i giudici del pool, rinvia le carte a Termini, in quanto i reati sarebbero stati commessi in quella giurisdizione. La Cassazione, allo scorcio del 1988, ratifica l’opinione del consigliere istruttore, negando la struttura unitaria e verticisti delle organizzazioni criminose, e affermando che queste, considerate nel loro complesso, sono dotate di “un’ampia sfera decisionale, operano in ambito territoriale diverso ed hanno preponderante diversificazione soggettiva”. Questa decisione sancisce giuridicamente la frantumazione delle indagini che l’esperienza di Palermo aveva inteso superare.

    Il 30 luglio Giovanni Falcone richiede di essere destinato a un altro ufficio. In autunno Meli gli rivolge l’accusa d’aver favorito in qualche modo il cavaliere del lavoro di Catania Carmelo Costanzo, e quindi scioglie il pool, come il giudice Paolo Borsellino aveva previsto fin dall’estate in un pubblico intervento, peraltro censurato dal CSM. I giudici Di Lello e Conte si dimettono per protesta.

    Su tutta questa vicenda nel giugno 1992, durante un dibattito promosso a Palermo dalla rivista “Micromega”, Borsellino ebbe a ricordare: “La protervia del consigliere istruttore Meli l’intervento nefasto della Corte di cassazione cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno”. Nonostante simili avvenimenti sempre nel corso del 1988, Falcone aveva realizzato una importante operazione in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata “Iron Tower“, grazie alla quale furono colpite le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.

    Il 20 giugno 1989 si verifica il fallito e oscuro attentato dell’Addaura presso Mondello a proposito del quale Falcone affermò “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”. Il periodo subito successivo segue con lo sconcertante episodio del cosiddetto “corvo”: alcune lettere anonime che accusano astiosamente Falcone e altri.

    Una settimana dopo l’attentato il CSM decide la nomina di Giovanni Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. Nel gennaio 1990 coordina un’inchiesta che porta all’arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che aveva preso l’avvio dalle confessioni del “pentito” Joe Cuffaro’ il quale aveva rivelato che il mercantile Big John, battente bandiera cilena, aveva scaricato nel gennaio 1988, 596 chili di cocaina al largo delle coste di Castellammare del Golfo.

    Nel corso dell’anno si sviluppa lo “scontro” con Leoluca Orlando, originato dall’incriminazione per calunnia nei confronti del “pentito” pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare europeo Salvo Lima. La polemica prosegue con il ben noto argomento delle “carte nei cassetti” che Falcone ritenne frutto di puro e semplice “cinismo politico”.

    Nel 1990 alle elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, Falcone è candidato per le liste “Movimento per la giustizia” e “Proposta 88” (nella circostanza collegate): l’esito sarà però negativo.

    Intanto si fanno più aspri i dissensi con l’allora procuratore Giammanco, sia sul piano valutativo, sia su quello etico, nella conduzione delle inchieste.

    Falcone accoglie l’invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto l’interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l’onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Si apre così dal marzo 1991 un periodo caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere più efficace l’azione della magistratura nella lotta contro il crimine.

    Falcone si impegna a portare a termine quanto ritiene condizione indispensabile del rinnovamento: la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure. Si poneva l’esigenza di un coordinamento di livello nazionale.

    Istituita nel novembre del 1991 la Direzione nazionale antimafia, sulle funzioni di questa il giudice si soffermò anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo 1992. “Io Credo – egli chiarì in tale circostanza, secondo un resoconto della seduta pubblicato dal settimanale “L’Espresso” (7 giugno 1992) – che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l’attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia“. La candidatura di Falcone a questi compiti fu ostacolata in seno al CSM, il cui plenum non aveva ancora assunto una decisione definitiva, prima della tragica morte di Falcone.

    E’ il 23 maggio 1992 quando alle 17 e 56, all’altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo fanno saltare in aria l’auto su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio MontinaroRocco Di Cillo e Vito Schifani.

    All’esecrazione dell’assassinio, il 4 giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione intesa a rafforzare l’impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente.

    Nemmeno due mesi più tardi, il 19 luglio 1992, toccava a un altro magistrato cadere sotto i colpi della mafia. Paolo Borsellino veniva ucciso da un’autobomba a Palermo in via D’Amelio. Si tratta di uno dei periodi più bui della storia della Repubblica Italiana.

    Falcone fu personaggio discusso, per alcuni molto odiato in vita e molto amato dopo la morte, un personaggio diffidente e schivo, ma tenace ed efficiente. Per quanto fosse un uomo normale, ha lottato in prima persona con tutte le sue forze per tutelare la propria autonomia di giudice in trincea contro la mafia, e oggi è considerato a tutti gli effetti un simbolo positivo, una storia da non dimenticare.

    Fernanda CONTRI, già componente del C.S.M. il 15 dicembre 2016 “… ho molta fatica a venire al Consiglio Superiore perché i quattro anni di vita che io ho passato al Consiglio Superiore sono stati i più brutti anni della mia vita. È la verità, era la consiliatura 1986-1990, pensate al caso Falcone, Borsellino. Sono stati per me strazianti e ancora adesso quando passo, perché sono venuta a Roma per altri quindici anni poi, ma quando passo da Piazza Indipendenza dico all’autista “Vada via” perché ho paura di essere risucchiata dentro. Ovviamente il problema era la mafia, era Giovanni Falcone, era Paolo Borsellino. Voglio ricordare una cosa in positivo, in una notte famosa nello studio del Vice Presidente del C.S.M., quando alcuni suoi colleghi tentarono di mandarlo sotto processo disciplinare, con Elena Paciotti riuscimmo a ottenere una mediazione che non arrivasse a quel punto …”.

    Adduso Sebastiano

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