TERRE DA NOBEL:COSTIERA AMALFITANA E CINQUE TERRE

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    TERRE  DA NOBEL:COSTIERA AMALFITANA E CINQUE TERRE

    Mi  è capitato fra le mani un gradevole saggio  scritto a quattro mani da me  da me e dalla mia  cara e colta amica Prof.ssa Adriana  < Beverini . referente del Parco Letterario EUGENIO MONTALE e pubblicato nel 2002 da PRO.GE.CA  srl di  Venaria (To) con il titolo “CUCINE DA NOBEL- Terre a confronto nella poesia di Montale e Quasimdo” Ne recupero ,qui di seguito, la mia introduzione con la promessa che  ne recupererò  altri brani, anche per far conoscere  tratti  poco noti della quotidianità dei due grandi poeti ”

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    “ Paesaggio roccioso e austero simile ai più forti di Calabria, asilo di pescatori e di contadini viventi a frustro a  frusto su un lembo di spiaggia che in certi tratti va sempre più assottigliandosi, nuda e solenne cornice delle più primitive d’Italia. Monterosso, Vernazzza e Corniglia, nidi di falchi e di gabbiani, Manarola e Riomaggiore  sono procedendo da ponente a levante i nomi di pochi paesi, o frazioni di paesi, così asserragliati tra rupi e il mare”.

    Così  Eugenio Montale fotografa le sue Cinque Terre, con le pareti scoscese, digradanti, lambite, carezzate o  battute, a seconda delle stagioni, da venti di mare; e l’eco della risacca sillaba i versi di “Ossi di  seppia,. di “Mediterraneo, di “Meriggi d’ombre”, Ma è Monterosso “chiuso  orto della stupita fanciullezza”  ad esprimere l’anima più segreta, ad evocare il paesaggio interiore del poeta più di quello visivo e sonoro. E si fa musica la brezza lieve che trema trai tamerischi “stente creature perdute in un orrore di visioni” o il “rivo strozzato che gorgoglia”  tra coltivi e fogliame,

    Per tutti c’è un paese dell’anima ad alimentare il carsismo della memoria che si inabissa nelle viscere del pensiero, si ramifica nei sonnolenti percorsi sotterranei dei sentimenti a placare furori, sfumare passioni, sedimentare emozioni per riesplodere, poi, festosamente impetuoso, nello scintillio del sole ad accendere fotogrammi di  esistenza. C’è per Montale che, acuto, osserva:“Ognuno di noi ha un paese come questo, e sia pur diversissimo, che dovrà restare il suo paesaggio, immutabile”

    C’è per Salvatore  Quasimodo, che, nell’abbagliante chiarore della visione di Amalfi nel sole,, esplode nell’entusiasmo delle parole colorate:””Qui è il giardino che cerchiamo sempre dopo i luoghi perfetti dell’infanzia. Una memoria che avviene tangibile sopra gli abissi del mare sospesa sulle foglie degli aranci e di cedri sontuosi negli orti pensili dei conventi. L’eco del pensiero con l cadenze ugualmente mediterranee della mia isola”

    E la fragile e profumata bellezza dei ricordi si sedimenta nella fisicità  del paesaggio, nelle geometrie dell’ordine ossificato che è così lento a filtrare in noi e, poi, così impossibile a cancellarsi. “Non ricordavo da tempo un’aria che sapesse di mirto e un profilo di cipressi e pini come ad Amalfi; dove  i fiori gialli del trifoglio sono già aperti a gennaio, al nord duro di ghiacci, e le sorgenti filtrano sulle rocce levigate dal passo di preghiera dei Cappuccini” E l’Elogio di Amalfi del poeta siciliano si materializza in immagini sospese e danzanti  ra mito e realtà, in cui il paesaggio dell’anima si ossifica in quello della natura e, viceversa,i capricci di montagna, coltivi e mare alitano con la levità del vento in uno straordinario miracolo di panismo poetico.”Quel  respiro di vento tiepido, che sale dalle terrazze lungo il burrore, fa scattare i nomi dei poeti liberi dalle lapidi della memoia  scolastica… Qui è la certezza di un lungo giorno ed  il silenzio è quello di Esperia e della banchina di Ulisse, quello intorno alle fontane dei semidei e di ninfe portati dal cielo alla terra”

    Così  Eugenio Montale fotografa le sue Cinque Terre, con le pareti scoscese, digradanti, lambite, carezzate o  battute, a seconda delle stagioni, da venti di mare; e l’eco della risacca sillaba i versi di “Ossi di  seppia,. di “Mediterraneo, di “Meriggi d’ombre”, Ma è Monterosso “chiuso  orto della stupita fanciullezza”  ad esprimere l’anima più segreta, ad evocare il paesaggio interiore del poeta più di quello visivo e sonoro. E si fa musica la brezza lieve che trema trai tamerischi “stente creature perdute in un orrore di visioni” o il “rivo strozzato che gorgoglia”  tra coltivi e fogliame,

    Per tutti c’è un paese dell’anima ad alimentare il carsismo della memoria che si inabissa nelle viscere del pensiero, si ramifica nei sonnolenti percorsi sotterranei dei sentimenti a placare furori, sfumare passioni, sedimentare emozioni per riesplodere, poi, festosamente impetuoso, nello scintillio del sole ad accendere fotogrammi di  esistenza. C’è per Montale che, acuto, osserva:“Ognuno di noi ha un paese come questo, e sia pur diversissimo, che dovrà restare il suo paesaggio, immutabile”

    C’è per Salvatore  Quasimodo, che, nell’abbagliante chiarore della visione di Amalfi nel sole,, esplode nell’entusiasmo delle parole colorate:””Qui è il giardino che cerchiamo sempre dopo i luoghi perfetti dell’infanzia. Una memoria che avviene tangibile sopra gli abissi del mare sospesa sulle foglie degli aranci e di cedri sontuosi negli orti pensili dei conventi. L’eco del pensiero con l cadenze ugualmente mediterranee della mia isola”

    E la fragile e profumata bellezza dei ricordi si sedimenta nella fisicità  del paesaggio, nelle geometrie dell’ordine ossificato che è così lento a filtrare in noi e, poi, così impossibile a cancellarsi. “Non ricordavo da tempo un’aria che sapesse di mirto e un profilo di cipressi e pini come ad Amalfi; dove  i fiori gialli del trifoglio sono già aperti a gennaio, al nord duro di ghiacci, e le sorgenti filtrano sulle rocce levigate dal passo di preghiera dei Cappuccini” E l’Elogio di Amalfi del poeta siciliano si materializza in immagini sospese e danzanti  ra mito e realtà, in cui il paesaggio dell’anima si ossifica in quello della natura e, viceversa,i capricci di montagna, coltivi e mare alitano con la levità del vento in uno straordinario miracolo di panismo poetico.”Quel  respiro di vento tiepido, che sale dalle terrazze lungo il burrore, fa scattare i nomi dei poeti liberi dalle lapidi della memoia  scolastica… Qui è la certezza di un lungo giorno ed  il silenzio è quello di Esperia e della banchina di Ulisse, quello intorno alle fontane dei semidei e di ninfe portati dal cielo alla terra”

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